XXVIII Seminario Bordoni. La domanda in Italia di servizi e infrastrutture ICT: la banda larga unica via d’uscita dalla crisi

di Flavio Fabbri |

Italia


Banda larga

Si è tenuto a Roma, nella splendida sede di Palazzo Rospigliosi, il 28° Seminario Bordoni dedicato all”Evoluzione della domanda di servizi di comunicazione elettronica‘ in Italia, con particolare attenzione al ruolo della Pubblica Amministrazione, degli operatori di telecomunicazioni, dei fornitori di tecnologia e dei centri di ricerca. Un incontro organizzato dalla Fondazione Ugo Bordoni e che ha visto la partecipazione di attori di primo piano del mondo universitario e istituzionale, che hanno avuto il compito di mostrare qual è, nel nostro paese, lo stato dell’arte della domanda e dell’offerta di servizi avanzati su reti a banda larga e il loro peso sullo sviluppo del comparto Dell’Information and Communication Technology (ICT). La crisi economica internazionale, ha affermato Enrico Manca, presidente della Fondazione Ugo Bordoni (FUB), nel suo intervento di apertura, incide certo negativamente: “Determinando un calo generalizzato dei consumi e delle spese nel campo della comunicazione, seppure in misura ridotta rispetto a quelle di altri comparti“. Uno scenario che di conseguenza non favorisce una crescita armonica del settore dell’ICT e delle nuove tecnologie digitali applicate ai servizi di comunicazione, con una maggiore parsimonia nella spesa da parte di imprese e di consumatori.

 

Tuttavia, come ha sottolineato Manca, “La crisi non ha frenato lo sviluppo di nuove forme di comunicazione, con investimenti massicci  nel mercato dei contenuti digitali in tutto il mondo e lo sviluppo straordinario delle reti sociali, degli smartphone, dei cellulari di nuova generazione, delle chiavette Usb per l’Internet Mobile e in generale di tutti i device di connessione alla rete“. Un segnale certamente positivo dall’industria manifatturiera, dai fornitori di tecnologia e di hardware, che come conseguenza primaria ha catapultato una massa di neofiti di Internet in mondi digitali assolutamente nuovi e ricchi di opportunità. Si pensi agli utenti di piattaforme di social network tra i 55 e i 65 anni, solo nel 2009 sono cresciuti del 30% e i trend segnalano ancora un incremento per quest’anno. Secondo una recente ricerca, promossa dell’AgCom, su Infrastrutture e Servizi a Banda Larga e Ultra Larga (ISBUL), confermata anche da altri autorevoli centri di studio, le economie occidentali saranno a breve tutte basate sulle piattaforme digitali di comunicazione e sui processi di dematerializzazione. L’Italia, a tal proposito, ha mostrato la ricerca ISBUL, è molto indietro rispetto agli altri partner europei e per l’Economist Intelligent Unit siamo addirittura ventisettesimi nel mondo come livello di economia digitale raggiunto.

 

In Italia il problema – ha confermato Manca – non è la mancanza assoluta di banda larga. Attualmente la rete in rame è in grado di coprire il 90% del territorio e della popolazione. Il lato critico è nella diffusione, cioè nell’adizione, e i dati ci dicono che sia le imprese, sia le famiglie, non la utilizzano molto“. E da qui nascono i problemi, secondo molti dei relatori del Seminario Bordoni. Per quale motivo, infatti, bisognerebbe investire in reti a banda larga o ultralarga se poi non c’è domanda di servizi? “Al momento – ha spiegato il presidente della FUB – il 90% del traffico di Internet è occupato da contenuti audiovisivi, televisivi e di intrattenimento. La domanda di servizi innovativi è bassissima e quella poca che c’è ha un costo ancora troppo alto per chi li fornisce e per chi li richiede“. In un’altra indagine europea, l’Italia occupa il quart’ultimo posto per diffusione di larga banda e gli investimenti in ICT sono tra i più bassi d’Europa. “Questi temi sono stati affrontati nello studio ISBUL – ha assicurato Claudio Leporelli del Comitato Scientifico FUB – e i fattori che sono risultati di maggior peso sono la mancanza di offerte invitanti, un rapporto negativo tra bassa adozione di servizi avanzati e costi troppo alti, il basso contributo della banda larga allo sviluppo dell’economia digitale, la mancanza di politiche pubbliche di stimolo della domanda e gli scarsi investimenti in infrastrutture“. Come ha spiegato successivamente Leporelli, in Italia, la diffusione di Internet a banda larga è molto differente tra regione e regione e tra comune e comune, come anche l’alfabetizzazione informatica gioca un ruolo decisivo nella sua diffusione, che poi aumenta o diminuisce a seconda delle classi sociali prese in esame.

 

Oltre ai tassi di penetrazione di Internet e dalla banda larga, ha sottolineato Alfredo Del Monte dell’Università degli Studi di Napoli ‘Federico II’, primo keynote speaker su ‘Evoluzione della domanda dei servizi ICT‘, c’è da prendere in considerazione il terreno perso dall’Italia in questi anni in riferimento ai servizi di eGovernment, di eHealth, di eInclusion e di eCommerce, che nel resto di Europa si stanno diffondendo in modo consistente tra la popolazione. “Ad incidere – ha spiegato Del Monte – è sicuramente l’ampiezza di banda, la velocità di connessione, il prezzo dei servizi, la competitività delle aziende e il livello di concorrenza dei mercati, ma più di tutti sono l’alfabetizzazione informatica della popolazione e il reddito medio a determinare le differenze maggiori tra le fasce di popolazione“.

 

Fattori decisivi a cui bisogna aggiungere il digital divide, a sua volta legato sia alla scarsità di infrastrutture, sia al basso livello di istruzione delle famiglie e degli individui. Fino all’anno scorso erano 8 milioni gli italiani in digital divide, divisi tra chi proprio non aveva accesso alla rete e chi lo aveva ma grazie a tecnologie vecchie. “Per evitare che il digital divide aumenti o diventi fenomeno cronico – ha auspicato Del Monte – c’è bisogno che la Pubblica Amministrazione faccia la sua parte, stimolando il mercato, quindi la domanda e l’offerta di servizi ad alto contenuto tecnologico, allocando in modo ottimale le risorse a disposizione degli enti pubblici. Numerose ricerche internazionali hanno dimostrato che lì dove c’è un reddito alto e una buna istruzione la domanda di banda larga e di servizi cresce abbondantemente, senza differenza di area geografica, di densità di popolazione o di morfologia del territorio“. Elementi, questi ultimi, che certamente sono fondamentali per l’adozione di nuove tecnologie, ma che effettivamente hanno un peso minore rispetto alla disponibilità finanziaria delle famiglie e il livello di istruzione.

 

Per dare una mano nel comprendere quali di questi fattori incidono più di altri sulla penetrazione di banda larga, certamente la statistica appare come uno strumento assolutamente rilevante per raccogliere ed interpretare i dati provenienti dal panorama dell’ICT italiano. La stessa Europa ha esteso fino al 2020 le indagini conoscitive in tale settore e il Programma Statistico Nazionale (PSN) ha individuato 3 grandi aree di studio su cui approfondire gli studi. La prima, orientata su ‘Cittadini e Nuove Tecnologie’, ha riguardato ben 20 mila individui, la seconda, tutta dedicata alle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (TIC), è stata estesa a 40 mila aziende, mentre la terza, infine, ha riguardato il rapporto tra aziende e innovazione tecnologica, su un campione di oltre 22 mila imprese inserite nelle rilevazioni cosiddette CIS (Community Innovation Survay). “In questo settore – ha affermato Giorgio Alleva dell’Università degli Studi di Roma ‘La Sapienza’, secondo keynote speaker del convegno, relatore su ‘Analisi della domanda dei servizi ICT‘ – la richiesta di informazione statistica ha come fine ultimo il monitoraggio dell’offerta di ICT e la misura del grado di adozione e utilizzo delle tecnologie da parte delle imprese, dei cittadini  e della Pubblica Amministrazione, con l’obiettivo di valutare l’impatto dell’ICT sull’economia reale del paese e sulle condizioni di vita delle famiglie e dei singoli individui“.

 

Anche la FUB porta avanti i suoi piani di ricerca in tali aree, come ha mostrato Giacinto Matarazzo, con diversi progetti di studio dedicati alla domanda di servizi innovativi e di comunicazione elettronica. L’obiettivo, ha spiegato Matarazzo, “E’ fornire al Dipartimento Comunicazioni del Ministro dello Sviluppo Economico stime quantitative e qualitative sulle ricadute economiche e sociali della domanda di infrastrutture e servizi, dell’investimento pubblico nelle reti di Tlc in termini di crescita, occupazione, inclusione sociale e di maggiori servizi per cittadini e imprese“. Si è così cercato di selezionare quelle variabili, che più di altre, condizionano le scelte dei soggetti in termini di adozione della banda larga e nell’uso dei servizi di nuova generazione, distinguendo tra segmento consumer e business. Nel primo, si è visto che a fare la differenza è il titolo di studio e l’età degli individui, mentre un peso minore hanno le variabili territoriali. Nel segmento business, invece, prevale una forte diffidenza verso le reti di nuova generazione e i servizi distribuiti, considerati come ‘non utili’ o ‘troppo costosi’. In questo, secondo la FUB, potrebbe avere un ruolo rilevante la Pubblica Amministrazione, nel fornire gli strumenti conoscitivi adeguati, nel trovare le risorse necessarie e nell’organizzare i tavoli di negoziato tra le parti. “Servono le competenze giuste per far funzionare un sistema – ha ribadito Matarazzo –  per far interagire clienti e fornitori di servizi, per far comprendere a tutti l’importanza della sfida che abbiamo davanti. L’unico modo che c’è per cambiare le cose e la realtà in cui siamo immersi, è costruire un modello nuovo di riferimento che renda vecchio l’esistente“.

 

Nella consueta Tavola Rotonda pomeridiana dei Seminari Bordoni, dedicata all'”Impatto dei servizi sulla domanda di infrastruttura“, si sono confrontati gli operatori di telecomunicazione, le società di servizi integrati e i fornitori di tecnologia. Un panel articolato, moderato da Sebastiano Trigila della FUB, che nei diversi interventi ha espresso la necessità di approfondire i temi affrontati durante la prima sessione e di fare il punto sullo stato della domanda di servizi e di contenuti di nuova generazione e del loro impatto sulle infrastrutture del paese. Il primo speaker è stato Sebastiano Bagnara, membro del Comitato Scientifico FUB, che, pur confermando l’importanza delle indagini statistiche di natura quantitativa, ha proposto una riflessione sui limiti di tali strumenti nel monitorare un panorama in cui, ad agire, ci sono anche variabili indipendenti e del tutto casuali. “La velocità del progresso tecnologico è tale da mettere in difficoltà anche i migliori modelli statistici“, ha affermato Bagnara, aggiungendo che “nell’analisi della domanda di servizi intervengono fenomeni che non sono prevedibili da nessun modello, perché le stesse tecnologie dell’informazione e della comunicazione tendono sempre più insistentemente ad esaltare bisogni e desideri degli individui, dando spazio alla sfera emotiva e irrazionale“. Chi poteva prevedere fino a pochi anni fa l’esplosione dei social network? Chi anni addietro poteva immaginare che gli Sms avrebbero avuto un così grande successo? Tali fenomeni si sono presentati proprio perché è stata la volontà degli utenti a renderli possibili, indipendentemente dalle variabili di cui hanno discusso i relatori nel primo panel. “Attraverso tali elementi si entra nel mondo della ricerca qualitativa – ha spiegato Bagnara – l’unico strumento utile nell’analisi di tali scenari e fenomeni, in cui il caso e il singolo individuo sono il vero fuoco dell’indagine“. Un punto di vista assolutamente affascinante e allo stesso tempo molto vicino alla realtà del quotidiano, quello proposto da Sebastiano Bagnara, che in parte permette di ragionare su dati altrimenti non spiegabili con la sola statistica o con le leggi di mercato.

 

Ad introdurre il focus della Tavola Rotonda è stato poi chiamato, in rappresentanza del Ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione, Mario Dal Co, reduce dal convegno sulla Digital Agenda, tenutosi a Roma il 5 luglio scorso e organizzato dalla Rappresentanza in Italia della Commissione Europea. Dal Co ha infatti permesso di inserire il complesso confronto, attorno al tema della domanda di servizi e di tecnologia digitali, all’interno di un quadro normativo di respiro europeo: “L’Agenda Digitale fornisce le linee guide per lo sviluppo dei piani di eGovernment di ogni singolo paese, a cui si aggiungono molti altri servizi“. “In questo, il ruolo della Pubblica Amministrazione è fondamentale – ha specificato il consigliere del ministero – perché è nei suoi poteri lo stimolare domanda di servizi e l’agevolare interventi normativi per facilitare la regolazione urbanistica atta a consentire l’instaurarsi delle nuove reti di comunicazione elettronica“. Ovviamente, gli imprevisti non mancano mai, ha commentato Dal Co, e anzi fanno parte della storia dell’innovazione. Ciò non toglie che la PA deve dare il suo contributo in questo momento così delicato per il paese, alle prese da una parte con la crisi economica, dall’altra con delle sfide a cui non può sottrarsi. Antonello Busetto, di Confindustria Servizi Innovativi, ha infatti sottolineato come anche gli enti pubblici, con i loro enormi ritardi nei pagamenti (in alcuni casi fino a 300 giorni), possono sicuramente dare il forte contributo al miglioramento del quadro di riferimento. “Le imprese fanno fatica ad accedere ai finanziamenti – ha spiegato Busetto – e parliamo di quasi 10 milioni di attività impegnate sul mercato dell’ICT. Ecco perché Confindustria ha presentato il piano Italia Digitale, con cui si vuole diffondere banda larga, accrescere le competenze e le conoscenze delle imprese, sviluppare contenuti e servizi innovativi in diversi settori, come ad esempio la telemedicina, l’eGovernment, l’eLearning, l’eCommerce, l’efficienza energetica e molto altro“. Un piano che, nelle parole del rappresentate di Confindustria SI, consentirebbe di risparmiare fino a 30 miliardi di euro nei prossimi dieci anni, di cui 16 miliardi solo nella Pubblica Amministrazione, 8,6 nella sanità e 10 miliardi nel settore energetico.

 

Una PA che sia garante dello sviluppo organico di domanda e offerta di servizi per il Sistema Paese e che faciliti l’incontro tra gli attori ICT. È quanto ha auspicato anche Silvio Romeo di Alcatel-Lucent, società che ha istallato nel mondo oltre 100 reti di prossima generazione (NGN) e che evidentemente crede molto nel bisogno di dotare ogni paese di infrastrutture avanzate: “Senza di queste non sarà possibile per nessuno competere sui nuovi mercati dell’economia digitale“. Secondo Romeo, inoltre, non bastano le risorse finanziarie a sistemare ogni cosa, ma anzi è fondamentale un quadro normativo e regolatorio che sia in grado di gestire le necessità di tutti, dalle imprese ai consumatori. Cosa vera, ma fin ad un certo punto, ha ribattuto Antonio Sfameli di Ericsson, che vede invece nelle scarse risorse economiche oggi disponibili uno dei limiti maggiori: “L’Italia spende in servizi digitali 51,3 euro procapite oggi, contro i 254 della Svezia, i 147 della Gran Bretagna, i 76 della Francia e i 72 della Germania. Siamo al 12° posto come offerta di servizi amministrativi digitali“. Cioè, se il budget di riferimento è basso, difficilmente il paese potrà sollevarsi dalla situazione in cui si trova. “Una via di uscita – secondo il rappresentate Ericsson – è l’Internet delle Cose. Nel 2020 si calcola ci saranno oltre 50 miliardi di device in circolazione, tutti in grado di dialogare e di fare sistema. Dobbiamo cominciare ad immaginare in che modo tale modello di progresso potrà essere sviluppato anche da noi“. Un punto di vista ancora diverso è stato offerto da Mario Brancati di Telespazio, che vede nel digital divide solo una faccia del problema dell’accesso alle nuove tecnologie della comunicazione, perché c’è n’è anche un altra: “Il cosiddetto cultural divide, cioè la mancanza di familiarità con i nuovi servizi e contenuti che viaggiano sulle reti di comunicazione elettronica. Su questi due fattori bisogna intervenire e poi pensare alle carenze infrastrutturali e di policy“. Sono circa 8 milioni gli italiani in digital divide e non tutti potranno essere raggiunti dalla rete tramite infrastrutture terrestri, perché sono troppo costose a livello di investimenti. “Anche per questo motivo – ha spiegato il rappresentate di Telespazio – il broadband satellitare può essere un valido strumento di riduzione del digital divide e del cultural divide, perché facile da istallare e da usare, a fronte di un costo sostenibile, sia per l’azienda, sia per l’utente finale“.

 

Piattaforme diverse per portare uno stesso servizio, a seconda del territorio e delle esigenze dalla popolazione, sembra essere la strada giusta per diffondere nuove competenze e conoscenze. Anche Marco Romani di Telbios ha rilevato in questo modello di business un valido strumento per far fronte a una serie di criticità che si stanno presentando: “Telespazio e Telecom Italia sono nostri partner tecnologici e grazie alle soluzioni che ci hanno suggerito oggi siamo in grado di fornire servizi assolutamente innovativi che possono far fronte ad una serie di problemi di natura demografica e sanitaria. La popolazione italiana sta invecchiando velocemente e presto le patologie più comuni legate alla terza e quarta età si diffonderanno velocemente. Ecco perché la telemedicina e in genere i servizi di eHealth, saranno indispensabili per il paese, sia in termini di qualità delle prestazioni mediche, sia in termini di contenimento di costi“. E a proposito di Telecom Italia, Lorenzo Pupillo nel suo intervento ha sottolineato come la banda larga sia ormai una tecnologia abilitante, ma allo stesso tempo non prevedibile nelle sue variabili indipendenti: “I limiti con cui dobbiamo confrontarci sono più culturali che economici. Anche trovassimo i soldi per una NGN per tutti, siamo davvero così sicuri che il consumatore e il cittadino italiano abbia ben compreso a cosa servono i servizi innovativi di cui parliamo?“. La banda larga ha una penetrazione nel paese del 48%, certamente bassa, ma secondo Telecom Italia assolutamente sufficiente a soddisfare la domanda corrente. “Questo ci suggerisce – ha concluso Pupillo – che per il momento non serve investire massicciamente in reti di nuova generazione e banda ultra larga, ma selettivamente, cercando nello stesso tempo di diffondere una maggiore coscienza di cosa sia l’economia digitale e quale sia la sua importanza per la crescita del Sistema Pese“. Di parere opposto Raffaele Mosca di Wind che crede invece sia necessario, quanto urgente, un programma di investimenti in infrastrutture per l’Italia in vista di una crescente domanda di banda legata legata ai nuovi stili di vita delle generazioni digitali. Considerate tali necessità, ha precisato Mosca, l’Italia, in quanto membro dell’Unione Europea e più in generale del gruppo ristretto delle economie mondiali considerate avanzate: “Non può in ogni caso fare scelte infrastrutturali troppo divergenti rispetto ai partner europei, che sono poi i suoi principali concorrenti, senza subire pesanti ripercussioni sul piano dello sviluppo economico“. Wind, come noto, ha aderito alla cordata degli operatori alternativi per la costituzione di una Società della fibra che ha come obiettivo la costituzione di una rete nazionale di prossima generazione (NGN) aperta a tutti e in grado di soddistare le nuove esigenze di clienti residenziali e business sul territorio italiano.

 

In Italia l’adozione di servizi ICT con esigenze di banda larga è tuttora inferiore alle aspettative e sembra non giustificare a breve termine gli investimenti da parte degli operatori di rete. E’ certo però che il bisogno di banda larga e ultralarga, a livello di aziende, ma anche di utenze domestiche, crescerà velocemente nel breve periodo, come l’Europa ha già ammonito. Probabilmente si presenterà tra alcuni anni, ma è certo che i problemi sollevati al Seminario Bordoni, come ad esempio l’invecchiamento della popolazione o la necessità di ridurre i costi di alcune funzioni pubbliche, si presenteranno contemporaneamente e con tutta la loro urgenza. Il ruolo delle Istituzioni e dei regolatori è proprio quello di anticipare i problemi e di prevenire le criticità, favorendo da un lato l’innovazione, dall’altro la crescita dell’economia e la diffusione tra la popolazione delle nuove conoscenze. A loro spetta il compito di ricomporre il quadro del Sistema Paese al momento molto scomposto, mentre la crisi economica si fa dura e gli strumenti per uscirne sono ancora tutti sul tavolo. C’è quindi il tempo per confrontarsi, anche se non molto ne è rimasto per agire. Il Seminario Bordoni, ancora una volta, ha consentito un dialogo tra le parti e un approfondimento delle tematiche al momento più delicate, per le implicazioni politiche, culturali, sociali, economiche e tecnologiche dei tanti argomenti discussi. A riguardo, infatti, numerose saranno le iniziative che ne prossimi mesi la FUB ha intenzione di promuovere sul tema dell’ICT, anche in rapporto a ciò che succede in Europa e nel resto del mondo.