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Connected Tv: i broadcaster chiedono stessi obblighi fiscali per gli OTT

Europa


I broadcaster francesi sono pronti a investire nella Tv connessa, ma a una condizione: stesse regole fiscali per gli Over-The-Top.

E’ quanto emerso nel corso di una lunga riunione tenutasi al Consiglio superiore dell’audiovisivo dove i rappresentanti del mercato Tv hanno ribadito ancora un volta che le web company che propongono servizi televisivi dovranno essere sottoposti alle stesse norme in materia di fisco e di finanziamento alla produzione.

Riguardo alla connected Tv, non si sa ancora che forma prenderà negli anni a venire e che modelli di fruizione imporrà, ma si sa bene cosa offrirà agli utenti: collegamento internet dal televisore, consultazione di servizi annessi (meteo, programmi tv…) attraverso widgets che appaiono sullo schermo, accesso ai social network o al video on demand.

“La Tv connessa non deve far paura“, ha detto con enfasi il presidente del CSA Michel Boyon, aggiungendo: “E’ una cura di giovinezza!”.

“Rappresenta un progresso che darà maggiore possibilità di scelta ai telespettatori”.

Tutti i grandi broadcaster hanno già cominciato a investire nel digitale, moltiplicando per esempio le offerte di catch-up tv o video on demand.

Tuttavia, ha ammesso Boyon, esistono dei “rischi reali“: più precisamente, i giganti del web come Google, Apple o Netflix (piattaforma USA specializzata nel noleggio online di film e programmi di entertainment) che hanno fatto da tempo il loro ingresso su un mercato fino a poco tempo fa dominio esclusivo dei broadcaster, potrebbero falsare la concorrenza potendo disporre di mezzi superiori e non essendo sottoposti agli stessi obblighi che invece riguardano i canali tv.

Un aspetto messo in luce dal presidente di TF1, Nonce Paolini, il quale ha ricordato che Google ha un valore di borsa 100 volte quello dell’emittente francese e Apple 50 volte.

Non serve sicuramente adottare politiche protezionistiche, ma è necessaria una nuova regolamentazione in materia fiscale visto che iTunes, la piattaforma di video e musica di Apple, versa nel Lussemburgo un’Iva quattro volte inferiore e Google paga il 4% di tasse sulla pubblicità grazie a un complicato sistema di assegnazione di licenze.

Un quadro allarmante, ha detto Paolini, che ci mette in uno stato di ‘debolezza cronica’. Internet si oppone alla Tv nella battaglia che si consuma nel salotto di casa ma dove non esistono regole.

Oltre al tema fiscale, che pur solleva diverse polemiche, le web company non hanno gli stessi obblighi in termini di finanziamento della produzione, della creazione e di pluralismo e qualità dei palinsesti, in particolare per quanto riguarda la tutela dei minori.

“Non è accettabile che gli operatori stranieri possano trasmettere contenuti in contraddizione totale” con le leggi francesi, ha insistito Nonce Paolini, mentre Nicolas de Tavernost, presidente di M6, ha reclamato “diritti (di broadcasting) più lunghi ed esclusivi”.

“La regolamentazione è indispensabile“, ha assicurato Michel Boyon, “e non si deve pensare che se mancano regole per quello che viene trasmesso via web anche la Tv possa sottrarsi. La produzione francese non deve essere sedotta da una prospettiva simile”.

“I broadcaster devono contribuire al sostegno del cinema nazionale e hanno degli obblighi di investimento nella produzione”, ha ricordato Philippe Bailly di NPA Conseil.

Vale a dire, una Tv che trasmette una fiction in Francia la finanzia al 70-80%. Si tratta di un impegno considerevole in termini economici.

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