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Privacy, dati personali e business criminale. Cullen (Microsoft): ‘Puntare a standard di sicurezza più elevati’

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“Le informazioni sono sempre più ‘moneta’ di crescita, ma anche ‘valuta’ del crimine”. E’ quanto ha affermato il chief privacy strategist di Microsoft, Peter Cullen, intervenendo alla conferenza annuale del Family Online Safety Institute, che quest’anno ha posto l’accento sulla responsabilità delle web company nella gestione dell’enorme mole di dati personali degli utenti. Informazioni che fanno sempre più gola ai cybercriminali e che quindi devono essere protette con cura e attenzione maggiori.

 

“Le persone hanno grandi aspettative nei confronti delle web company che raccolgono, usano, conservano e, soprattutto, dovrebbero proteggere le loro informazioni”, ha spiegato Cullen, secondo cui queste società dovrebbero mantenere sempre su alti standard quando si tratta di maneggiare informazioni personali, e dovrebbero investire di più nella realizzazione di strutture interne atte ad assicurare la privacy.

 

L’ultimo ‘caso’ in ordine di tempo è quello denunciato dal Wall Street Journal, che ha scoperto che molte delle applicazioni Facebook più usate – da Farmville con i suoi 59 milioni di utenti, a Texas HoldEm Poker e FrontierVille – hanno trasmesso i dati degli utenti, e alcune anche quelli degli amici, a terze parti.

Michael Fertik, fondatore di ReputationDefender, ha chiesto ai legislatori americani di introdurre nuove misure per dare ai consumatori un maggiore controllo sui propri ‘dossier digitali’.

 

“E’ notevole e inquietante sapere quanto profonda sia la quantità di dati presente in rete su ognuno di noi”, ha sottolineato Fertik, spiegando che la situazione è destinata a peggiorare con la diffusione sempre più massiccia delle tecnologie e dei servizi di localizzazione.

E inquietanti sono anche le conseguenze che una cattiva gestione di queste informazioni potrebbero avere  sulle vite di ognuno di noi se, ad esempio, non si obbligheranno queste società a cancellare i dati dopo un certo periodo di tempo.

In Europa, il periodo cosiddetto di ‘data retention‘, ossia di conservazione dei dati negli archivi delle società telefoniche e internet varia da Paese in Paese: si passa da sei a due anni, ma la Ue vorrebbe uniformare tale periodo a un massimo di sei mesi.

 

“Le società che ottengono il grosso dei loro guadagni dalla pubblicità sono in bilico – e lo saranno sempre di più – tra il mantenimento dei loro incentivi economici e gli interessi degli utenti per la privacy”, ha affermato ancora Fertik, membro del Consiglio per la sicurezza internet del World Economic Forum.

 

La Federal Trade Commission americana, così come la Commissione europea, sta diventando sempre più attenta alle questioni relative alla sicurezza delle informazioni personali onlne, soprattutto alla luce della crescente diffusione della banda larga e dei dispositivi mobili per connettersi a internet.

La FTC sta preparando una raccomandazione che si prevede riceverà supporto bipartisan, essendo la privacy – ha concluso Amy Mushahwar, procuratore per la privacy e la sicurezza dei dati alla Reed Smith – una questione ‘apolitica’ su cui Repubblicani e Democratici dovrebbero convergere.
 

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