Diritto d’autore: craccare le console è reato. La Corte di Cassazione si esprime sul caso Nintendo

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La questione riguarda un fatto avvenuto la scorsa estate, quando un quarantenne toscano aveva subito una perquisizione e il sequestro di pc, dopo aver pubblicizzato su internet e venduto programmi craccati per Nintendo.

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Nintendo Wii

Craccare una console è reato, e come tale va punito. E’ quanto ha stabilito la Terza penale della Cassazione (8791/11, depositata venerdì scorso) che, tornando sulla protezione del diritto d’autore applicato alle nuove tecnologie, annulla con rinvio un’ordinanza ‘liberista’ del Riesame di Firenze, confermando appieno due precedenti giurisprudenziali (23765/10 e 33768/07).

 

La questione riguarda un fatto avvenuto la scorsa estate, quando un quarantenne toscano aveva subito una perquisizione e il sequestro di pc, dopo aver pubblicizzato su internet e venduto programmi per aggirare il blocco all’installazione di giochi non originali sulla piattaforma Nintendo.

 

I giudici avevano ritenuto che la difesa tecnologica avanzata dal produttore – che oltre ai programmi ‘tarocchi’ per la propria console, blocca anche software originali destinati però ad altre aree del business – era sostanzialmente ‘eccessiva’ e che l’hardware starebbe fuori dell’area di protezione della legge 633/41.

 

Ma proprio su questo passaggio la Corte ha richiamato il Riesame, colpevole di aver ignorato la sentenza 23765/10 – tra l’altro sullo stesso indagato – che allargava l’ombrello penale (articolo 171-ter, comma 1 lettera f-bis della legge 633/41) a “tutti i congegni principalmente finalizzati a rendere possibile l’elusione delle misure tecnologiche di protezione apposte su materiali ed opere protette dal diritto d’autore, non richiedendo la norma incriminatrice la loro diretta apposizione sulle opere o sui materiali tutelati”.

 

In pratica, sebbene la console sia indubbiamente un hardware, è però un elemento essenziale per  far girare software originali, cosicché ogni sua manomissione vanifica di fatto la protezione stessa dei programmi.

Infine, secondo i giudici della Corte, in questo modo si elude anche la legge sul diritto d’autore (articolo 171 c.1 lettera f-bis) andando inevitabilmente incontro a sanzioni.