Facebook da start-up a stratega della realpolitik: ingaggi politici per non cadere sotto gli strali della giustizia?

di Raffaella Natale |

Con la nomina di Robert Gibbs aumentano gli ex politici che lavorano per la società. Secondo gli analisti Mark Zuckerberg vorrebbe evitare gli errori commessi da Microsoft e Google e imbonirsi la politica americana.

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Mark Zuckerberg

Facebook spera di batter sul tempo le altre start-up del mercato internet e per farlo ha ben pensato di trovare nuovi ‘amici’ a Washington. Il management della società s’è infatti arricchito di uomini di spicco provenienti dal mondo politico. Sheryl Sandberg, ex dirigente dell’amministrazione Clinton ricopre il ruolo di Chief operating officier, ma c’è anche il consulente Ted Ullyot, molto vicino alle posizioni del Partito Repubblicano, e Antonin Scala ex funzionario della Corte suprema.

Adesso il social network più potente del mondo sta cercando di tirar dentro anche Robert Gibbs, che fino a poco tempo era il responsabile dell’ufficio stampa del Presidente Barack Obama.

 

L’obiettivo è quello di ridefinire il concetto di privacy, aspetto molto controverso e dibattuto nell’era delle social community, e adeguare gli strumenti di comunicazione e pubblicità alle nuove esigenze di internet.

 

Facebook non vuole finire sotto gli strali della giustizia, come è accaduto a Google e Microsoft, ed è ben consapevole della propria influenza sulla situazione socio-economica del web. E’ quindi passato all’azione e, alla velocità della superbroadband, s’è costruito una difesa coraggiosa trasformandosi da start-up a stratega della realpolitik.  

 

“L’informazione è l’oro o il petrolio dell’economia nell’era di internet“, ha commentato Paul M. Schwartz, professore di diritto ed esperto di IT all’Università della California.

Per Schwartz,  sembra che Facebook abbia capito in fretta che la domanda di regolamentazione diventa sempre più insistente non solo da parte degli utenti e delle lobbies ma soprattutto dei competitors. Bisogna agire in fretta.

 

Al momento la società di Mark Zuckerberg non ha voluto riferire nulla sui colloqui intercorsi con Gibbs ma sa bene che avere una presenza di Washington nel proprio management gli permetterebbe di far comprendere meglio i propri servizi, le numerose applicazioni e le politiche di privacy a legislatori e regolatori. Ma soprattutto prepararsi all’ormai prossima quotazione in Borsa, prevista per l’inizio del nuovo anno.

 

Ma ha minimizzato sull’importanza di avere collegamenti trasversali col mondo politico statunitense.

 

Marne Levine, ex funzionario dell’amministrazione Obama che dallo scorso anno ricopre nella compagnia il ruolo di vicepresidente della global public policy, ha spiegato: “Il gruppo è alla ricerca di appassionati di Facebook che conoscano e possano anticipare le problematiche politiche e soprattutto risolverle al meglio”.

Riguardo alla diversa estrazione politica dei nuovi manager, la Marne ha precisato che l’intenzione è quella di contribuire alla governance della società con differenti punti di vista.

Opinione non condivisa da alcuni analisti che invece sostengono che ‘furbescamente’ Facebook sta tentando di affiliare politici per smorzare le crescenti critiche sulle proprie strategie aziendali.

In ogni caso, una simile scelta darà inevitabilmente al social network una notevole influenza sul panorama politico statunitense.

 

Chris Jay Hoofnagle, responsabile privacy all’università della California, ha commentato che adesso sarà molto difficile far comprendere al Congresso che Facebook rappresenta un serio rischio per la privatezza.

I dirigenti del gruppo avrebbero non solo potenti ‘strumenti’ per far valere le loro ragioni ma, in caso fossero eletti, potrebbero far passare l’idea che Facebook sia anche un potente strumento di campagna elettorale. Chi potrà più toccare Facebook?

 

Non a caso il numero due di Zuckerberg è Sheryl Sandberg che, mentre lavora per il gruppo, non ha smesso di coltivare i potenti legami col Partito Democratico.

Accanto a lei lavorano Marne Levine, che fu capo dello staff del National Economic Council della Casa Bianca, e Timothy D. Sparapani, ex membro dell’ American Civil Liberties Union.

Facebook non ha tralasciato il Partito Repubblicano e nel 2008 ha tirato dentro Ted Ullyot, avvocato della Casa Bianca e capo del team di Alberto Gonzales durante l’amministrazione di George W. Bush. Il mese scorso ha ingrossato le file assumendo Catherine Martin, vice-assistente del presidente Bush e vicedirettore alla Comunicazione.

 

L’operazione politica di Facebook resta piuttosto modesta se paragonata a quella dei propri competitors. Nel 2010 la società ha speso 350 mila dollari in lobbying, molto meno dei 5,1 milioni investiti da Google secondo OpenSecrets.org.

Al momento sono solo 10 i dirigenti provenienti da Washington. Ma non è detto che non aumenteranno visto che ieri il gruppo s’è trasferito nella nuova sede e il numero degli uffici fa pensare che presto lo staff crescerà e anche tanto.  

Le sale per le conferenze sono numerose e i loro nomi rispettano il classico umorismo dell’azienda: passiamo da Rose Garden a Camp David, An Undisclosed Location, Smoke-Filled Room e Kissing Babies.

 

Facebook ha imparato la lezione, studiando soprattutto quanto è successo a Microsoft e Google. E’ un caso che per l’Europa abbia ingaggiato Richard Allan, un ex deputato britannico?

La nuova regola è quindi assumere quelli che sanno qualcosa o conosce qualcuno?

 

Intanto non disdegna i manager di altre aziende. Mark D’Arcy, presidente di Global Media Group, controllata di Time Warner, è infatti il nuovo director delle soluzioni creative internazionali, che dovrà rendere attrattive le offerte pubblicitarie del servizio di social network.

L’incarico sarà effettivo dall’inizio di maggio e D’Arcy diventerà responsabile di un team incaricato di sviluppare idee che permettano agli sponsor di utilizzare Facebook nelle loro campagne pubblicitarie.

 

L’intento è di sfruttare nuove strategie volte a un marketing più mirato basato sulle preferenze degli utenti della rete sociale.