Pirateria e dividendo digitale: spunti di riflessione su Relazione Agcom

di di Giandomenico Celata - Univeristà di Roma La Sapienza |

Un’analisi di alcuni controversi aspetti della Relazione annuale dell’Agcom che comprende File-Sharing, ma anche Net Neutrality, NGN e Beauty Contest.

Italia


Giandomenico Celata

Ci sono due accenni che meritano di essere ripresi dalla presentazione del Presidente dell’Agcom Corrado Calabrò alla Relazione Annuale 2011.

Il primo accenno riguarda la cosiddetta pirateria da file-sharing, rispetto alla quale si ripete la necessità di una regolamentazione ma si prende atto che laddove la banda larga è più sviluppata si assiste a un decremento della pirateria online (Leggi Articolo Key4biz). È una ammissione importante, ma non completa. L’Agcom fa ancora fatica a prendere atto di una ampia letteratura scientifica che attesta come l’effetto promozione del file-sharing sia ben più ampio dell’effetto sostituzione. Inoltre, non è tanto la diffusione della larga banda a ridurre la cosiddetta pirateria, quanto la crescita di un’offerta di servizi e contenuti sulla rete Internet. È questa offerta ad essere in grado sia di aumentare sia la domanda di contenuti cosiddetti legali, sia la penetrazione dei pc.  

 

L’Italia è indietro rispetto agli altri Paesi perché soffre principalmente, e in primo luogo, di carenza di offerta. Per quanto riguarda i servizi, il ruolo centrale è svolto ovunque nel mondo (Asia compresa) dalla Pubblica Amministrazione. L’informatizzazione della PA è tra le più avanzate d’Europa. Ma è anche vero che non riguarda il front desk, e quindi il rapporto con il cittadino e le imprese. Le resistenze delle burocrazie e degli interessi costituiti, che vogliono salvaguardare le loro discrezionalità, o anche solo le loro pigrizie, costituiscono un ostacolo gravissimo al riguardo. Lo stesso vale per i contenuti. L’industria italiana, a differenza degli USA e di alcuni Paesi europei, fa fatica ad inoltrarsi nello spazio di mercato proposto da Internet. Questo vale anche per le nostre due più grandi fabbriche di contenuti audiovisivi, Rai e Mediaset. Queste aziende hanno fatto dei primi importanti passi, ma sono ancora irrilevanti rispetto alle straordinarie potenzialità che hanno, specie riguardo le fiction e i film tv, su cui si impiantano le straordinarie performance made in USA (Vudu, hulu, Netflix, ecc.) e UK (BBC).

 

Al riguardo va, poi, sfatato quel luogo comune relativo alla scarsa penetrazione di pc nelle famiglie italiane che tutte le indagini danno al di sotto della media europea. Questi dati vanno contro la percezione che molti di noi hanno riguardo la diffusione di pc, tablet, smartphone e della navigazione Web. Come è possibile? Innanzitutto non si capisce perché nei dati relativi alla penetrazione dei device non si comprendano anche quella ampia gamma di handheld devices tra cui spiccano smartphone e tablet. In secondo luogo quei dati sono incompleti nella loro descrizione. Essi andrebbero, infatti, riconsiderati sulla base dell’età media della popolazione di ciascun Paese. La classifica che ne uscirebbe fuori sarebbe ben diversa.

Quindi non c’è una strana ritrosia italiana a scendere nell’agorà del web, ma una curva demografica con il più basso tasso di natalità dopo il Portogallo (1,3%) e la più alta percentuale di over 65enni (circa il 20% della popolazione) che ci colloca, prima del prossimo ricambio generazionale, ai posti più bassi della classifica.

 

Il secondo accenno riguarda la Net Neutrality. Il presidente Calabrò, nella sua presentazione, incomincia a denudare il re. Lo fa, ovviamente, con la cautela e l’accortezza della sua posizione. Su questo punto è necessario assumere una comune convinzione che la Net Neutrality è come il protezionismo: decisivo ed essenziale nelle fasi di industria nascente; micidiale e negativo se sopravvive nella fase avanzata di sviluppo del ciclo di vita del prodotto. Se ciò accade, inevitabilmente, si creano distorsioni di mercato e selezione avversa.

Nel caso di Internet queste distorsioni riguardano il rapporto tra TLC e consumatori di banda, siano essi motori di ricerca, social network, over the top oppure consumatori finali (imprese, famiglie o PA). Inoltre, falsano la competitività tra le stesse telco, costringendole (selezione avversa) a un servizio dequalificato (lemons).

 

Il Presidente Calabrò, infine, invita le telco ad una ottica non di breve periodo e, quindi, ad agire con maggior convinzione nell’investimento nelle NGN (Next Generation Networks). Al riguardo propone anche l’esempio delle ferrovie degli esordi. Ci si permetta di dire che l’invito è doppiamente defocalizzato. In primo luogo perché gli investimenti italiani in reti delle telco sono in percentuale del fatturato superiori a quelli degli altri grandi Paesi europei. In secondo luogo perché gli investimenti ferroviari tra fine ottocento e gli inizi del novecento furono realizzati da gruppi privati, a differenza di quelli nel sistema prima radiofonico e poi televisivo che ebbero un imprinting pubblico fin dal principio. Ma la sproporzione tra l’impegno finanziario realizzato e la sua redditività richiese successivamente un pesante intervento pubblico, che dura tuttora, in tutti i Paesi europei.

 

Questo tema richiama, poi, il differente trattamento che Governo e, di conseguenza, Agcom riservano agli operatori televisivi e alle telco riguardo la disponibilità di frequenze. Nel primo caso la disponibilità di questo bene pubblico è data secondo il cosiddetto beauty contest, cioè gratuitamente sulla base di un programma di investimenti. Nel secondo caso, quello delle telco, la disponibilità è data sulla base di un’asta (cioè in cambio del pagamento della concessione) e di un programma di investimenti.