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Internet@tv: il nuovo libro di Luca Tomassini per guardare alla Tv di oggi e di domani

Italia


O la si ama  o la si odia. Anche Luca Tomassini, nella sua analisi lucida e pertinente, in cui versa l’esperienza di una vita professionale tutta spesa sulla frontiera dell’innovazione tecnologica al servizio (è il caso di usare questa parola) della scatola televisiva, anche un professionista della tecnologia avanzata come lui non può esimersi dal mettere in campo sin da subito queste categorie affettive, nel momento in cui dedica alla televisione questo suo saggio di divulgazione.

Chissà perché, amare o odiare un apparecchio. Nessuno ti chiede se ami la lavatrice,  l’aspirapolvere, o il DVD. Nessuno ti chiede davvero se ami il telefono, essendo scontato che, per quanto alcune telefonate possano essere fastidiose, del telefono non potremmo fare a meno, non diversamente dalla corrente elettrica o dall’acqua corrente. Tutti mezzi strumentali, tecnologie di base inestirpabili dalla nostra abitudine di vita, a meno di generare un senso profondamente traumatico di regresso ad un’epoca protostorica, certamente a più stretto contatto con la natura (e magari proprio per questo talvolta ricercata a scopo ricreativo) e tuttavia senz’altro improponibile nella quotidianità.

 

Nessuno si pone il problema affettivo a proposito di tecnologie basse o alte, per quanto pervasive. Ecco perché fa riflettere che per la televisione, invece, sia proprio l’adesione o meno degli affetti la prima questione ad essere posta e percepita: io amo/non amo la televisione.

Come se a proposito di questo apparecchio l’analisi visionaria di McLuhan avesse peccato per difetto. E cioè non solo si tratterebbe di una protesi dell’uomo, dei suoi arti o della sua mente, come per tutte le tecnologie ed in particolare quelle della comunicazione, ma fosse una estensione propria, ancorché esterna, del nostro cervello, della nostra anima. Amo o odio nella misura in cui mi riconosco, ed allora l’amare e l’odiare la TV sono istintivamente due categorie dello spirito, due forme di auto-definizione del sé che inquadrano ed interpretano gran parte dei codici della vita associata, dal definire categorie culturali (pubblico da televisione, pubblico da carta stampata), sociali (reddito medio basso o medio alto) e persino morali (edonista passivo ed edonista attivo). E l’analisi di questo aspetto ci porterebbe lontano.

 

Abbiamo voluto, non abbiamo dovuto accennare qui in apertura di questo interessante volume di analisi, il tema dell’emotività implicita in ogni ragionamento sulla televisione, perché senza questo elemento difficilmente potremmo cogliere l’urgenza dell’assunto fondamentale delle pagine che seguono, come di gran parte delle discussioni aperte  in questi anni nel campo variegato delle tecnologie della visione, e della televisione, e cioè il tema della convergenza.

 

Per quale motivo infatti sennò sarebbe così importante trovare il modo di permettere alla televisione di sopravvivere all’assalto di Internet, scovare il sistema per salvaguardare il patrimonio di esperienza degli utenti che,  familiarizzati con il telecomando, vivono in modo conflittuale l’introduzione della tastiera del computer?

 

E non si tratta di una maggiore o minore facilità d’uso: anche l’automobile è molto più difficile da guidare di un calesse, eppure nessuno si preoccupò di salvaguardare per gli autisti il patrimonio di esperienza maturato dai cocchieri: incominciava un nuovo mondo e ne finiva uno vecchio, tutto qui, gli umani ci si sarebbero abituati.

 

Con  la televisione invece sembra che le cose vadano diversamente: tutta la ricerca e gli investimenti profusi nella Connected-TV, nella IPTV, e più in generale nello sviluppo di piattaforme tecnologiche multimediali integrate non sono solo funzionali allo sviluppo di nuove prestazioni e conseguenti nuovi modelli di business: a ben vedere affondano le loro radici nella dicotomia affettiva (amore/odio) che la televisione suscita sempre, per cui qualunque cosa accada da lei non mi voglio discostare/me ne voglio allontanare il più in fretta possibile.

Non è mai solo questione di soldi: la preoccupazione di non perdere ascolti, e dunque contatti, e dunque valore aggiunto pubblicitario al contenuto veicolato, da sola non giustifica la montagna di investimenti globali profusi nel favorire la convergenza delle tecnologie, e le tecnologie della convergenza. Il punto non è solo che un contatto perso potrebbe essere un controvalore perso in termini di advertising, bensì che ogni contatto perso si sente perso, sviluppa una vera sindrome da abbandono che è una forma di esclusione sociale considerata intollerabile. L’impatto emotivo, culturale e perciò anche politico, del gap digitale è superiore persino al suo controvalore economico, e perciò abbatterlo o almeno contenerlo è un imperativo strategico di ogni programma di sviluppo, potremmo quasi aggiungere “costi quel che costi”.

 

Se ne deduce il fatto che la televisione “o la si ama o la si odia” è ciò che determina la relativa vischiosità del sistema, a dispetto di qualsiasi livello di innovazione prodotto: se non è integrabile non vale, o non interessa abbastanza. Ma proprio per questo, l’amore/odio verso la televisione è anche ciò che consente al sistema la sua stabilità.

La convergenza dunque è l’imperativo categorico kantiano del sistema tecnologico evoluto di cui siamo parte, è condizione della sua stessa sopravvivenza, ecco perché priorità all’innovazione si, ma anche divulgazione, disseminazione ed appropriazione di competenze, e poi sviluppo di standard per il consumatore, e di modelli di filiera per il sistema produttivo, ma anche di normative per favorire o comunque governare l’affermazione degli standard e dei modelli, con relativo corredo di sanzioni, legali e morali, a chi se ne discosta.

Il che detto tra parentesi, implica importanti ripercussioni dirette sul sistema dei contenuti. Non si spiegherebbe altrimenti, ad esempio, l’accanimento nella difesa strenua di un modello di business fondato sul copyright interpretato sostanzialmente come esclusiva, e cioè divieto di riproduzione se non controllata (da cui derivano e che insieme promuove lo sviluppo di tecnologie della riproducibilità sequenziale, ovvero a ricalco del modello sostanzialmente verticale che la televisione tradizionale rappresenta) rispetto ad un diritto di copia interpretato come diritto di condivisione, quale è stato dalle origini della scrittura fino all’invenzione della Stampa, nel Cinquecento, interpretazione che premierebbe lo sviluppo di tecnologie della comunicazione multilaterale, che porrebbero (e, quando appaiono, di fatto pongono) seriamente in discussione e il copyright classico e, dietro ed accanto ad esso, il modello piramidale uno-a-molti della paleo- televisione.

 

Il moltiplicarsi di queste tecnologie nell’arco di poco più di mezzo secolo ha fatto di questa partita, per la prima volta nella storia, anche un discrimine generazionale che diventa anche sociale ed economico in presenza di una forte divaricazione dei costi, dove gli apparecchi più interattivi, orizzontali ed integrati sono più difficilmente accessibili al budget medio del consumatore family di contenuti, il che genera effetti distorsivi importanti nel caso non raro in cui l’accesso ad una tecnologia superiore, percepito come status symbol irrinunciabile, induce meccanismi di indebitamento. E questo in altri tempi sarebbe stato impensabile.

Comprendere le dinamiche interne di questa trasformazione allora non è solo una analisi necessaria ai fini della sconoscenza in generale, né solo utile ai fini divulgativi, perché un numero sempre maggiore di utenti sia consapevole delle potenzialità degli strumenti che ha a disposizione, così valorizzandone appieno le risorse in termini di comfort (utilizzo consumer) ma anche di sviluppo generato (utilizzo business).

A causa delle implicazioni che abbiamo qui citato, infatti, l’analisi di Tomassini aiuta anche ad interpretare le vie carsiche dell’interazione o dell’esclusione sociale, così come dell’ibridazione culturale, mettendo a disposizione anche del decisore politico, come del play-maker strategico, una visone di insieme di insieme efficacemente riassunta con un linguaggio chiaro ed accessibile.

 

L’autore ama chiamare questo segmento di mondo televisione 3.0: tutto ciò che ruota intorno a questa metafora del nostro inconscio è l’apparecchio televisivo, ed in particolare tutto ciò che ci permette di continuare a viverlo come sempre, mantenendocelo familiare nonostante i mutamenti anche profondi che le tecnologie televisive impongono. Tomassini studia e descrive ciò che ci permette di non uscire dall’orizzonte che già conosciamo pur impossessandoci del nuovo tecnologico, ciò che mantiene coerente il sistema nonostante il suo dinamismo evolutivo, ciò che ci fa essere nello stesso tempo “io” e “madre di io” rispetto ai sentimenti, alle emozioni, alle passioni indotte da questo unicum della tecnologia che è la TV.

In altre parole, Tomassini racconta il nostro cordone ombelicale tecnologico, il mondo della convergenza appunto, delle enormi potenzialità di cui “le televisioni” di ultima generazione sono portatrici, guidando il telespettatore dalla visione all’interazione e, per chi vuole e può, alla creazione diretta dei contenuti.

Perché ci immerga nel contesto della nuova televisione, ne siamo consapevoli, è necessario superare il recinto delle certezze di un’epoca passata, legate all’universo della televisione analogica. Non è impresa facile: molto prima di Internet e con caratteristiche che al giorno d’oggi fanno sorridere, negli anni cinquanta la televisione rappresentò per molti paesi una straordinaria e persino sconvolgente finestra sul mondo, ed anche in Italia alla televisione è legata una storia intensa di rituali e tradizioni che hanno contribuito a formare la società dal secondo dopoguerra in poi. Le generazioni che di quella rivoluzione furono protagoniste oggi se ne staccano a fatica.

Ma quando lo switch-off del digitale terrestre sarà completato si dovrà già parlare al passato della TV 3.0, dell’ibridazione dei contenuti, del contesto televisivo multipiattaforma.

 

Ci sarà ancora molto da discutere, e da capire. Tutto questo il libro che state per leggere lo fa già.

 

 

 

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