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Le startup creano occupazione o no?

Stati Uniti


Le startup della Silicon Valley sono ancora una fonte di posti di lavoro nell’America della crisi economica e della disoccupazione dilagante?

Ci potranno essere nuovi Google o nuovi Facebook in grado di alimentare ancora le speranze dei giovani talenti di tutto il mondo?

Nel 1998, Google era ancora un sogno di Larry Page e Sergey Brin. Oggi impiega 31 mila persone. Nel 2004, Facebook non era ancora nato, oggi da lavoro a circa 3 mila persone.

Ma oggi, le startup creano ancora lavoro?

La questione preoccupa il Congresso americano che ha approfondito l’argomento nel corso di un’audizione presso la Commissione tecnologia e innovazione della Camera durante la quale Brink Lindsey della Ewing Marion Kauffman Foundation ha presentato alcuni dati che potrebbero creare uno shock nella Silicon Valley,  il centro dell’innovazione americana.

Secondo i numeri di Lindsey (leggi il discorso), non solo il numero di startup è diminuito, ma quando ne nasce una tende a creare meno posti di lavoro.

Più nello specifico, il numero di nuove aziende create annualmente è iniziato a decrescere dal 2006 e nel 2009 è sceso del 27%. Inoltre, il numero medio di dipendenti è andato gradualmente decrescendo dal 1998, mentre il ritmo di crescita del numero dei dipendenti delle nuove imprese nei primi 5 anni di vita è andato rallentando dal 1994.

Perciò, ci sono meno startup che assumono meno persone e tendono a crescere più lentamente nei loro primi 5 anni di vita.

Questi dati sono supportati da uno studio di John Haltiwanger, docente di economia presso l’Università del Maryland. Citando lo studio Lindsey afferma che la  creazione di occupazione lorda a livello annuale da parte delle startup è scesa del 25% dal 1980 con conseguente riduzione del tasso complessivo di creazione di occupazione lorda e netta per l’economia degli Stati Uniti.

Il problema è, dunque, strutturale e Lindsey offre alcuni suggerimenti che potrebbero aiutare a risolvere la questione, rendendo più facile per le startup costruire le loro imprese.

Lo studioso ha ribadito la necessità di accelerare l’adozione dello Startup Act che include l’alleggerimento delle norme della legge Sarbanes-Oxley, la riduzione del cumulo di brevetti e la facilitazione dell’ottenimento del visto per gli imprenditori stranieri. Facilitare l’avvio di nuove aziende aiuterà, insomma, a creare nuovi posti di lavoro.

 

Prendiamo ad esempio il settore delle nuove tecnologie: internet, il cloud computing, i software Open Source hanno infranto le barriere della distribuzione, riducendo i costi di avvio e gestione che un tempo gravavano sulle aziende.

Certo, se si producono beni fisici o si ha a che fare con inventari fisici il discorso cambia, ma la tecnologia sta davvero cambiando la natura delle startup e la creazione d’impresa.

 

“Generalmente – ha detto Lindsey –  le nuove aziende contribuiscono per circa il 30% alla crescita totale della produttività nel settore manifatturiero e praticamente alla totalità della crescita nel settore retail. Le nuove aziende sono pertanto la linfa vitale dell’aumento della produttività e del miglioramento del tenore di vita. E, quindi, quando si tratta di promuovere la prosperità attraverso la creazione di occupazione, il loro ruolo può difficilmente essere sopravvalutato”.

 

Ma cosa succede se le nuove imprese aumentano la produttività senza incrementare l’occupazione?

“La mia impressione – ha aggiunto – è che i guadagni in termini di occupazione sono stati interrotti perchè la tecnologia ha permesso ai dipendenti esistenti di essere più produttivi e ha eliminato del tutto alcuni posti di lavoro. Quindi, ciò che è necessario è il prossimo passo, in cui startup e nuove aziende superino le attività esistenti e creino qualcosa di differente, che si avvalga del web e abbassi i costi di investimento per creare una nuova industria invece di rifare in modo diverso cose vecchie”.

 

Questo si potrà ottenere progredendo nel campo dell’analisi dei dati, in quello dei sensori aggiunti ad elementi fisici per la creazione di una rete collegata di persone e dispositivi (il cosiddetto internet delle cose).

“A quel punto non si starà solo rimaneggiando una cosa già esistente ma si darà avvio a un nuovo ciclo di innovazione con gli strumenti che il settore tecnologico ha messo a punto nel corso degli anni”, ha sottolineato Lindsey, aggiungendo che quando ciò avverrà, si tratterà di un “cambiamento ciclico, misurato in un periodo di 50 anni, non di un solo decennio”.

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