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Ricerche online: Google condannata dal Tribunale di Milano a rimuovere link diffamatori

Italia


Il Tribunale di Milano ha dato ragione a un imprenditore italiano e ha imposto a Google di rimuovere alcuni collegamenti che venivano elencati automaticamente dal servizio Google Suggest digitando il suo nome. La vicenda parte dalla denuncia di un imprenditore finanziario, tale A.B., che inserendo il suo nome sul motore di ricerca aveva notato che a esso venivano associati termini quali ‘truffa’ o truffatore’. Questo grazie alla funzione Google Suggest, per mezzo della quale il motore suggerisce alcuni termini mentre ancora l’utente sta terminando di inserire la query, per far risparmiare tempo.

 

Secondo i giudici di Milano, come già stabilito dalla sentenza di primo grado contro cui Google aveva presentato ricorso, l’accostamento di termini in grado di ledere la professionalità o la dignità di una persona costituisce una pratica diffamatoria. Dal momento, poi, che l’attività del querelante ruota sostanzialmente attorno al mondo finanziario e che, come evidenziato dalla sentenza, “uno degli aspetti maggiormente presenti nei corsi e nelle pubblicazioni del ricorrente è l’attività di ‘trading'”, è facile che chiunque inserisse su Google il suo nome e cominciasse a digitare la lettera T si trovasse nella tendina sottostante i termini considerati diffamatori.

 

Google dovrà dunque ritirare questi ‘suggerimenti’ dal motore di ricerca, così come stabilito anche dal Tribunale di Parigi  su un caso simile lo scorso anno, quando i giudici parigini hanno dato ragione a un utente che era stato condannato per corruzione di minore – sentenza contro cui è stato presentato ricorso. Anche M.X., queste le iniziali dell’utente, aveva constatato che effettuando una ricerca col suo nome e cognome attraverso ‘Google Suggest’ i risultati di ricerca proponevano espressioni quali ‘M.X. il satanista’, ‘MX lo stupratore’, o ancora ‘MX i prigione’.

Espressioni che Google ha dovuto fare sparire dai risultati di ricerca, pena la condanna al pagamento di 500 euro al giorno per violazione. Secondo i giudici del Tribunale di Parigi, infatti, “queste proposte, prese separatamente, ma più ancora associate le une alle altre, costituiscono – almeno implicitamente – fatti specifici, in grado di gettare vergogna su chi ne è il soggetto”.

Posizione condivisa anche dai giudici di Milano, secondo cui l’associazione di termini denunciata dall’imprenditore è in effetti “foriera di danni al suo onore, alla sua persona ed alla sua professionalità”.

 

Google si è detta ‘delusa’ dalla sentenza, non ritenendosi responsabile di risultati previsti attraverso algoritmi che si basano sulle ricerche effettuate in precedenza dagli utenti. Il gruppo ha spiegato che non si può parlare di ‘diffamazione’, trattandosi non di espressioni frutto di un ‘pensiero cosciente’, bensì di un algoritmo: i suggerimenti di ricerca proposti, sono infatti il risultato di un sistema automatizzato che pesca da una banca dati che recensisce i termini più usati dagli internauti.

I giudici invece, hanno stabilito che la funzione di autocompletamento non è più neutrale quando abbina i termini in maniera impropria e hanno equiparato Google a un hosting provider, dal momento che il motore non solo ricerca le informazioni ma conserva una copia dei siti sui suoi server. Una posizione, questa,  condivisa anche dalla Ue, che vorrebbe assimilare le responsabilità dei motori di ricerca ai siti che ospitano contenuti.

 

Già lo scorso anno, a pochi mesi dal debutto di Google Suggest, sempre in Francia, la società Direct Energie aveva denunciato che inserendo il proprio nome nel motore di ricerca veniva suggerito come prima chiave di ricerca l’espressione Direct Energie arnaque (bidone, fregatura), con le conseguenti ripercussioni negative sull’immagine della società. Anche in quel caso, quindi, il gruppo di Mountain View era stato condannato a rimuovere l’espressione dai risultati di ricerca.
 

La sentenza del tribunale di Milano fa il paio con con quella recente del tribunale di Roma, che ha imposto a Yahoo! di bloccare i collegamenti ai siti riproducenti in tutto o in parte il film ‘About Elly’ (leggi articolo).

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