PR Guerrilla. Facebook ammette: ‘Burson-Marsteller pagata per screditare Google’

di Alessandra Talarico |

Nuovo capitolo nella battaglia tra le due web company. Come se la caverà stavolta Facebook?

Stati Uniti


Facebook vs Google

Messo di fronte all’evidenza, Facebook non ha potuto far altro che ammettere di aver pagato una nota agenzia di Public Relations per buttare fango su Google. Il caso è emerso in seguito alle rivelazioni del quotidiano USA Today, che ha rivelato come un consulente della Burson-Marsteller – John Mercurio – avesse contattato importanti media company e tecnici di alto profilo, per conto di un ignoto cliente, per diffondere una serie di accuse, in gran parte infondate, relative alle policy sulla privacy del gigante di Mountain View. Giovedì, quindi, il blogger  Dan Lyons, di The Daily Beast, rivela: è Facebook il misterioso cliente di Burson.

L’agenzia, in una nota, ha spiegato che la società “non avrebbe mai accettato di svolgere questo incarico per conto di Facebook”, in quanto avrebbe violato le proprie policy e procedure, mentre Facebook ha rilasciato un comunicato per dire che “nessuna campagna denigratoria è stata mai autorizzata o prevista”.

“Abbiamo ingaggiato  Burson-Marsteller per concentrare l’attenzione sull’argomento, utilizzando informazioni pubbliche che potevano essere verificate in maniera indipendente dai media e dagli analisti”, ha spiegato il gruppo di Mark Zuckerberg, sottolineando che “i temi in questione sono seri e noi avremmo dovuto presentarli in maniera seria e trasparente”.

Sullo sfondo, la crescente battaglia tra i due giganti del web per estrarre la fetta più grossa dei profitti del mercato pubblicitario dalle informazioni fornite dai clienti.

Schermaglie cominciate a novembre dello scorso anno, quando Google ha bloccato l’accesso e l’importazione automatica dei contatti Gmail su Facebook, impedendo di fatto agli utenti del social network di di rintracciare i loro contatti Gmail già iscritti al servizio. Il gruppo di Mountain View accusava il social network di attingere a man bassa dai dati degli utenti dei servizi Google, senza permettere a sua volta l’accesso ai dati dei suoi 600 milioni e passa di abbonati e difendeva la sua decisione presentandola come una misura destinata a permettere agli utenti di aumentare il controllo sulle informazioni personali, spiegando che i siti come Facebook conducono gli utenti in un “vicolo cieco di dati”. Facebook ha risposto proponendo ai suoi utenti di scaricare la lista contatti Gmail sul Pc per poi caricare i dati su Facebook. Al che Google  ha contrattaccato, ripescando dai suoi archivi il servizio Social Circle: ideato per aiutare gli utenti Gmail a trovare contenuti web pubblici da persone conosciute, il servizio permette ai Gmailer di connettersi a Facebook, Flickr, LinkedIn, Twitter e ad altri account web.

Facebook. quindi, avrebbe assunto Burson per gettare fango su Social Circle e le suo policy sulla privacy.

 

“Google vuole i dati di Facebook, e anche Facebook vuole qualche dato da Google”, ha spiegato Kevin Lee, consulente per la DidIt. “Ora che la storia è uscita fuori sarà affascinante comprendere come mai una azienda come Burson sia stata tentata a immischiarsi in questa sorta di guerrilla”.

 

“L’incidente – ha commentato invece Rosanna Fiske, CEO di Public Relations Society of America – porta alla luce una serie di questioni tra le quali quella della privacy e dell’etica. E’ tempo che le compagnie hi-tech mettano da parte le loro pulsioni competitive e considerino il punto di vista degli utenti, che meritano informazioni accurate e veritiere”.

 

Secondo il Ponemon Institute – che si occupa di privacy – Google è nettamente superiore a Facebook in termini di percezione da parte dei consumatori: la società di Mountain View è al 19esimo posto tra quelle più affidabili in termini di rispetto della privacy, nonostante le diverse polemiche spesso accompagnate ai suoi nuovi servizi, mentre Facebook non compare neanche tra le prime 20.

“Google continua a essere considerata un’organizzazione che rispetta le best practice sulla privacy, anche se è un mostro in termini di raccolta di informazioni”, ha affermato Larry Ponemon.