Caos radiofonico on-air: radio digitale e vertenza SCF, quando si dice il diritto al radioascolto in Italia

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di Giulia Arangüena De la Paz

Italia


Giulia Aranguena de La Paz

Da qualche mese, nel nostro Paese, tutti i nodi presenti nel mondo della musica, delle radio, del diritto d’autore e dei diritti connessi sembrano improvvisamente venuti al pettine. Ora, non è più solo questione di pirateria, ma si litiga su ogni argomento di comune interesse.

 

Assottigliatesi le occasioni di provvidenze statali, gli interessi corporativi ed economici contrapposti lungo l’intera filiera della musica italiana stanno ora scoppiando a tutti i livelli, anche attraverso guerre legali. Il che, detto da un avvocato, non è mai una buona cosa, posto che il tempo, la fatica ed i soldi occorrenti per le liti si potrebbero impiegare meglio; magari accettando il dialogo competitivo e la sfida della concorrenza (che fanno tanto bene sia a chi ne è protagonista sia a chi ne è oggetto, cioè gli utenti e la generalità dei consociati).

 

Tuttavia, in tale scenario c’è di più, considerata la tendenza (forse naturale) a demonizzare il soggetto che costringe all’innovazione diffondendo le pestilenziali unzioni delle rivoluzioni culturali e sociali. Infatti, di sottofondo alle giaculatorie, alle doglianze, ed agli attacchi con cui si stanno affossando vicendevolmente i protagonisti della filiera musicale italiana c’è un tutti contro tutti e tutti insieme contro la rete e la rivoluzione tecnologica dei media, colpevoli (come lo fu l’invenzione del torchio per la stampa) di aprire la società e far conoscere le cose a più gente di prima, di abbattere i costi di produzione dei supporti delle opere di ingegno, di disintermediare (in teoria) gli editori, di azzerare (in pratica) la distribuzione, di trasmettere in streaming audio-video i contenuti culturali e di imporre, incredibile dictu, il verbo ‘malvagio’ dell’open content dell’open access.

 

Precisato che le reazioni patologiche sono, invece, fisiologiche nel mondo dei contenuti di diritto d’autore, storicamente altamente conflittuale, andiamo con ordine. Cerchiamo quindi di vedere di cosa si tratta distinguendo gli argomenti che si intrecciano nell’attuale caos del mondo musicale e radiofonico italiano. Però, vista l’occasione, cerchiamo anche di fugare qualche stereotipo sulla Rete che in tutto questo subbuglio centra poco o nulla, non essendo affatto un luogo di anarchia e sovversione del copyright, bensì l’ultima e potentissima arma di istruzione di massa inventata dal genere umano in grado di aumentare esponenzialmente la domanda di contenuti, innovare la produzione dei beni culturali, e stimolare positivamente tutti i soggetti che si pongono dal lato dell’offerta, così come evidenziato da un studio della Fondazione Cotec di cui ci ha dato notizia Nòva nel dicembre del 2009.

 

Infrastrutture radiofoniche

 

Dopo più di vent’anni e svariate centinaia di milioni di euro spesi, il famoso progetto Eureka 147 – DAB Digital Audio Broadcasting del 1987, sulle trasmissioni radio ad alta definizione basate sulla tecnologia digitale, anche in Italia, finalmente, sembra stia diventando una realtà.

 

Dopo la conferenza di Wiesbaden del 1995 che ha avviato la sperimentazione del sistema DAB, individuando per ogni Stato membro una serie di blocchi di frequenze (in banda VHF – III e in banda UHFL) da utilizzare in via digitale e lasciando la scelta della data di avvio della nuova tecnologia a discrezione dei rispettivi Stati, in Italia, lentamente, si sono mosse le cose verso questo importante traguardo, che peraltro consentente un ‘risparmio di banda’ non indifferente (es.: uso efficiente dello spettro elettromagnetico perché più programmi condividono la stessa porzione di banda di radiofrequenza, multiplazione di programmi in canali in un unico canale radio, ecc, come indicato da una nota del Club Dab Italia).

 

Successivamente, è stato approvato dal Ministero delle Comunicazioni il DM del 14 novembre 2001, recante il programma per lo sviluppo della radiodiffusione sonora in tecnica digitale. E’ seguito poi il tentativo dell’AGCOM (delibera n. 149/05/CONS) di adottare nel 2005 un (secondo) regolamento per la disciplina della fase di avvio dei mercati, l’assegnazione delle radiofrequenze utilizzabili in DAB e l’inizio delle trasmissioni con tecnica digitale su frequenze terrestri.  

 

Tuttavia, la cosa non ha funzionato ancora per l’occupazione delle frequenze da parte delle televisioni, che solo gradualmente hanno cominciato a ‘switchare’ dai servizi tradizionali sulle frequenze del digitale liberando i canali per le radio in tecnica DAB. Inoltre, ad aggravare il rischio di perdita e ritardo nel recupero degli ingenti investimenti fatti dal sistema radiofonico per passare al digitale, nel giugno 2009, ci si è messo in Italia anche il problema della canalizzazione della banda VHF III secondo lo standard europeo. Sicché, è stato necessario abbandonare il vecchio sistema di canalizzazione su cui si erano fondati i precedenti provvedimenti normativi, con la conseguenza che molto del lavoro già fatto è dovuto ripassare al vaglio di nuove consultazioni delle parti interessate e delle loro associazioni rappresentative (RAI, attraverso Ray Way S.p.A.; Club Dab Italia, formato da RDS, Radio DJ, Radio Capital, Radio Radicale, Radio Maria, Radio 101, e altri; l’ARD – Associazione per la Radiofonia Digitale; la RNA – Radio Nazionali Associate; Areanti Corallo con le ben 985  imprese radiotelevisione locali, satellitari e via internet; e CR DAB Consorzio Radio Digitale, appartenente alla FRT – Federazione Radio Televisioni private).      

 

Finalmente, dopo questa lunga marcia, con il nuovo regolamento Agcom (delibera n. 664/09/CONS) è stato segnato un nuovo inizio dei mercati per l’assegnazione delle frequenze ai broadcaster per le trasmissioni in DAB. Ma fatta la legge, trovato l’inganno. Infatti, nonostante le dichiarazioni di principio che si richiamano ai criteri di garanzia per  l’accesso ai mercati secondo equità, trasparenza, non discriminazione, e pluralismo dettati dalle normative europee e nazionali (sovraordinate), il nuovo regolamento sulle frequenze DAB risulta, nella sua estrema farraginosità, restrittivo e penalizzante nel dettare i requisiti soggettivi di accesso ai diritti di uso delle radiofrequenze digitali riservate (teoricamente) ai consorzi di radio locali. Conseguentemente, il CR DAB – Consorzio Radio Digitale (che riunisce le radio locali) ha proposto nel febbraio del 2010 ricorso al TAR Lazio deducendo diversi punti critici del regolamento.

 

Per effetto dell’ordinanza n. 1177/2010 del 12.3.2010, il primo round di questa disputa giudiziale è terminato con il rigetto dell’istanza cautelare per la sospensione. Ma restano ancora da decidere tutte le questioni di merito sottoposte alla decisione finale del TAR Lazio che, avendo censurato la legittimazione del CR DAB a portare in forma collettiva doglianze in nome di ogni singola radio consorziata, potrebbe fronteggiare, nella successiva fase di merito, le iniziative autonome delle circa 60 radio consorziate nel CR DAB che, come già notato, appartiene alla FRT – Federazione Radio Televisioni.

 

Vertenza Radio – SCF

 

Sul fronte dell’utilizzo dei contenuti musicali, la situazione è di guerra aperta. Infatti, come è noto, i rapporti già tesi tra la SCF – Società Consortile Fonografici ed il mondo radiofonico nazionale e locale (su questo alleati), sulla questione dei diritti connessi (ai diritti d’autore) riferiti all’utilizzo dei supporti fonografici (vinili, CD, DVD, ecc) recanti le tracce musicali, negli ultimi tempi sono precipitati del tutto.

 

Innescati dalle nuove tecnologie l’abbattimento dei costi di produzione dei supporti fonografici, il moltiplicarsi delle possibilità di riproduzione musicale, il calo delle vendite ed altri effetti avutisi a catena lungo la filiera, i produttori musicali sono precipitati in crisi. Per reazione, quest’anno, è giunta la pretesa di SCF (che riunisce i produttori discografici titolari del 95% del repertorio musicale italiano ed internazionale pubblicato in Italia) di aumentare di 4 volte i compensi per l’utilizzo dei fonogrammi dovuti in base al DPCM 1.9.1975, ritenendo superata, nei fatti, la normativa che, comunque, aveva sempre lasciato libertà di diversa contrattazione tra le parti.

 

La risposta delle radio, principali soggetti pagatori dei diritti connessi (nonché a loro volta titolari, è bene ricordalo, dell’ulteriore diritto connesso sulle loro emissioni radiofoniche), non si è fatta attendere. Infatti le radio, nazionali e locali, hanno bloccato la programmazione radiofoniche relative ai brani musicali nuovi, determinando un vertiginoso calo delle vendite. Così come evidenziato dalle diverse note apparse in questi giorni su Newslinet.it, la protesta delle radio si è diffusa a macchia d’olio sul tutto il territorio nazionale, estendendo ormai ad oltre 700 emittenti radiofoniche il blocco totale della programmazione delle nuove canzoni.

 

In tale contesto, mentre alcuni artisti preoccupati del calo delle vendite derivante dall’embargo radiofonico hanno rinunciato al diritto connesso loro dovuto per legge dando le liberatorie per la programmazione, sono scoppiate le liti in tribunale, dove SCF ha convenuto le radio in mora coi pagamenti dei diritti connessi e dove si dovrà decidere della fondatezza, o meno delle pretese del consorzio dei fonografici nei confronti delle radio. Ad aggravare la già grave situazione SCF è stata denunciata a maggio del 2010 all’Autorità Antitrust ed all’Agcom da un altro ente di rappresentanza radiotelevisiva, la REA – Radiotelevisoni Europee Associate.

 

In questo quadro fosco di disarticolazione completa del mondo della musica e della radio in Italia, v’è da chiedersi, allora, come sta facendo Luca Viscardi, l’utilità pratica dei diritti connessi nell’attività concreta di diffusione delle opere musicali. Intanto, in attesa della risposta che non arriverà, il blocco delle programmazioni continua, ora solo con riferimento ai brani italiani come riferito da una nota di FMI e PMI apparsa su Key4biz il 3.6.2010, e la protesta si allarga oltre i nostri confini.

 

Il mondo si apre con la Rete, ma si chiude con gli interessi corporativi a tutto pregiudizio del radioascolto (e non solo).

 

 

 

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