Italia

Il  prossimo 17 dicembre dovrebbe essere finalmente varato, per andare in pubblica  consultazione, l’atteso provvedimento di Agcom sul contrasto alla pirateria.
 Presentato da molti erroneamente come l’Hadopi italiana, le linee del  regolamento non sono certamente orientate sullo schema francese, ma  costituiscono comunque un buon passo nella giusta direzione per sostenere il  mercato dei contenuti digitali.
 Siamo infatti di fronte ad una fase delicata per lo sviluppo del mercato  digitale italiano. Dopo la musica, ora anche libri e film stanno entrando  prepotentemente nell’arena online e tutti i grandi player editoriali e  tecnologici guardano al mercato dei contenuti con un’attenzione maggiore, segno  che lo scenario si sta consolidando. 
 Questa sempre più ampia disponibilità di cataloghi digitali offerti al  consumatore italiano in varie forme, download, streaming, IPTV, ecc. deve  tuttavia confrontarsi con la diffusa presenza di piattaforme illegali, quasi  sempre collocate all’estero e con un’offerta multi prodotto, che danneggia  sensibilmente il nascente canale ufficiale. 
 L’intervento dell’autorità vigilante è pertanto non solo necessario, ma anche  terribilmente urgente. Sorprende quindi che in Italia, di fronte ad imprese  italiane di contenuti e a piattaforme tecnologiche italiane, che si  assumono pesanti oneri di impresa per far decollare un settore nei quali i  margini sono già risicati, vi sia chi ancora si ponga su una posizione arretrata  e ideologica per la quale la rete dovrebbe essere senza regole o, peggio,  autoregolamentarsi, garantendo libertà di accesso ai contenuti libera e in  violazione delle regole spacciata spesso peraltro come libertà di espressione.
 Mi chiedo se tale presunta libertà si debba dunque applicare ai siti pirata  nascosti in server olandesi o ucraini, gestiti anche da italiani con residenze  alle isole Cayman (dove incassano i denari provenienti dai banner pubblicitari)  a spese di imprese italiane che con investimenti, strutture con lavoratori  italiani e contenuti italiani. 
Forse chi ritarda l’adozione del provvedimento di Agcom o ne attacca le linee guida farebbe bene a riflettere su questo elemento.
 La proposta di Agcom di ordinare il blocco dei siti illegali è peraltro  pienamente compatibile con le norme italiane sul commercio elettronico che  identificano nell’organo vigilante (in alternativa a quello giudiziaria) il  soggetto che deve esigere dagli ISP che si “ponga fine alle violazioni”. 
 Chi parla di censura o di ruolo eccessivo dell’Agcom dovrebbe semplicemente  rileggersi il Dgls 2003/70, le cui disposizioni sono già pienamente attuate  dall’amministrazione dei monopoli italiana per bloccare i siti di scommesse  online in violazione della normativa nazionale.
 Non mi sembra che vi sia stata una levata di scudi dalla politica e dai  difensori delle libertà digitali nei confronti del provvedimento dell’AAMS, in  vigore dal 2007, ma guarda un po’, invece sul fronte della tutela del copyright,  ecco farsi avanti la marea garantista.
 L’azione per contrastare l’offerta illegale è ormai il tema cardine dello  sviluppo del mercato digitale ed è nell’agenda di tutte le economie avanzate.  L’Italia deve fare la sua parte soprattutto perché ha una forte industria dei  contenuti che tuttavia si deve confrontare con un mercato globale dove la  concorrenza sul piano delle piattaforme legali sarà molto difficile. Non si può  lasciare quindi che in questa battaglia per conquistare market share globali,  l’industria italiana debba anche confrontarsi con un’offerta illegale quotidiana  senza che le istituzioni attuino una seria politica di enforcement. 
 Non dico che si tutelino i libri, i film e la musica più dell’industria del  poker, ma almeno tanto quanto, saremmo già contenti di aver ottenuto lo stesso  risultato.
  
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