IPv6: Lepida ha già adottato il nuovo protocollo, ma Italia indietro rispetto all’Europa

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L'Italia, per ora, non brilla per attenzione al problema: secondo i dati di Ripe, solo il 25% degli operatori ha richiesto già indirizzi IPv6, contro il 50% della Germania.

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L’ultimo blocco di indirizzi IPv4 è stato consegnato ufficialmente ai Registrar mondiali da Rod Beckstrom, presidente di Icann, l’ente internazionale che gestisce i nomi a dominio del web. Terminati, anche se l’ultimo “pacchetto” consegnato durerà ancora un po’. Ma è questione di settimane, o alcuni mesi, poi la mancanza di indirizzi avrà effetti concreti: non si potranno più accendere nuovi server o ideare nuovi servizi.

 

Certo, ci sono escamotage per amministrare al meglio gli indirizzi esistenti, come il Nat che consente a più utenti la navigazione con lo stesso indirizzo grazie ad una ulteriore differenziazione basata sulla porta del servizio.
Questa tecnica ha già consentito di risparmiare indirizzi, ma le attuali esigenze di mobilità, l’utilizzo di più accessi contemporanei da parte di singole persone, il fortissimo aumento di servizi richiesti dalle realtà emergenti, la necessità di identificare e comandare sempre una maggiore quantità di oggetti e la convergenza di tutte le infrastrutture di telecomunicazioni verso Internet hanno accelerato il processo di esaurimento. La soluzione “vera” fortunatamente esiste già ed è l’IPv6 ossia l’indirizzamento Internet di nuova generazione.

 

Con 128 bit di indirizzamento (al posto degli attuali 32 che hanno consentito di assegnare circa quattro miliardi di indirizzi) lo spazio a disposizione diventa gigantesco, in grado di soddisfare le esigenze di oggi, di domani e, forse, anche di sempre. Lepida SpA – lo strumento operativo promosso dalla Regione Emilia-Romagna (RER) per la pianificazione, lo sviluppo e la gestione omogenea ed unitaria delle infrastrutture di Telecomunicazione degli Enti collegati alla rete Lepida – ha già adottato il protocollo IPv6. Ma una rete di comunicazione è tale se esiste una relazione di reciprocità. Occorre quindi che i principali operatori riconfigurino la propria rete in modo da supportare il nuovo standard, cambiando alcune impostazioni dei propri apparati o sostituendoli se sono vecchi e non supportano ancora l’IPv6.

 

L’Italia, per ora, non brilla per attenzione al problema: secondo i dati di Ripe, Regional Internet Registry europeo, solo il 25% degli operatori ha richiesto già indirizzi IPv6, contro il 50% della Germania (dove da due anni la Pubblica Amministrazione è già passata al nuovo protocollo), il 39% della Francia, il 42% della Grecia, e il 34% del Regno Unito.

La difficoltà ora non è solo nella parte di rete, ma anche relativa ai sistemi operativi e alle applicazioni. Sempre più ci si chiede cosa e come modificare le configurazioni e gli sviluppi per tenere conto di IPv6.(a.t.)