Google: fallito il tentativo di vendere online il Nexus One. La società, intanto, chiede scusa per il furto ‘inconsapevole’ dei dati Wi-Fi

di Alessandra Talarico |

Mondo


Nexus One

È fallito l’esperimento di Google di vendere il suo primo smartphone direttamente via internet, mentre il gruppo è di nuovo al centro delle polemiche dopo che, da un’indagine interna, è emerso che i furgoncini utilizzati per realizzare le immagini da utilizzare nei servizi di mapping online (come Street View o Google maps) avrebbero collezionato informazioni sui siti visitati dagli utenti sulle reti Wi-Fi.

 

Al lancio del Nexus One, Google aveva annunciato che lo smartphone avrebbe potuto essere acquistato online da un nuovo negozio virtuale pensato per offrire agli utenti una modalità efficiente per accedere a cellulari Android selezionati. Pare però che il tentativo non sia riuscito e sul suo blog ufficiale, Google ha comunicato che lavorerà con gli operatori mobili per la vendita del telefonino attraverso i loro punti vendita.

 

Il web store online, che avrebbe dovuto inaugurare un nuovo pionieristico modello di vendita, verrà trasformato in una ‘vetrina’ da cui promuovere i diversi modelli basati sul software Android.

Il nuovo canale aveva tra l’altro scatenato le proteste degli utenti, scontenti per la mancanza di un supporto tecnico telefonico per far fronte ai diversi inconvenienti e difficoltà legati all’acquisto e al funzionamento del Nexus One. Lanciato negli Stati Uniti lo scorso 5 gennaio, lo smartphone avrebbe infatti dato non pochi problemi: la connessione 3G, si erano lamentati in tanti, non funzionava anche in presenza di un ottimo segnale, la sincronizzazione creava non pochi problemi e sembrava impossibile far funzionare sul telefonino gli account Google esistenti.

La società non ha fornito dati ufficiali sulle vendite dello smartphone – che avrebbe dovuto rappresentare la risposta di Google all’iPhone – ma ha reso noto che soltanto i ‘tecnofili’ hanno deciso di acquistare il Nexus One dal negozio online, che offriva l’apparecchio a prezzo ridotto con abbonamento a T-Mobile o a prezzo ‘pieno’, senza abbonamento. In generale, ha spiegato il Ceo Eric Schmidt, vengono venduti 2 milioni di smartphone basati su Android ogni mese, cifre che si avvicinano molto a quelle registrate dall’iPhone (8,75 milioni quelli venduti nel primo trimestre 2010).

 

“L’adozione mondiale del sistema operativo Android ha superato le nostre attese, ma così non è stato per le performance dello store online”, ha rilevato il responsabile delle piattaforme mobili di Google, Andy Rubin. “E’ chiaro – ha aggiunto – che molti clienti preferiscono ancora ‘toccare con mano’ i prodotti che vogliono acquistare”.

 

Nel frattempo, però, sia Sprint sia Verizon Wireless (controllato da Verizon Communications e Vodafone) hanno reso noto che non offriranno il Nexus One ai loro clienti, ma si orienteranno verso dispositivi Android alternativi.

 

Oltre ai problemi legati al Nexus One, Google dovrà ora tentare di arginare le polemiche riguardo l’ultima violazione della privacy, scoperta e resa pubblica dalla società stessa dopo che il Garante tedesco aveva chiesto una verifica sui dati Wi-Fi in mano alla società: per oltre tre anni, in sostanza, gli addetti incaricati di catturare le immagini per il servizio Street View, hanno intercettato anche ‘per errore’ il nome e l’indirizzo di tutti modem Wi-Fi sul loro percorso, captando, quindi, anche tutta una serie di informazioni personali degli utenti di questi dispositivi, dalle email alle password.

 

In una nota sul blog ufficiale della compagnia, Alan Eustace, vicepresidente di Google Engineering & Research, ha affermato che si tratta solo di frammenti di dati, che Google non avrebbe mai utilizzato.

Ma come è potuto succedere? Risponde sempre Eustace che “semplicemente è stato un errore: nel 2006 un ingegnere che lavorava su un progetto Wi-Fi sperimentale ha scritto una porzione di codice che indicizzava tutte le categorie di dati provenienti da reti Wi-Fi pubbliche…questo codice è stato erroneamente inserito nei software utilizzati per il servizio Street View”.

 

Google ha assicurato di non aver mai utilizzato questi dati: “Appena ci siamo resi conto dell’errore, abbiamo isolato i dati sulla nostra rete, li abbiamo resi inaccessibili e abbiamo preso contatto con i regolatori dei maggiori paesi per accordarci su come smaltire questi dati, che noi vogliamo cancellare al più presto”, ha aggiunto Eustace.

 

Resosi conto della enorme gaffe, Google ha comunque sottolineato che il mantenimento della fiducia degli utenti è un obiettivo cruciale “in tutto quello che facciamo”, ma in questo caso “non abbiamo raggiunto il nostro scopo”.

Per arginare i danni del caso, quindi, il gruppo chiederà a una società indipendente di analizzare il software in questione e di confermare l’avvenuta cancellazione dei dati e avvierà una revisione interna delle procedure per assicurare che i controlli siano robusti a sufficienza per evitare simili episodi in futuro.

Le macchine del servizio Street View, infine, non collezioneranno più alcun dato sulle reti Wi-Fi.

 

Il servizio, fin dal suo debutto, ha provocato non poche polemiche per il forte livello di nitidezza delle immagini, che avrebbe potuto permettere il riconoscimento delle perone riprese dal satellite se Google non avesse fatto ricorso a metodi per oscurare i volti e le targhe delle auto.

L’esempio di Street View e dei tantissimi servizi gratuiti che magari ci semplificano la vita, ma permettono anche a chi ce li offre di avere una traccia di tutto quello che poi ne facciamo, dimostra come ormai i nostri dati siano esposti a possibili minacce da ogni dove. Per questo, ricordiamo agli utenti internet di stare molto attenti, quando un sito o un servizio chiede di fornire dati personali, su quali informazioni vengono raccolte ed elaborate, sul motivo di tale procedimento e su quali sono i diritti in materia. Chiediamoci insomma, se queste informazioni le forniremmo così tranquillamente se a chiederle fosse un estraneo che incontriamo per strada.