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Social network: le istituzioni Ue vogliono una presenza più massiccia su Twitter e Facebook, veri luoghi di ‘comunicazione orizzontale’

Europa


I social network stanno trasformando il panorama mediatico, creando forti comunità online dove giovani e meno giovani scambiano idee e danno vita a nuovi spazi collettivi. Il Parlamento e le altre istituzioni europee vogliono essere “dove sta la gente” e, quindi, parlare di Europa su queste nuove piattaforme. In una relazione discussa qualche giorno fa, il liberale Morten Løøkkegaard ha evidenziato il potenziale dei social media per rafforzare la partecipazione dei cittadini e costruire una sfera pubblica europea.

“Sulla Ue c’è un’abbondanza di informazione, ma manca la comunicazione”, ha affermato Løøkkegaard, presentando il suo rapporto alla commissione Educazione e Cultura del Parlamento il 27 aprile. “Dobbiamo avvicinarci ai cittadini con un approccio dal basso verso l’alto, e non il contrario”, ha aggiunto.

I social network non sono solo una fonte di informazione per i giovani, ma anche il luogo dove esprimere le proprie idee, condividere contenuti e proposte: il posto ideale per “raccontare la nuova storia europea, e parlare alla generazione che è nata con l’Europa”, secondo l’ex-giornalista.

Per raggiungere questo pubblico le istituzioni devono essere “dove la conversazione prende vita”: piattaforme come Facebook e Twitter, su cui fette sempre più ampie della popolazione spendono parte del tempo libero, sono gli ‘spazi’ ideali.

La relazione sottolinea che il Parlamento è stato un “precursore” in questo senso, lanciando – in occasione delle elezioni europee – una serie di piattaforme online per incitare i cittadini al voto. Ma Løkkegaard incoraggia anche a esplorare di più le partnership con il settore privato, perché nel privato secondo lui – “ci sono esperienze e competenze validissime sui social media”.

Durante l’incontro, il francese Jean-Marie Cavada, del PPE, ha parlato di “arroganza” delle istituzioni, che non si prendono la briga di “spiegare le cose chiaramente”: anche secondo lui i social media possono essere un’opportunità per “una comunicazione più orizzontale”.
“Il contesto istituzionale e tecnologico non potrebbe essere più favorevole”, ha continuato Løkkegaard, eppure “…una sfera pubblica europea di vasto raggio non esiste, mentre le sfere pubbliche nazionali sono vivaci”. Secondo lui, sta ai leader europei e nazionali assumersi la responsabilità e agire.

Più copertura degli affari europei sui media nazionali: per ottenere questo obiettivo, il rapporto raccomanda ai governi di proporre ai canali televisivi delle linee guida su come seguire l’attualità europea: si tratta “ovviamente di un esperimento”, ha precisato l’autore, “ma chiedere che ci siano più servizi sull’Europa, può incoraggiare gli editori a mandare più corrispondenti a Bruxelles”.

La relazione, infatti, lancia l’allarme sul declino nel numero dei corrispondenti presso le sedi dell’UE: secondo Lorenzo Consoli, presidente dell’Associazione della stampa internazionale (API) a Bruxelles, nel 2005 c’erano 1300 giornalisti accreditati presso le istituzioni europee, oggi sono solo 800.

D’accordo con la proposta l’europarlamentare del PD Silvia Costa, per cui “un riferimento all’UE nei contratti pubblici potrebbe fare una differenza sostanziale”. Più critica la tedesca Petra Kammerevert, S&D, che teme che l’imposizione di linee guida dei governi alle TV possa “scivolare su un terreno pericoloso”.

Løkkegaard propone anche la creazione di una “task force” europea di giornalisti indipendenti, liberi da ogni controllo editoriale, che producano news giornaliere sull’Europa, da pubblicare su diverse piattaforme e canali, secondo criteri giornalistici.

Critica la reazione della Kammerevert: “Non serve a nessuno comprarsi gli editori e i giornali. Nel tuo rapporto c’è una tendenza a cancellare la divisione fra noi istituzione e l’indipendenza dei media”.

“Assolutamente no, lungi da me interferire con la libertà editoriale”, ha replicato il danese, precisando che le sue idee sono nate con uno spirito “costruttivo, e in nessun modo come attacco al giornalismo”.

La commissione per la Cultura voterà sul rapporto Løkkegaard il 2 giugno.

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