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Dividendo digitale: eliminare il lotto B e le frequenze DVB-H per uscire dall’impasse?

Italia


La prossima gara per le frequenze televisive continua a preoccupare.  Davanti all’out, out delle Tv locali, che minacciano già ricorsi al TAR se il governo non rivedrà i compensi per la liberazione delle risorse destinate alla banda larga mobile, le telcos brancolano nel buio.

Un’asta importante, quella per l’assegnazione del dividendo digitale esterno, dalla quale si spera di incassare 2,4 miliardi di euro.

Una proposta per uscire dall’impasse è stata presentata ieri al Forum delle Comunicazioni del Pd, organizzato da Paolo Gentiloni.

 

Nel documento si parla di ‘ingorgo spettrale’ ma soprattutto della posizione delle emittenti locali che hanno chiesto di portare a 720 milioni di euro il rimborso per l’esproprio delle risorse frequenziali.

A riguardo esistono ‘seri dubbi di fattibilità’. Le recenti dichiarazioni del Presidente Agcom Corrado Calabrò e del Ministro Paolo Romani “sembrano, correttamente, condizionare l’aumento del rimborso al raggiungimento di valori di asta superiori ai 2,4 miliardi minimi”. In altre parole, se l’asta dovesse arrivare a 4 miliardi di euro potrebbe essere presa in considerazione l’ipotesi di aumentare a 400 milioni il rimborso delle locali. Bisognerebbe modificare la Finanziaria (che prevede un tetto fisso di 240 milioni) ma si tratterebbe di un problema risolvibile.

 

Il vero problema, si sottolinea nel documento, è che molto difficilmente gli operatori di telecomunicazioni raddoppieranno le offerte in una situazione di totale incertezza sulle possibilità di liberare lo spettro. Dovrebbero addentrarsi “alla cieca” in una giungla di rilanci senza sapere se i livelli raggiunti dall’asta soddisferanno le locali ed eviteranno la guerra dei “ricorsi al TAR”.

“Ogni tecnico delle procedure di asta osserverebbe che questo è esattamente la situazione che un’asta ben progettata vuole evitare”.

“Se esiste un’incertezza sulla disponibilità del bene all’asta, e questo è certamente il caso delle frequenze 800MHz, allora questa incertezza deve far parte degli elementi informativi dell’asta e solo un suo progressivo scomparire (grazie ai meccanismi dell’asta) può garantire che il partecipante prenda decisioni razionali e non rischiose. Il rischio è quello di pagare più del “vero valore” del bene”.

 

Ma allora, perché gli operatori di telecomunicazioni non dichiarano, semplicemente: “In questa situazione di incertezza non parteciperemo alla gara”. La risposta è, secondo il documento, molto semplice: quelle frequenze servono agli operatori.

 

Ci sono moltissimi studi internazionali, si ricorda nel documento, che dimostrano come solo la disponibilità di quella porzione di spettro renderà profittevoli i business plan della banda larga per gli operatori mobili. “Dunque le Telco non possono rischiare di non avere quelle frequenze, debbono partecipare alla gara e, possibilmente, debbono assicurarsi le frequenze migliori per non rischiare di rimanere tagliati fuori dal mercato della banda larga mobile”.

Il timore è che tutto questo non eviterà i ricorsi al TAR, almeno fino a quando i valori raggiunti dall’asta non raggiungeranno livelli (purtroppo ignoti ai partecipanti) in grado di garantire alle locali un rimborso giudicato congruo.

Senza nuovi interventi le frequenze della banda 800MHz e le frequenze destinate al beauty contest saranno messe all’asta e aggiudicate ad operatori TLC o a nuovi entranti ma saranno difficilmente liberabili.

 

Le richieste delle emittenti locali sono molte ma possiamo sintetizzarle nelle seguenti: (a) consentire il trasporto di contenuti nazionali sui multiplex locali; (b) ridurre il numero dei multiplex nazionali; (c) aumentare il rimborso rispetto ai previsti 240 milioni di euro;

 

per quanto riguarda il punto (a). Le locali rivendicano il proprio “status” di operatori di rete e rivendicano il diritto di trasportare (con gli appropriati LCN) contenuti nazionali sui propri multiplex. Al contrario, la Delibera 212/11/CONS dell’AGCOM mette a consultazione pubblica la proposta di ospitare, in ciascun multiplex, almeno 6 programmi a definizione standard, di limitare (al 20-30% del totale) la possibilità di trasportare contenuti nazionali sui multiplex locali ed infine il divieto di trasportare programmi di operatori di rete nazionali.

Proposta 1:  Il primo intervento a favore dell’emittenza locale (per altro a costo zero) dovrebbe essere quello di riconoscere loro concretamente lo “status” di operatori di rete (che formalmente già hanno) e di consentire loro di cedere la capacità trasmissiva dei propri multiplex a fornitori di contenuti nazionali (con relativo LCN). Contrariamente a quanto proposto nel documento posto a consultazione pubblica dall’AGCOM, il nuovo regolamento per la televisione digitale terrestre dovrebbe prevedere che l’obbligo ad irradiare 6 programmi a definizione standard (o 3 in alta definizione) possa essere soddisfatto sia  con contenuti propri che con contenuti di altri fornitori, anche nazionali. Il ruolo di garanzia del pluralismo delle voci a livello locale  potrebbe essere garantito imponendo un limite inferiore alla capacità trasmissiva destinata al trasporto di contenuti propri (ad esempio il 30%).

 

Inoltre, il vincolo di non cedere capacità trasmissiva a “fornitori di contenuti nazionali controllati da o collegati con gli operatori di rete televisiva nazionale” dovrebbe essere rimosso. Per limitare l’eventuale occupazione abnorme della capacità trasmissiva da parte delle emittenti nazionali è infatti sufficiente il “cap” del 20% della capacità trasmissiva totale utilizzabile da parte dello stesso fornitore di contenuti.

Il secondo intervento possibile è quello di ridurre il numero di multiplex destinati all’emittenza nazionale. Infatti, la soluzione naturale al problema creato dalla sottrazione di 9 canali (61-69) da parte dell’Asta TLC è quella di “riscrivere” il Piano AGCOM riducendo il numero di reti nazionali e locali, nella proporzione “aurea” di 2/3 per le nazionali e 1/3 per le locali.  

Come detto, il Piano AGCOM prevede la realizzazione di 25 reti nazionali, comprese le 6 reti destinate al beauty contest (5 reti DVB-T e 1 rete DVB-H), e almeno 13 reti locali per ciascuna area tecnica. Sarebbe dunque ragionevole che le 9 frequenze della banda 800MHz fossero liberate riducendo di 6 il numero di reti nazionali e di 3 il numero di emittenti locali.

Le regole generali per l’assegnazione dei nuovi multiplex digitali terrestri agli operatori esistenti e ad eventuali “nuovi entranti” sono state definite, sempre dall’AGCOM, nella Delibera 181/09/CONS e implicano che 19 dei 25 multiplex nazionali debbano essere assegnati agli operatori che gestivano, prima dello switch-off, reti analogiche e multiplex digitali a copertura nazionale (c.d “legacy”). 

Per i due principali operatori, RAI e Mediaset, la “legacy” sarà costituita da 4 multiplex digitali DVB-T e e 1 multiplex digitale DVB-H.

Per i rimanenti 6 multiplex nazionali (dividendo digitale interno), la Delibera 497/10/CONS riserva dunque tre multiplex (Lotto A) ai nuovi entranti, due multiplex (Lotto B) a tutti gli operatori, inclusi RAI e Mediaset, ed infine, un multiplex (Lotto C) alle trasmissioni in tecnologia DVB-H o DVB-T2 (evoluzione del DVB-T), alla cui aggiudicazione possono concorrere esclusivamente operatori che non gestiscano attualmente un multiplex DVB-H o più di due reti analogiche nazionali.

 

La nostra Proposta alternativa (la seconda), si ricorda nel documento, prevede l’eliminazione del Lotto B dalla gara beauty contest. Si tratta, come detto, di un lotto al quale possono partecipare tutti gli operatori ma che, per la natura stessa degli elementi di giudizio di un beauty contest, vedrebbe particolarmente avvantaggiati i due operatori dominanti (RAI e Mediaset).

 

L’eliminazione del lotto B dalla gara consentirebbe il recupero di due multiplex di Piano e ridurrebbe a 23 il numero di reti nazionali.

 

Per altro, questa misura potrebbe essere accompagnata dall’eliminazione immediata del vincolo d’uso sulle frequenze DVB-H.

Si tratta infatti di un vincolo che costringe l’assegnatario ad utilizzare una specifica tecnologia (il DVB-H) per il servizio TV in mobilità e che quindi è in contrasto con le attuali tendenze del mercato e non tiene conto del principio europeo (recentemente ribadito dal Parlamento Europeo e presente nel Nuovo Quadro Regolamentare) di una gestione neutra dello spettro frequenziale sia sotto il profilo della tecnologia che dei servizi.

 

E’ infatti evidente che la diffusione del video-streaming, nell’ambito del più generale sviluppo dell’accesso mobile ad Internet sulle reti 3G, ha raffreddato l’originale interesse di broadcaster ed operatori mobili per la tecnologia DVB-H. Nei principali paesi europei,  gli operatori che avevano avviato il servizio sono stati costretti ad uscire dal mercato e, in alcuni casi, a restituire le frequenze. Anche in Italia, TIM e Vodafone hanno recentemente deciso di abbandonare questa tecnologia non rinnovando (o interrompendo in anticipo rispetto alle scadenze) l’accordo per la diffusione di contenuti sulla rete DVB-H di Mediaset. A livello internazionale, per altro, l’interesse degli operatori mobili è decisamente orientato su tecnologie innovative di broadcasting mobile come il DVB-NGH (disponibile dal 2014) e l’ IMB (Integrated Mobile Broadcast) che garantiscono una più alta interoperatività con i sistemi mobili LTE. Queste tendenze del mercato rendono estremamente rischioso riservare una porzione di spettro ad uno specifico servizio e ad una tecnologia in via di obsolescenza.

 

“La nostra proposta, al contrario, prevede che la previsione di un uso flessibile e tecnologicamente neutro delle frequenze DVB-H possa essere deliberato prima della gara beauty contest, riequilibrando la perdita (potenziale) dei multiplex a gara nel Lotto B”, si precisa nel documento.

Resta da vedere come la mancata messa a gara dei multiplex del lotto B consenta di risolvere alcuni dei principali problemi dell’ingorgo ed in particolare consenta di assicurare alle emittenti locali le risorse garantite dalla legge.

 

Per il documento serve inoltre una nuova politica di gestione dello spettro:  “In Italia, il numero di specialisti dedicati a questo compito di fondamentale importanza per il Paese ammonta (tra Autorità e Ministero) a poche unità e gli strumenti tecnici a disposizione delle due istituzioni sono, al momento, estremamente limitati”.

La Proposta 3 prevede che la gestione dello spettro (pianificazione, monitoraggio, coordinamento internazionale) venga effettuata dall’AGCOM. Il Ministero potrà concentrarsi sulla politica industriale.

 

La Proposta 4 è relativa al potenziamento degli strumenti conoscitivi sull’uso dello spettro. Il documento propone di riprendere l’iniziativa di una Spectrum Review italiana, della realizzazione di un Catasto completo delle Frequenze e delle Infrastrutture e delle Attività di Coordinamento Internazionale. Affidando il compito al team di Gestione dello Spettro dell’AGCOM.

 

Lo spettro deve essere gestito secondo i principi della neutralità tecnologica e della neutralità dei servizi.

Nella Proposta 5, si dice che lo spettro si paga, sia in fase di assegnazione iniziale (con asta o beauty contest con entry fee) che durante l’uso, per mezzo di tariffe incentivanti (AIP).

Molti dei futuri sviluppi della tecnologia sembrano andare nella direzione di un uso non regolato della risorsa spettrale. E qui arriva la Proposta 6:  Incoraggiare lo sviluppo della “cognitive radio”, dedicando in modo esclusivo a queste tecnologie una porzione di banda (almeno in una prima fase sperimentale) e definendo le regole tecnico-amministrative per uno “sharing” volontario delle frequenze basato su corrispettivi economici.

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