Quote e nuove norme? Non bastano senza una più realistica rappresentazione mediatica dell’universo femminile

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Gabriella Cims

Riportiamo di seguito un articolo a firma di Gabriella Cims, Promotrice Appello Donne e Media (Esperta di regolamentazione dei media, Ministero dello Sviluppo Economico), relativo alla Tavola rotonda su ‘Pubblicità e TV: un difficile connubio'(Roma, 8 giugno 2011).

 

 

Una visione ridotta della società. E’ questa la nostra dieta mediatica. C’e infatti tutta una realtà femminile, che costituisce almeno il 50%, che non viene ben “raccontato” dai mezzi di comunicazione, in primis dalle televisioni.

Quante donne nel nostro Paese lavorano, si impegnano, hanno successo nei più diversi ambiti, dando un grande contributo di crescita alla società?

E quanto spazio hanno per illustrare questa straordinaria realtà, al pari di quello che viene attribuito alla pletora di miss, ragazze immagine o concorrenti di realities?

 

Il rischio vero è far continuare a crescere una civiltà che ha una percezione stereotipata, quindi ridotta, del ruolo che le donne possono svolgere nella realtà. E’ ovvio che poi non ci siano quote che tengano per sostituire il danno provocato da una subcultura così permeante. E’ un ossimoro voler realizzare per regolamento tutto il contrario di quello che viene iniettato quotidianamente, attraverso il complesso dei media, nella linfa delle nostre percezioni.

 

La questione è profondamente culturale.

 

Non si può ignorare l’esistenza e il ruolo dei mezzi di comunicazione che raccontano il tipo di società in cui operano, ma al tempo stesso prefigurano i modelli di riferimento per l’immaginario collettivo, sedimentando quotidianamente nei nostri percettori i modelli raccontati come vincenti.

O è un caso il gran numero di ragazze italiane che vuol fare “la velina” da grande? O è un caso l’aumento a dismisura della violenza sessuale di minorenni a danno di coetanee?

Dobbiamo chiederci quanta responsabilità abbiano quei ragazzini e quanta chi ha trasmesso loro una percezione assai distorta della femminilità.

Orpello ornamentale per accalappiare facilmente audience. E’ a questo che vogliamo ricondurre la femminilità?

Occorre cambiare registro con urgenza, intervenendo con opportune riforme. Proprio in questi giorni è entrata in vigore la prima profonda riforma della tv pubblica.

 

Un anno fa, chi scrive, ha lanciato un appello alle istituzioni e nel web. L'”Appello Donne e Media” ha raccolto migliaia di sottoscrizioni di donne e uomini attorno ad un piano di riforme ben preciso. Abbiamo fatto massa critica riuscendo a balzare dal web, con la campagna di key4biz, all’Agenda politica del Paese, con dibattiti che si sono svolti all’interno delle istituzioni, chiamate a confrontarsi con un’esigenza sempre più sentita e con le soluzioni puntuali che abbiamo proposto.

Il primo cittadino, il Presidente della Repubblica, ci ha inviato il suo messaggio pubblico di sostegno.

Oggi sono più di un migliaio i soggetti, singoli e associazioni, che sostengono il piano di riforme avviato con l’Appello. Abbiamo già ottenuto l’approvazione del primo punto della nostra road map: verranno infatti pubblicati in Gazzetta Ufficiale, proprio in questo mese, i 12 emendamenti che abbiamo elaborato per aggiornare il contratto di servizio della tv pubblica. Sono 12 nuovi impegni che Rai ha accettato di assumersi e sono altrettanti diritti da far valere per una programmazione più “rispettosa della dignità umana, culturale e professionale delle donne”.

 

Per un’attuazione soddisfacente, tuttavia, molto dipenderà dal grado di attenzione che riusciremo a tenere sul tema. La questione poi non è circoscritta solo alla Rai. Il servizio pubblico, certo, può porsi quale avanguardia anche per le altre tv e gli altri soggetti che operano nella comunicazione. Ma in generale occorre intervenire, come abbiamo già previsto, con una regolamentazione che investa tutti i settori, in linea con gli altri paesi europei, dove esistono regole ed organismi appositi. E’ per questo che da oltre un anno abbiamo chiesto la convocazione di un tavolo di confronto tra istituzioni, industrie dei servizi audiovisivi e associazioni, per dotare anche il nostro sistema di un quadro chiaro sulla rappresentazione delle donne e l’uso dell’immagine femminile in tutti i mezzi di comunicazione. Occorre inoltre un organismo ad hoc che controlli ma che abbia anche funzioni propositive per rispondere alle esigenze di un “racconto mediatico” più realistico e plurale dell’emisfero femminile.

Per parte nostra continueremo a sollecitare l’opinione pubblica e le istituzioni a riflettere ed agire per dotarci di un comparto mediatico in grado di rappresentare la pluralità della realtà femminile, ricca e variegata qual è. Affinché i mezzi di comunicazione non trascurino buona parte della società. Affinché la società non disperda buona parte di sé.

 

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