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LinkedIn: occhi puntati sull’IPO dell’anno. Prezzo ritoccato del 30%

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L’introduzione in Borsa di LinkedIn, il social network dedicato ai professionisti, avverrà presumibilmente domani e a un prezzo superiore del 30% alle stime iniziali, confermando l’incontenibile appetito degli investitori per le star del web 2.0 nell’IPO che è considerata il primo ‘test’ dell’accoglienza sul mercato pubblico delle social media company – da Facebook a Twitter, da Zynga a Groupon – che hanno spopolato negli ultimi mesi sul mercato privato.

 

Fondato nel 2002 da Reid Hoffman e da società di venture capital tra cui Bessemer Venture Partners, Sequoia Capital e Greylock Partners, nel 2010, il social network ha registrato utili per 15,4 milioni di dollari su un fatturato di 243 milioni. Il sito permette agli utenti di inviare curriculum e scambiare messaggi e informazioni con amici, colleghi e contatti commerciali e genera la maggior parte dei ricavi dalle aziende che pagano per assumere e per farsi pubblicità.

LinkedIn, che conta circa 100 milioni di utenti sparsi in 200 paesi, prevede di piazzare qualcosa come 7,84 milioni di azioni a un prezzo compreso tra 42 e 45 dollari ciascuna, contro la forchetta di 32-35 dollari prevista in precedenza, per una valorizzazione di 4,3 miliardi di dollari, dai 3,3 stimati nelle scorse settimane. Si tratterebbe di una capitalizzazione di mercato pari a 258 volte i profitti 2010. Per fare un confronto, l’attuale valutazione di Google è di 170 miliardi, meno di sei volte le entrate registrate dal motore di ricerca lo scorso anno.

 

LinkedIn è il primo social network a sbarcare in Borsa e la sua IPO sarà quindi un test per tutte le altre società web-oriented che contano di seguire questa strada quest’anno, dopo l’entusiasmo scatenato sul mercato privato, che ha alimentato i timori di una nuova bolla speculativa. Tutti con gli occhi puntati ad aspettare come andrà, per capire se l’IPO sia il preludio di una nuova bolla come quella che alla fine degli anni 90 ha riguardato le cosiddette dot.com.

Molti sostengono di no, in quanto le start up degli anni ’90 avevano enormi ambizioni e profitti gracili, mentre oggi, stelle nascenti come Groupon e Zynga registrano vendite fenomenali e utili rispettabili. E a sostegno delle loro tesi, coloro che affermano che stavolta è diverso sottolineano anche che la bolla degli anni ’90 si è estesa solo dopo la quotazione in Borsa delle società, quando “ingenui investitori ne hanno pompato il prezzo a livelli folli”.

 

Le valutazioni relative alle social media company del nuovo millennio, che agli occhi degli sprovveduti potrebbero sembrare l’anticamera di una nuova bolla, sono invece basate sull’analisi delle potenzialità di “aziende serie con opportunità globali davanti a loro”, ha affermato l’analista John O’Farrell di Andreessen Horowitz.
 

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