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La Giustizia americana ha “messo i sigilli” alla biblioteca digitale di Google, respingendo di fatto l’intesa che la società aveva raggiunto con gli autori ed editori americani.
“L’accordo non è equo, adeguato e ragionevole“, questa la motivazione del giudice federale di New York, Denny Chin, subito contestata dal gruppo di Mountain View e dal sindacato degli autori e l’associazione degli editori americani.
Il patto era stato chiuso nell’ottobre del 2008 e aveva messo fine a una controversia legale cominciata tre anni prima che riguardava i libri digitali rari o introvabili non ancora di pubblico dominio.
In base alla trattativa Google avrebbe versato 125 milioni di dollari agli autori le cui opere erano state digitalizzate senza il loro consenso e istituiva un Fondo per pagare i diritti dei testi inseriti nella biblioteca online più grande del mondo.
La delibera del giudice di New York ha però bloccato tutto: d’ora in poi Google potrà pubblicare solo dei brevi estratti di questi libri fuori stampa nel rispetto del copyright.
Se l’accordo fosse stato invece approvato, il gruppo americano avrebbe messo in rete fino al 20% dell’opera, per cui gli utenti avrebbero dovuto pagare per avere accesso al testo integrale. Le entrate sarebbero state versate nel Fondo per i diritti degli autori.
Ma la corte federale ha sollevato diverse obiezioni, mostrandosi in particolare reticente a compensare Google “per aver investito nella riproduzione su vasta scala delle opere coperte da copyright senza alcuna autorizzazione”.
Un simile accordo, ha spiegato il giudice, darebbe alla web company “il controllo del mercato della ricerca” anche nel settore degli eBook.
Ed è proprio su questo aspetto che i ricorrenti hanno basato la loro denuncia, come ha sottolineato Gary Reback, legale della Open Book Alliance, che raccoglie anche i maggiori competitor di Google come Microsoft e Amazon, insieme ai rappresentati degli autori e delle biblioteche.
Per il giudice Chin la soluzione potrebbe essere una partecipazione opzionale degli editori e autori all’accordo (opt-in) mentre adesso è automatica salvo eccezioni (opt-out). Ma, secondo Reback, è molto difficile che Google accetti un’ipotesi di questo tipo.
Hilary Ware, responsabile dei servizi legali del gruppo, ha detto solo che la società “valuterà la situazione“, aggiungendo che “come molti altri, pensiamo che questo accordo abbia il potere di aprire l’accesso a milioni di libri che sono al momento difficili da reperire negli Stati Uniti”.
“A prescindere da come andranno a finire le cose – ha concluso – continueremo a lavorare perché un numero sempre maggiore di libri possa essere online grazie a Google Books e Google eBooks”.
L’azienda ha comunque già fatto sapere che potrebbe ricorrere in appello contro questa decisione.
Il presidente del sindacato Guilde, il famoso autore Scott Turow ((Presumed Innocent, The Burden of Proof…), non ha accolto con favore la decisione della corte federale: “Abbiamo perso, almeno per il momento, questa biblioteca d’Alessandria”.
“E’ ormai tempo – ha detto ancora Turow – di allargare l’accesso ai libri introvabili grazie alle nuove tecnologie, che aprono nuovi mercati”.
Si spera quindi di riuscire a trovare l’intesa su un nuovo accordo.
Non è dello stesso parere l’associazione dei consumatori Watchdog. “Google funziona interamente sul principio di non dover mai chiedere permesso e scusa quando è necessario“, ha commentato John Simpson, presidente di Watchdog.
“Ma questa volta ha preso uno schiaffo dalla giustizia. Un messaggio chiaro per gli ingegneri di Googleplex: la prossima volta che vogliono usare la proprietà intellettuale di qualcuno devono chiedere l’autorizzazione”.