NGN, società della rete e rischi di rigurgito monopolistico delle telecomunicazioni

di di Raffaele Barberio |

Italia


Raffaele Barberio

Martedì scorso è apparso su Il Foglio un articolo a firma di Roberto Sambuco, Capodipartimento Comunicazioni e Garante dei prezzi al Ministero dello Sviluppo Economico, sul progetto del governo relativo alla società della rete.

 

Tre gli obiettivi del governo indicati: a) azzeramento del digital divide entro il 2013, b) asta in autunno delle frequenze a 800 Mhz destinate al 4G, c) connessione alla fibra entro il 2020 del 50% della popolazione, secondo quanto previsto dalla Commissaria europea Neelie Kroes. Per far questo, il nodo da risolvere è quello della rete in fibra, per cui Sambuco traccia una roadmap.

La soluzione è quella di un intervento pilotato dello Stato, una soluzione che lo renda “imprenditore a tempo“, impegnato in prima persona in un progetto di partnership pubblico-privato. In tal senso, lo Stato guida il progetto per la costruzione dell’infrastruttura di rete passiva assieme a tutti gli operatori di telecomunicazioni e unitamente a investitori pubblici e privati, per poi fare un passo indietro “…entro 10 anni“, una volta cioè consolidata la domanda per i nuovi servizi, cedendo il controllo dalla mano pubblica a quella privata.

 

Una prospettiva, quella indicata da Sambuco, che pesa, ma che non nasconde alcune contraddizioni. Nell’articolo si indica infatti, con riferimento alla costruzione della rete in fibra ottica, la necessità “…di farne un tema pubblico, che riguardi l’azione diretta dei governi e che non può essere lasciato solamente all’iniziativa del mercato“. E la ragione è poche righe più avanti “…la domanda è troppo debole e lo sarà ancora per un tempo che nessuno conosce con precisione…”. L’idea di Stato come “imprenditore a tempo” trova la sua spiegazione nel fatto che “…entro massimo dieci anni lo Stato abbandoni l’investimento e rilasci al mercato l’infrastruttura costruita…”. Si fa poi esplicito riferimento al rigore dei conti pubblici:”…I soldi impegnati dallo Stato dovranno essere restituiti e ottenere un discreto ritorno sull’investimento: è possibile perché la nuova rete sarà molto redditizia…”. Insomma lo Stato deve intervenire perché non c’è la domanda e non è prevedibile la sua insorgenza, ma lo stesso Stato può fare con certezza un passo indietro entro 10 anni perché la nuova rete sarà molto redditizia.

 

Una contraddizione in termini, che fa emergere alcune riflessioni in due direzioni.

La prima è relativa al modello di società di rete paventato.

La seconda riguarda il contesto temporale in cui tutto ciò avviene, che indica l’avvio di un processo di rimescolamento del capitalismo italiano. Un rimescolamento delle carte in cui le telecomunicazioni sembrano rivestire un ruolo non irrilevante.

 

Veniamo al modello.

La strada indicata nell’articolo de Il Foglio, quella di una società della rete fondata su capitali pubblici e con la partecipazione di tutti gli operatori, non ha alcun precedente al mondo con le modalità indicate nel progetto italiano. 

C’è da considerare che sarà abbastanza improbabile, ma è un eufemismo, un’accettazione da parte della Unione Europea di un siffatto modello italiano. Vedremo cosa accadrà.

E allora procediamo per analogie, ma anche qui si evidenzia un solo caso.

L’esempio internazionale più rilevante d’intervento dello Stato su larga scala nello sviluppo della NGN è offerto infatti dal caso australiano, dove la società NBN (National Broadband Network) non ha come azionisti né l’incumbent, Telstra, né gli OLO australiani ed è al 100% controllata dallo Stato. NBN, che prevede di realizzare una rete GPON per coprire quasi tutto il continente, investirà circa 11 miliardi di dollari australiani per la migrazione del traffico e per il “decommissioning” della rete in rame di Telstra. NBN sarà, pertanto, una rete aperta di cui l’incumbent Telstra sarà il principale cliente e non un azionista. Inoltre, NBN fornirà agli operatori infrastrutture passive (ovvero minitubi e fibre) per consentire la realizzazione di reti NGAN con architettura GPON. A oggi, è ancora aperto in Australia il dibattito se NBN dovrà rimanere, in futuro, pubblica o se invece sarà privatizzata. (Vedi il dettagliato articolo di Key4biz NGN: l’Australia accelera. Ecco nel dettaglio il piano che ha messo d’accordo tutti i player. Un modello anche per l’Italia? Del 13 luglio 2010)

Tuttavia, con specifico riferimento al caso australiano, la UE ha fatto sapere senza mezzi termini la propria vision per bocca della Commissaria Neelie Kroes, come anticipato in esclusiva su Key4biz (Vai all’articolo NGN. Kroes: ‘No a modello Australia per la Ue, basta rispettare gli impegni della Digital Agenda’ su key4biz del 14 dicembre 2010).

 

Veniamo quindi al contesto.

L’articolo de Il Foglio cade in un momento particolare e non può essere un caso.

Qualcuno ha sottolineato come l’annuncio di qualche giorno fa sulla società della rete fatto dal Ministero dello Sviluppo Economico coincidesse con la scadenza dei termini indicati nel Memorandum of Understanding sottoscritto nello scorso mese di novembre tra gli operatori di telecomunicazioni italiani in seno al cosiddetto tavolo Romani.

Ma sarebbe una visione forse del tutto riduttiva.

Altri hanno indicato tra le ragioni del ritardo italiano gli interessi del gruppo Mediaset contrari a una strategia di sviluppo della banda larga in Italia, sia tra gli addetti ai lavori che tra i politici (vedi anche Banda larga e TV. Gianfranco Fini:’I ritardi del broadband sono frutto del conflitto d’interessi’ su key4biz del 7 febbraio 2011).

 

Appare invece più propria una contestualizzazione in seno al rimescolamento di carte del capitalismo italiano su partite storiche che riguardano governance e poteri reali su Generali, Rcs, Mediobanca, Pirelli, per citare alcune delle partite in corso.

La partita della società della rete si colloca in questo contesto e a connotarla ulteriormente interviene, marginalmente ma non troppo, la coincidenza della scadenza di mandato di Franco Bernabè (entro due-tre settimane saranno prese dagli azionisti le decisioni di continuità o discontinuità dell’intero top management di Telecom Italia).

Una scadenza che rischia di condizionare le decisioni sul futuro della società della rete.

 

In questo contesto, la prospettiva sembra esporre l’intero settore al rischio di una “ri-monopolizzazione pubblica” delle telecomunicazioni, che da qui a qualche anno potrebbero passare di mano e dare luogo al possesso privato del monopolio ricostituito sotto differenti spoglie qualche anno prima.