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ISP al convegno ‘Internet chiama Italia’. Paolo Nuti (Aiip): ‘I ritardi negli investimenti NGN rischiano di far arretrare ulteriormente il Paese’

Italia


I primi in Europa per il mobile, gli ultimi per internet. Una contraddizione, questa, che appesantisce un sistema Italia già compromesso dalla crisi, dalla scarsa crescita e dall’affanno nella competitività. Questo tema, insieme a quello delle infrastrutture, della regolamentazione della rete, del digital divide e del ruolo della PA, della net neutrality, sono stati al centro dell’incontro “Internet chiama Italia”, organizzato da Aiip, l’associazione italiana internet provider, oggi a Roma al Tempio di Adriano.

Paolo Nuti, presidente di Aiip, ha aperto i lavori con il nodo dello scarso peso politico delle reti nelle agende elettorali. “Quindici giorni fa mi trovavo a una cena con diversi player del mercato e politici. Da Raffaele Barberio è partita la domanda a un nostro parlamentare: come mai non c’è nessun riscontro nei programmi politici  del tema del digitale? Ebbene ho trovato la sua risposta drammatica, ci ha spiegato infatti che l’argomento non porta voti“. Eppure, ha spiegato Nuti, “il ritardo di Internet in Italia sconta certamente quello della bassa alfabetizzazione informatica di famiglie ed aziende, ma i ritardi negli investimenti per lo sviluppo delle nuove reti di accesso a banda ultra larga rischiano di far arretrare ulteriormente il nostro Paese”. I benchmark internazionali, ha spiegato ancora Nuti, dimostrano che l’infrastrutturazione e la fornitura pervasiva di servizi di accesso a banda ultralarga costituisce, per l’area interessata, un fenomenale fattore di crescita che può portare ad un incremento del PIL di un abbondante punto e mezzo in più  rispetto ad aree di riscontro non interessate dall’infrastrutturazione pervasiva. “Di fronte ad un dato del genere, gli interessi di sistema dovrebbero prevalere su quelli di parte“.

Infine Nuti ha annunciato che tredici operatori di medie dimensioni – per la maggior parte associati ad AIIP – si sono raccolti in “Fibra Ottica S.p.A.”, una Joint Venture che ha per oggetto la partecipazione agli investimenti nazionali in infrastrutture per le reti di accesso di nuova generazione. Fibra Ottica S.p.A. è un’iniziativa imprenditoriale aperta alla partecipazione di altri operatori di accesso che ne condividano le finalità.

 

Stefano Quintarelli, di NNSquad Italia, ha ripreso l’argomento del “grossissimo problema demografico“. Nel nostro Paese, ha detto, si parla di salari e di pensioni, si vince guardando al passato. “Ecco il punto. L’Australia, al contrario, investe cifre esorbitanti in fibra ottica. Pensiamo solo a questo dato: in Italia 6 milioni e mezzo di persone ogni giorno lavorano usando 4 ore internet; quanto si guadagnerebbe in termini di tempo con una rete a banda larga?“.

 

Stefano Pileri, di Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici, ha passato in rassegna i principali obiettivi del progetto “Italia Digitale”, grazie al quale, ha precisato, “abbiamo avviato una stagione di confronto forte con il governo, verso politiche di sviluppo concrete, sostenibili e veloci“. Il progetto punta allo sviluppo dei contenuti digitali, dei servizi digitali, della domanda digitale e delle infrastrutture digitali. Tra gli scopi per il 2013 c’è quello di portare la percentuale delle famiglie digitali dal 45% all’80% e di accrescere la percentuale delle aziende internet dal 66% al 90%, nonché quello di diffondere a livello nazionale il modello di sanità digitale (100% dei medici e delle farmacie in rete). Con la realizzazione piena del progetto, ha spiegato Pileri, all’anno l’Italia “risparmierà 30 miliardi di euro sui costi della Pa, delle imprese e delle famiglie“. Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici, ha concluso, vuole “mediare tra posizioni diverse, ma la nostra posizione è quella di sostenere la velocizzazione dell’accordo sulla cooperazione sulle infrastrutture, perché su esse si possono costruire le reti con qualsiasi tecnologia, qualità ed autonomia si desideri”.

 

Nicola D’Angelo, Commissario Agcom,  ha dichiarato: “L’esperienza del passaggio alla televisione digitale ci ha insegnato che in questi momenti di forte innovazione tecnologica, che hanno un impatto rilevante in tutto il territorio nazionale, occorre una guida da parte delle istituzioni pubbliche“. L’Agcom, forse con un po’ di ritardo, ha ammesso D’Angelo, “sta svolgendo la sua funzione di arbitro tecnico nell’ambito di un quadro normativo recentemente reso più chiaro dall’approvazione della Raccomandazione sulle reti di accesso NGAN da parte della UE”.

A mio avviso, ha continuato il commissario, “in Italia non sussistono differenze di condizioni concorrenziali che giustifichino una segmentazione dei mercati in quanto i principali operatori operano in modo uniforme a livello nazionale e, anche dal lato della domanda, non si evidenziano differenze  significative. Il progressivo sviluppo delle infrastrutture, fisiologicamente necessario in un progetto di ammodernamento di strutture di rete, non giustifica certo asimmetrie sul piano regolamentare che potrebbero ad oggi penalizzare concorrenza ed utenti“. Inoltre D’Angelo ha parlato dell’aspetto relativo alla definizione di procedure di migrazione dal rame alla fibra ottica; della consultazione pubblica relativa al regolamento per i diritti di installazione di reti di comunicazione elettronica, consultazione recentemente avviata; del problema delle frequenze e delle indicazioni della Ue sulla liberalizzazione della banda a 800MHz da rendere disponibile per servizi a banda larga in mobilità.

 

Franco Bassanini, presidente della Cassa Depositi e Prestiti, ha specificato in maniera inequivocabile: “Come Cassa Depositi e Prestiti non siamo attori di questa partita, noi interveniamo in progetti di interesse nazionale che siano già sul tappeto“. Sugli evidenti ritardi di infrastrutturazione in Italia ha aggiunto: “I problemi di infrastrutturazione non riguardano solo le telecomunicazioni, ma anche quelle di viabilità e quelle energetiche. Ma l’unico settore in cui è possibile recuperare il ritardo, con investimenti sostenibili e tempi ragionevoli, è proprio quello delle telecomunicazioni, con reti di nuova generazione”. Occorre trovare, ha aggiunto Bassanini, soluzioni  che non gravino sul debito pubblico del Paese; “la Cassa impiega risorse private, se ci sono le condizioni per il finanziamento ai privati, allora ci sarà la partecipazione della Cassa Depositi e Prestiti a questo processo”.

 

Romano Righetti, Deputy COO di Wind Telecomunicazioni Spa, ha parlato di un momento di “discontinuità” nelle telecomunicazioni: “Se l’investimento è elevato e il mercato è ripagato per i costi di una sola rete, allora ha senso cooperare per una sola rete, che tuttavia preservi il clima competitivo nel settore. A noi preoccupa, nella realizzazione di un progetto di questo tipo, che rimanga applicabile il modello competitivo, che tutti gli attori sul mercato siano chiamati in maniera aperta alla cooperazione, che si elimino vantaggi competitivi“. Il progetto “Fibra Italia”, presentato il 9 maggio scorso, ha aggiunto Righetti, “intende muoversi proprio nel quadro di quella che chiamo ‘cooperazione competitiva’. Abbiamo invitato Telecom Italia a sedersi al tavolo, non ci deve essere un veto per loro, possono aderire o meno. Ma quando c’è un investimento così rilevante, ci si pone il problema del ritorno. Inoltre questo è un contesto in cui le regole non sono ancora ben definite, ad oggi noi non conosciamo le condizioni per l’accesso alla fibra e per l’accesso al rame. Siamo in una fase di stallo”.

 

Giovanni Amendola, responsabile Regolamentazione Ue Telecom Italia, ha offerto una diversa prospettiva: “Il nostro piano per la banda larga in Italia va nella direzione degli obiettivi dell’Agenda europea del digitale“. Amendola ha continuato sottolineando come nelle grandi aree metropolitane, nelle quali si prospetta concorrenza fra reti, “sicuramente tra Telecom, Fastweb e Fibra per l’Italia. Le città principali, bisogna dirsi questa verità, sono le candidate allo sviluppo delle nuove reti, uno sviluppo in concorrenza, che è esattamente la raccomandazione della Ue, che vuole garantire non una sola rete ma uno sviluppo concorrenziale“. Inoltre, “ci sono aree in cui non si parla di sviluppo reti NGN in cui si prospetta un digital divide. Infine ci sono aree territoriali in cui non si prospettano investimenti; il pubblico deve guardare a queste aree. In sostanza stiamo parlando delle aree bianche, che sono le ultime indicate, le aree grigie dove si prevede una rete, le aree nere dove due reti sono in concorrenza”.

 

Bianca Maria Martinelli, di Vodafone, ha sintetizzato la posizione della sua azienda sulla prospettiva di sviluppo delle reti: “Crediamo che il modello di sviluppo più efficiente sia quello in grado di garantire reti in fibra fisse nelle grandi aree metropolitane, e coprire il resto del territorio, velocemente, con tecnologia mobile, offrendo servizi a banda larga“. Dunque c’è un grande interesse a  creare una rete fissa in fibra e “il progetto ‘Fibra per l’Italia’ prevede un’unica infrastruttura ‘terza’, di proprietà di nessun operatore ma aperta a tutti. Se questo modello non è condiviso da Telecom Italia, possiamo pensare a un modello alternativo, un modello percorribile potrebbe essere quello in cui Telecom crea una rete che sia aperta”.   

 

Francesco Sacco (Università Bocconi) ha ripreso il filo del discorso proprio dagli ultimi interventi, sottolineando come questi modelli non tengano conto della realtà Italiana: “Il cuore del nostro Paese è costituito da piccoli Comuni da mille abitanti, che in questo modo vengono tagliati fuori“. Basta guardare al caso Lombardia, dove vengono coperti 167 enti locali su 1500, lasciandone fuori il 90%. Inoltre Sacco ha sollevato nuovamente il tema del finanziamento di questo tipo di infrastrutture: “La classe politica – ha detto – non guarda a questo tipo di problematiche, perché non portano voti“.

 

Tiziana Talevi, di Fastweb, ha incentrato il suo intervento sul tema della net neutrality e su cosa fare per impedire i rischi di comportamenti discriminatori. “Il dibattito si sta spostando su come minimizzare il rischio di comportamenti discriminatori. La soluzione è forse molto ovvia: concorrenza e trasparenza. Negli Usa probabilmente la scelta di togliere l’unbundling, sotto questo aspetto, è stata sbagliata. In Italia questo problema è infatti molto minore. Noi, come Fastweb, forniamo un accesso a Internet e il cliente accede a ciò che vuole; se limitassi l’accesso solo a dei contenuti, probabilmente perderei il cliente”. Sugli abusi “si potrà sicuramente intervenire, ma il tema principale resta l’accesso, la trasparenza e la concorrenza, in modo che l’utente sa cosa compra, in un sistema di concorrenza e di qualità di servizi”.

 

Enzo Savarese, commissario Agcom, ha analizzato ancora più profondamente la situazione italiana: Il Paese, ha detto, “versa ancora in una situazione di arretratezza digitale. Gli stessi dati che ci vedono leader in Europa sul fronte dei prezzi dei servizi tradizionali e della concorrenza infrastrutturata ci classificano sotto la media EU per penetrazione della banda larga, numero di famiglie connesse a internet, diffusione degli acquisti on-line, contributo dell’ICT all’interno del PIL“. Vodafone, Wind e Fastweb hanno avanzato congiuntamente uno schema di piano, cui ha aderito anche Tiscali, che postula, in una prima fase, investimenti (propri e altrui) per 2,5 miliardi di euro al fine di realizzare una rete in fibra destinata a connettere una parte rilevante della popolazione entro 5 anni. Telecom Italia, a sua volta, ha illustrato, all’Autorità il suo piano che annuncia fino a 7 miliardi di investimenti nei primi 3 anni (2010-1012), inclusi gli interventi necessari per il rilegamento in fibra delle centrali (backhauling), che ha carattere prioritario. Il regolatore, ha concluso Savarese, ha un ruolo chiave: “Già molte delle azioni dell’Agcom nell’ultimo anno sono in linea con l’agenda digitale europea: obblighi di offerta pubblica per la posa di cavidotti per la nuova rete in fibra imposti a TI insieme al miglioramento della qualità rete, contributo alla politica dello spettro digitale, dividendo esterno affrontato nel piano delle frequenze, interventi volti a rafforzare la fiducia del consumatore nei meccanismi della concorrenza e propensione alla fruizione di contenuti digitali. L’Autorità farà inoltre un passo ulteriore per dare un contributo interpretando un ruolo proattivo secondo due direttrici: suggerendo un’agenda digitale nazionale, codificando regole incentivanti per le nuove reti NGN“.

 

Nicola Zingaretti, presidente della Provincia di Roma, ha portato al tavolo l’esperienza dell’ente intermedio con il piano “Provincia Wi-Fi”, che ha dato vita, in tutte le principali piazze della Provincia e nei luoghi pubblici, alla realizzazione di 500 hot-spot nelle cui aree si naviga gratuitamente. “Ad oggi sono attivi 406 hot-spot – ha detto Zingaretti – e sono 40mila gli utenti registrati. Visto il successo dell’iniziativa, abbiamo aperto la possibilità, per esercizi privati, centri associativi, bar e palestre, di installare l’antenna con un piccolo contributo. Abbiamo visto come è cresciuto questo progetto soprattutto nelle piccole realtà“. Quando Nuti ha rigirato a Zingaretti la domanda di Barberio, quella sul perché dello scarso interesse della politica sui temi del digitale, il presidente ha risposto: “Noi abbiamo spostato il 6% dei voti con il nostro programma che aveva, tra li altri punti, anche internet gratuito in tutta la provincia. Le province in teoria non hanno nessuna competenza sul tema della rete, ma solo in teoria, secondo vecchie concezioni che prevedono che ci dobbiamo occupare solo di ponti, scuole e strade. In realtà non è così. La PA deve lottare contro l’apartheid digitale”.

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