Twitter e l’informazione 2.0: dove è finita la verifica delle fonti?

di di Barbara Collevecchio (Psicologa) |

Per la psicologa Barbara Collevecchio la diffusione di news a ritmi così voraci rischia di inficiare il processo di elaborazione del nostro cervello, specie se le informazioni rimbalzano sul web senza essere appurate

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Informazione 2.0, cos’è? Provate a seguire Twitter. Giornalisti, direttori, testate danno la caccia alla notizia in una rincorsa ad alta velocità che non risparmia nessuno, neppure la “verità”.

È di due settimane fa la notizia di una chiesa a Campobasso in cui il parroco avrebbe detto messa con ostie allucinogene. Notizia apparsa su una testata online abruzzese, che non l’aveva verificata, e riportata poi da giornali di livello nazionale, quelli “blasonati”. È di pochi giorni fa la notizia della liberazione di Rossella Urru, girata su Twitter e riportata dalle solite testate blasonate, fino a doverla smentire poco dopo. I giornalisti allora, sempre su Twitter, iniziano a scaricarsi le colpe reciprocamente, e ciò che ne emerge è che nel gran calderone di sensazionalismo il dovere di un cronista sarebbe quello di sempre: cercare e citare la fonte, verificare.

Emblematico anche il caso di Bechis che pubblica, ancora su Twitter, dei pdf con informazioni su finanziamenti “particolari” a Renzi, il sindaco di Firenze. Bechis afferma che Lusi abbia sostenuto la sua campagna politica e Renzi, sempre su Twitter, ci informa e lo informa in diretta che lo porterà in tribunale.

Ok, i voyeuristi sono felici e gli ego narcisistici ballano la mazurka: ma intanto noi?

Bombardati da esternazioni, notizie nascenti come astri che hanno un loro acme e una loro morte, cosa ne traiamo?

 

Tutto il web, il famigerato “popolo del web”, la settimana scorsa dà il via in pompa magna a una nuova battaglia di vita o morte: orrore e raccapriccio per chi ha chiamato un carabiniere “pecorella”.

Ma a questo punto una domanda bisogna farsela: come si formano le opinioni? I bambini apprendono il bene o male grazie ai genitori “no, questa è cacca, non la toccare” e il bimbo, vedendo lo stesso oggetto si ripete mentalmente “cacca”. Lo stesso avviene tra pubblico e opinion leader.

Se un opinion leader dice “questa è cacca”, ecco che il pubblico, molto spesso pecora, si indigna e allora partono campagne al limite del linciaggio morale. Ma siamo davvero indignati? O è la scia dell’opinione di massa che ci attrae per nostra natura e ci trascina?

 

Don Gallo e molti articolisti su Micromega denunciano assieme a Oliviero Beha in un suo bell’articolo, la poca eticità di parecchi giornalisti e opinionisti. La violenza, questo incubo che tutti affligge, cos’è?

Da psicologa so che il nostro stesso cervello ha bisogno di elaborare le informazioni, paragonarle a qualcosa di già conosciuto, raffrontarle, incasellarle in strutture, in poche parole: verificarle. La diffusione di informazioni e pareri in un clima di velocità, e nel susseguirsi vorace e poco verace di notizie, rischia di inficiare il processo di elaborazione, soprattutto se chi di dovere non elabora e non esplora le fonti o peggio è spudoratamente di parte.

Chi se non un sadico potrebbe affermare di amare la violenza? Eppure secondo la maggioranza dei giornalisti del Belpaese il violento è sempre e solo da una parte. Aveva ragione Curzio Malaparte nel dire: “Gli italiani amano le rivoluzioni ma non i rivoluzionari”?

Perché risalta all’onore di cronaca per giorni la sterile polemica su una parola: ” pecorella” e si tace su (per fare solo un esempio minimo) un rastrellamento in un bar delle forze dell’ordine?

Secondo le conclusioni di molti scienziati che si riunirono anni fa a Siviglia, l’aggressività dell’essere umano non è innata. Da ciò deriva che nessuno è violento per natura. Allora quando un popolo, anche piccolo, quando una “minoranza” e non un manipolo di “minorati” o “cretinetti” inizia a rispondere a coloro che ritengono dei soprusi con gesti forti, bisognerebbe chiedersi il “come mai”, visto che tanto amiamo e osanniamo la democrazia!

 

O vogliamo davvero liquidare una protesta appoggiata da così tante persone, compresi professori universitari del politecnico di Torino, come una baggianata antiprogresso? Ho letto addirittura opinionisti talmente in malafede da affermare che i valsusini si stiano ribellando e cavalcando le orde di violenti solo per avere risarcimenti maggiorati dallo Stato. Argomenti così faziosi perché non vengono mai accompagnati da altrettanti argomenti pro-Tav che ci convincano definitivamente che questa è un’opera buona? Dire che il Tav si deve fare “perché sì” non è una risposta che può soddisfare una testa pensante.

Facciamo un altro esempio psicologico. Quando un bambino all’asilo fa a botte con i compagni è giusto da parte delle insegnanti estrometterlo dai giochi, ghettizzarlo e colpevolizzarlo o forse non è consigliato convocare i genitori e capire da dove provenga quella rabbia? La rabbia spesso nasce dal non essere ascoltati.

 

Non voglio prendere posizioni ideologiche. Affermo solo che, per onore di giustizia, per onore del vero e per spirito di ricerca, i nostri giornalisti blasonati dovrebbero informare. Rimango indignata nel leggere da alti esponenti del giornalismo italiano frasi del tipo: “Questi ragazzi che odiano l’autorità e il padre“. Dunque, don Gallo, i vari sindaci e i tanti abitanti della Valle sono tutti affetti da giovanilismo? Odiano il progresso e il padre? Come si può citare Pasolini, Freud, con tanta leggerezza e poca cognizione di causa?

Vogliamo, io credo, informazioni e non pareri scellerati da parte di chi della retorica fa un’arte. E io che il “Padre” l’ho studiato posso affermare con cognizione di causa che l’uccisione psicologica del padre e il suo superamento è una tappa fondamentale dello sviluppo psichico, quindi anche fosse che i “giovani” intraprendano questa strada sarebbe fisiologico e naturale, un processo da seguire con amore e attenzione, con ascolto.

 

In una videointervista di “il Fatto Quotidiano” (Ricca) le persone fermate per strada nella stragrande maggioranza non erano informate sui pro e i contro del Tav. Ora parliamo del Tav ma potremmo anche parlare di credit crunch. Quante persone vivono passivamente l’informazione che corre sempre più veloce, sempre più è opinione e sempre meno spiegazione dettagliata di come stanno le cose.

Cosa vorrei? Vorrei che i media rispettassero le nostre intelligenze, che ci fornissero in modo etico meno opinioni e più strumenti per capire. Certo si potrebbe obiettare che sta al singolo cercare informazioni più dettagliate e che i giornalisti hanno il diritto di fare opinione. Ma quanta ipocrisia! Sappiamo bene dalla Gestalt che se manca un elemento informativo la mente tende a compensarlo nel modo più semplice possibile. Questo riportato alla psiche e al modo collettivo di recepire informazioni è assai pericoloso: ho una lacuna informativa, tendo a semplificare, quindi traggo la mia opinione dall’opinione altrui. La maggioranza fa così. Negarlo è essere in malafede, perbenisti e ipocriti.

Cos’è la violenza ci chiedevamo? Violenza è anche non ascoltare, non informare, esprimere opinioni aggressive, disinformare. Mettere a tacere. Velocizzare un modo di comunicare con il risultato che in tutto questo mega-Tav informativo, le notizie corrono come un Tgv e nessuno arriva davvero a destinazione.

(L’articolo è stato pubblicato su www.tornogiovedi.it