NGN: serve un vero piano nazionale

di di Quirino Brindisi (Management Consultant) |

Si continua a parlare di Stretto di Messina, nuove linee ferroviarie ad alta velocità e autostrade. Poco o nulla sembra invece muoversi sul fronte NGN, sul quale l’Italia sembra sempre più impantanata nel confronto europeo.

Italia


Quirino Brindisi

La manovra economica di tagli e tasse che da settimane tiene l’Italia e l’Euro sull’orlo di una crisi senza precedenti approda oggi alla Camera, con la prospettiva di essere approvata entro pochi giorni. A meno di sorprese dell’ultima ora, il settore delle telecomunicazioni sarà risparmiato dalla “Robin Tax”, il balzello che ha colpito le imprese energetiche, anche per la sua sostanziale incompatibilità con il diritto comunitario. Non c’è però finora traccia di misure per lo sviluppo del settore che possano aiutare la crescita di un’economia ormai quasi ferma, come dimostrano i consuntivi e le previsioni nazionali e internazionali.

Una crescita inadeguata a garantire le entrate fiscali e quindi il rispetto degli obiettivi di bilancio, rende necessari nuovi tagli di spesa e tasse che possono innescare una pericolosa spirale recessiva. Di questo è naturalmente al corrente il ministro dell’Economia Giulio Tremonti che ha annunciato un imminente “tagliando” per la crescita, anche con riferimento alle infrastrutture strategiche. Per accelerarne la realizzazione sarebbero allo studio una revisione della legge “obiettivo” e degli incentivi al project financing. In prima fila tra le grandi opere da tempo annunciate il ponte sullo Stretto di Messina, nuove linee ferroviarie ad alta velocità e autostrade. Poco o nulla sembra invece muoversi finora sul fronte NGN, sul quale l’Italia sembra sempre più impantanata nel confronto europeo.

La crisi finanziaria ha portato ad un deterioramento del quadro debitorio di Telecom Italia, con l’outlook negativo di Moody’s e l’allargamento del pegno delle banche sulle azioni in mano alla holding Telco, che rende ancora meno probabile un’accelerazione degli investimenti sulla NGN o l’ipotesi, fantasiosa ma pure circolata, di un conferimento forzoso della rete in rame. I concorrenti di Telecom Italia, d’altro lato, sono fermi in gran parte per gli stessi motivi e anzi lamentano la scarsa risposta del mercato alle sperimentazioni in corso. Stessa situazione per i progetti regionali, tranne che in Trentino, per i tagli ai bilanci e la conflittualità tra gli operatori. Questo quadro porta facilmente ad immaginare un futuro in cui solo le principali aree urbane del paese saranno gradualmente raggiunte dalla rete NGN, come dimostrano i piani presentati da Telecom Italia e dai concorrenti per la cablatura delle 13 – 15 principali città italiane, molto lontani dagli obiettivi di intonazione universalistica stabiliti dall’Agenda digitale europea.

Investire qualche miliardo di euro nel potenziamento della rete per fornire a tutti connessioni ad almeno 30 Mbit/s e al 50% della popolazione fino a 100 Mbit/s entro il 2020 sarebbe giustificato, alla luce delle risorse limitate a disposizione e del minore utilizzo dei servizi telematici in Italia rispetto ad altri paesi europei? Per rispondere a questa domanda occorre individuare le aree a fallimento di mercato ed effettuare un’analisi costi-benefici. Tuttavia va tenuto conto che altri interventi di sostegno generalmente accettati hanno ritorni più aleatori rispetto alla larga banda. Un esempio è l’incentivo alla realizzazione di impianti fotovoltaici, tra i più elevati in Europa, che sta aumentando i costi dell’energia elettrica per famiglie ed imprese senza aver ancora creato una filiera industriale. Il calcolo dei mancati benefici per l’economia italiana del ritardo nella realizzazione di rete NGN nazionale sarà oggetto di uno studio promosso dall’Osservatorio sui Costi del Non Fare, fondato da Andrea Gilardoni dell’Università Bocconi, che da tempo si occupa di quantificare i mancati benefici della realizzazione di infrastrutture strategiche.

L’intervento pubblico dovrebbe limitarsi ad abbassare la barriera all’ingresso in ambiti territoriali in cui i costi di posa della fibra, pur impiegando soluzioni efficienti, sono elevati ma non proibitivi. Le forme devono inoltre essere calibrate attentamente preservando la competizione e l’autonomia nelle scelte d’investimento degli operatori, senza favorire distorsioni o comportamenti opportunistici. A questo fine è fondamentale il lavoro dell’Autorità per fissare un quadro coerente di regole che sta giungendo al traguardo. Uno degli aspetti più controversi riguarda l’applicazione di prezzi all’ingrosso differenziati a livello locale, con la definizione di mercati “geografici”, permessa dal quadro europeo.

Telecom Italia è favorevole al contrario dei concorrenti, che vedono improbabile la presenza di reti alternative fuori da poche aree metropolitane, e pensano a mantenere il regime vigente sulla rete in rame. Dal punto di vista dell’interesse generale, chi è in grado d’investire va incentivato ma, se è proprietario di infrastrutture essenziali, deve offrire accesso ai concorrenti a condizioni tali da garantire la competizione.

Tuttavia, anche una volta risolto il complicato esercizio regolatorio, rimarrebbe il nodo di dove reperire eventuali risorse fresche. Buone notizie vengono dai risultati dell’asta in corso per le frequenze destinate al mobile broadband che ormai hanno superato la soglia dei 3 miliardi di euro. La legge stabilisce che il 50% dei profitti eccedenti i 2,4 miliardi di Euro siano utilizzati per la banda larga fissa e l’Autorità ha proposto di elevare questo tetto al 100%. Anche se questo fosse il caso e il dividendo arrivasse anche a un miliardo di euro, si tratta di cifre che non sono in grado di dare l’avvio alla costruzione di una NGN nazionale. Basti pensare che portare l’ADSL con una velocità da 2 a 7 Mbit/s in 55 distretti industriali del Paese costerebbe, secondo stime Telecom, 150 milioni di euro, che salirebbero a 210 nel caso di velocità fino a 20 Mbit/s. L’investimento, sul modello di quanto sta avvenendo in Lombardia, dove su 95 milioni 41 li metterà il Pirellone, potrà essere cofinanziato dalle regioni.

È bene sottolineare però che si tratta di interventi per colmare il digital divide, che non hanno a che fare con la NGN ma forse possono fornire un criterio utile per impiegare le risorse pubbliche che saranno disponibili, vale a dire privilegiare la difesa della competitività delle aziende e quindi dei posti di lavoro. Sotto questo punto di vista, le riflessioni svolte dall’Autorità sui benefici economici che gli investimenti nella banda ultra larga sono in grado di portare al paese portano a valutare positivamente anche eventuali politiche di sviluppo della domanda, tra cui non sono da dimenticare gli incentivi al sistema della ricerca universitaria, bersagliata da troppo tempo dai tagli dei fondi pubblici. In questo quadro, dovrebbe essere una priorità a livello politico predisporre un piano dettagliato per lo sviluppo della NGN in Italia, conforme agli obiettivi dell’Agenda Digitale europea, il più possibile condiviso tra le parti sociali. Peraltro si tratta di un obbligo che però ci vede, purtroppo, ancora in ritardo.