Accesso disaggregato: per Ovum ‘precedente rischioso’ per la certezza giuridica e la credibilità di Agcom

di Alessandra Talarico |

L’analista Luca Schiavoni sottolinea che la misura potrebbe apparire ragionevole in termini di stimolo alla concorrenza, ma sotto certi aspetti è probabile che crei più problemi di quanti ne risolva. Critiche all’emendamento anche da Federmanager.

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Un nuovo, autorevole parere si inserisce nel dibattito in corso sull’emendamento al DL Semplificazioni sull’accesso disaggregato alla rete di Telecom Italia: è quello di Ovum, una delle principali società di consulenza internazionali, secondo cui il metodo utilizzato per introdurre tale misura solleva “forti preoccupazioni”, sia per i dubbi relativi alla compatibilità con quadro normativo Ue sia per l’impatto sulla futura credibilità del regolatore italiano e sulla certezza giuridica.

In linea di principio, sottolinea l’analista Ovum Luca Schiavoni, “il provvedimento è positivo per la concorrenza, ma per dare un giudizio in questo senso è necessario aspettare gli effetti sia sulla concorrenza che sui prezzi al dettaglio”.

 

In base al contestato emendamento, in sostanza, il prezzo del servizio di accesso all’ingrosso di rete fissa deve indicare separatamente il costo della prestazione dell’affitto della linea e il costo delle attività accessorie, quali il servizio di attivazione della linea stessa e il servizio di manutenzione correttiva. Gli operatori devono inoltre poter comprare i servizi accessori da altre aziende.

 

La misura, spiega Schiavoni, può apparire ragionevole in termini di stimolo alla concorrenza, ma “sotto certi aspetti è probabile che crei più problemi di quanti ne risolva”.

“E’ certamente vero – spiega Schiavoni – che Telecom Italia non deve essere necessariamente l’unico fornitore di servizi di manutenzione che, anzi, vengono già esternalizzati ad altre aziende a livello locale. Questi servizi vengono attualmente compresi nel modello di costi utilizzato per determinare le tariffe del servizio ULL, quindi la misura al vaglio del Parlamento cercherebbe di ridurre i costi sostenuti dagli operatori alternativi. Se le aziende che già forniscono questi servizi per conto di Telecom Italia iniziassero ad agire per conto proprio in modo competitivo, gli operatori alternativi potrebbero risparmiare sul prezzo totale pagato per l’accesso disaggregato alla rete locale”.

 

D’altro canto, gli operatori che acquistano accesso alla rete locale, poco probabilmente creano team in-house per effettuare servizi di manutenzione per proprio conto senza che questo si dimostri un’operazione in grado di generare un risparmio sui costi di esercizio. “Per queste ragioni è difficile al momento valutare l’impatto pratico della legislazione”.


L’emendamento andrebbe a impattare, peraltro, su un mercato molto dinamico che vede l’Italia, insieme alla Francia, tra i paesi che fanno meglio in tema di unbundling: secondo i dati della Commissione Comunicazioni della Ue relativi a luglio del 2011, sono 4,9 milioni le linee disaggregate, mentre l’Agcom, nella sua ultima relazione trimestrale ha sottolineato che la quota di Telecom Italia è scesa di due punti percentuali (parti a 700 mila linee). Sempre secondo  dati Ue, le linee in bitstream sono 1,9 milioni.

 

A queste perplessità si aggiunge il fatto che la separazione dei servizi di manutenzione dal canone di locazione non è una pratica comune in Europa: “raramente, se non quasi mai – dice Schiavone – le tariffe di manutenzione sono separate da quelle del servizio di accesso principale”.

Non lo fa Telefonica in Spagna né Orange in Francia.

Nel Regno Unito, Openreach offre diversi livelli di servizi di manutenzione, ma i livelli base sono sempre inclusi nel prezzo di affitto delle linee.

 

Riguardo i dubbi sul metodo usato per introdurre la misura, Schiavoni sottolinea che “il contenuto della disposizione non è in conflitto col quadro Ue: l’articolo 9 della Direttiva Accesso del 2002 stabilisce che le offerte di riferimento devono garantire che le aziende non debbano pagare per gli impianti che non sono necessari per il servizio richiesto. Tuttavia, questo stesso articolo afferma che il potere di vigilare sugli operatori con presenza significativa sul mercato (SMP) è in capo alle autorità nazionali di regolamentazione, non ai parlamenti”, sottolinea l’analista.

 

L’indipendenza del regolatore è stata sottolineata ancor più chiaramente nel nuovo quadro europeo del novembre 2009 (che l’Italia non ha recepito entro la scadenza del maggio 2011) e che rafforza la capacità delle autorità di regolamentazione a operare indipendentemente da qualsiasi altro organismo in relazione allo svolgimento dei loro compiti di regolamentazione.

La misura proposta si riferisce a un cambiamento nel modello dei costi per l’offerta di unbundling (RUO), “un problema – dice Schiavoni – che rientra chiaramente nelle competenze del regolatore nazionale“. I poteri del regolatore sono legati alle analisi dei mercati inclusi nella raccomandazione CE del 2007 sui mercati rilevanti. Il Codice delle comunicazioni elettroniche del 2003, che ha recepito il quadro normativo comunitario, definisce il potere dell’Autorità di svolgere tali analisi di mercato e di imporre le misure agli operatori con significativo potere di mercato.

Prima che l’offerta di riferimento di Telecom Italia possa entrare in vigore, deve essere approvata dall’Agcom.

 

La misura proposta potrebbe costare all’Italia una procedura d’infrazione da parte della Commissione europea: il Berec – l’organismo Ue che riunisce le 27 autorità nazionali – ha espresso forte preoccupazione per una misura che minerebbe l’indipendenza del regolatore italiano, sottolineando che la Ue, in simili casi, ha intrapreso azioni legali.

 

“Probabilmente – spiega quindi l’analista – il tentativo di separare i servizi accessori dal servizio ULL principale è in conflitto con la legislazione vigente e il quadro normativo comunitario. Esso ostacola – aggiunge – anche la certezza del processo di regolamentazione e mina la credibilità dell’Autorità, aprendo la via alle azioni legali e alle richieste di capovolgere le decisioni del regolatore”. Si verrebbe quindi a creare un “precedente pericoloso per tutto l’ambiente normativo”.

“Se il Governo, il parlamento o qualsiasi altra istituzione intende proporre modifiche inerenti il mercato delle telecomunicazioni, dovrebbe farlo all’interno del processo di consultazioni pubbliche che fa parte di ogni analisi di mercato. Sarebbe, infine, competenza dell’Agcom stabilire l’introduzione di tale modifica”, conclude Schiavoni.

Un’altra bocciatura, intanto, è arrivata anche da Federmanager, l’Organizzazione che rappresenta e tutela i dirigenti in servizio e in pensione delle imprese produttrici di beni e di servizi e che chiede la cancellazione dell’emendamento in quanto “del tutto inapplicabile nella pratica operativa e foriero di conseguenze disastrose per la vita in opera delle infrastrutture di telecomunicazioni al servizio del Paese”.

Per Federmanager, le conseguenze di questa norma rischiano “di destabilizzare il mercato, creando confusione nella gestione della rete con l’intervento di innumerevoli soggetti e con il proliferare dei subappalti, con il risultato di un servizio scadente al cliente finale senza neanche poter individuare le responsabilità dei disservizi”.

Se Telecom Italia, in sostanza, non avesse più il controllo degli interventi effettuati sulla rete, verrebbe a mancare un soggetto delegato per legge a garantire la sicurezza della rete, con conseguenze negative anche in termini di sicurezza informatica e riservatezza delle informazioni che passano sulle linee.

 

Altro elemento negativo insito nell’emendamento riguarda “l’evidente lesione delle prerogative dell’Autorità per le Garanzie nelle Telecomunicazioni unico soggetto deputato a legiferare in materia, come ribadito dalla Commissione Europea”.