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Digital Agenda: quanto costa l’immobilismo italiano e come conciliare le esigenze di tutti i player per raggiungere gli obiettivi Ue?

Unione Europea


L’Italia è molto lontana dagli ambiziosi obiettivi fissati dalla Ue nella Digital Agenda a causa di un insieme di fattori – immobilismo della politica sui temi dell’innovazione, scarsa alfabetizzazione digitale di imprese e cittadini – sui quali pesa come un macigno anche la crisi economica. Ma l’Europa non è messa meglio e all’orizzonte si profila un nuovo scontro tra le telco e la Commissione sul nodo della regolamentazione.

Vale, dunque, la pena “investire in NGN se non c’è mercato”?. E’ questa la provocazione lanciata dal presidente di ANFoV, Achille de Tommaso nell’ambito del convegno organizzato da Lepida sul tema “NGN & WIFI promossi dalla PA”.

Affermazioni che rientrano anche nel dibattito sugli investimenti necessari per realizzare le reti di nuova generazione, al centro del summit ETNO/FT di ieri, nel corso del quale il presidente di Telecom Italia Franco Bernabè ha espresso la sua contrarietà a un eccesso di regolamentazione del settore, che sta danneggiando gli investimenti ed è controproducente per gli stessi consumatori che si vogliono tutelare.

 

Le questioni sul tavolo sono molte e complesse e i punti di vista sembrano spesso inconciliabili: ci sono le istituzioni europee, che hanno fretta di accelerare l’implementazione delle nuove reti per raggiungere gli obiettivi dei piani per rendere l’Europa un continente digitale in grado di competere con Asia e Stati Uniti. Ci sono gli operatori dominanti – come, appunto, Telecom Italia – che non gradiscono ulteriori interventi regolatori su un’industria già in forte crisi e anzi definisco assurda l’idea che a scegliere le architetture di rete sia la politica. E ci sono i player alternativi che chiedono invece nuove regole per un accesso più economico alle reti degli ex monopolisti.

La quadra è ovviamente, difficile da raggiungere ma quel che è certo, come ha sottolineato anche Bernabè ieri, è che “l’Europa per uscire dalla crisi ha bisogno di muoversi rapidamente per rilanciare gli investimenti, creando un contesto con meno regolamentazione e meno tasse”.

Il Vecchio Continente, e l’Italia in particolare, sembra invece si stiano muovendo in direzione opposta: lampante, ha sottolineato Bernabè, l’esempio della gara per le frequenze 4G nel nostro Paese. Gli operatori devono subito mettere mani al portafogli per ottenere un bene, le frequenze, che non sarà disponibile prima di un anno e mezzo.

 

Spiega anche de Tommaso – che oltre a essere presidente Anfov è amministratore delegato di Aquarius Logica – che la crisi finanziaria ha portato a un deterioramento del quadro di bilancio degli operatori e degli enti locali, frenando di fatto gli investimenti nelle nuove reti in fibra ottica o anche l’ipotesi di un conferimento forzoso della rete in rame.

Uno scenario, insomma, che lascia prevedere un nuovo acuirsi del digital divide nell’ultrabroadband: in futuro – afferma de Tommaso – “…solo le principali aree urbane del paese saranno gradualmente raggiunte dalla rete NGN, con l’Italia molto lontana dagli obiettivi di intonazione universalistica stabiliti dall’agenda digitale europea”.

Un problema che non riguarda solo le reti fisse, ma anche quelle mobili che rischiano di non poter sostenere l’aumento del traffico generato da un uso sempre più massiccio di smartphone e tablet.

A questo si aggiunga anche che le aziende non sembrano realmente pronte a gestire e far propria l’innovazione digitale, considerando gli investimenti in ICT un costo più che un vantaggio.

A questo punto, quindi, è necessario secondo de Tommaso puntare l’attenzione anche sui costi del ‘non fare’, quantificando i mancati benefici dell’immobilismo nella realizzazione delle nuove infrastrutture digitali, strategiche per la crescita economica,oltre che sociale.

Nel frattempo, tuttavia, sarebbe importante – come si chiede ormai da diverso tempo – procedere nella realizzazione di un modello di catasto delle infrastrutture a livello nazionale. Tale modello, alla cui definizione Anfov sta già lavorando, “si prefigge di consentire il riutilizzo, totale o parziale, di cavidotti esistenti, con evidenti risparmi sui costi di realizzazione”, ha concluso de Tommaso.

Da questo si potrebbe partire per cercare di recuperare il gap che allontana il paese dagli obiettivi europei.

Per Bernabè, invece, è essenziale che si torni ‘ai fondamentali’, cercando di comprendere “quello di cui le tlc hanno realmente bisogno per svilupparsi e tornare a essere il motore di crescita di tutte le economie”.

Perché anche l’Europa nel suo complesso è ben lungi dal realizzare gli ambiziosi obiettivi della Digital Agenda e non sembra, a detta dei Ceo degli ex monopoli statali, voler accogliere le proposte che l’industria ha condensato in 11 punti, presentati a luglio anche alla Commissione europea (Leggi articolo Key4biz).

 

Addirittura, il presidente e Ceo di Telefonica, César Alierta, ha affermato che la proposta di abbassare i prezzi di accesso alla rete in rame (Leggi articolo Key4biz) “vuol dire mettere la parola fine alla Digital agenda”, perché implicherebbe che gli incumbent “spendano soldi a tutto vantaggio dei concorrenti“. E questo, ovviamente, non è pensabile.

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