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Editoria. Internet si oppone alla minitassa Fieg. Calabrò (Agcom): ‘L’editoria tradizionale ha bisogno del web’

Italia


L’intervento pubblico nel settore dell’editoria “mai come ora deve superare la logica della sovvenzione e deve guardare in prospettiva“, ridisegnandolo lungo le coordinate dell’investimento e dell’innovazione, “in particolar modo quando prevede l’erogazione di denaro pubblico, un bene sempre più raro“.

E’ il commento di Corrado Calabrò, presidente dell’Agcom, in occasione del convegno ‘Lavori in corso per una riforma dell’editoria’ promosso dalla Fieg. Ma – ha aggiunto – se è vero l’intervento pubblico va ricalibrato, è altrettanto vero che l’intervento privato nell’editoria tradizionale e oggi anche elettronica “va promosso e incentivato, anche attraverso nuovi meccanismi finanziari, in grado di richiamare investitori e donatori“.

 

Calabrò ha parlato diffusamente del web, sottolineando che così come la rete offre nuove opportunità organizzative, distributive e di miglioramento del prodotto, dalla stessa rete web vengono anche nuove strade di finanziamento di mercato, come la pubblicità online e le nuove forme di abbonamento. Sulla prima, gli ultimi dati americani stimano un +7% della raccolta nel 2010 e un +15% il prossimo anno; quanto alle seconde, sono meno onerose per l’industria, visto che tagliano i costi di produzione. E sempre a proposito di relazione tra editoria tradizionale e web, Calabrò ha aggiunto che proprio oggi si ha notizia che la società che controlla il New York Times e altri importanti quotidiani statunitensi ha migliorato i conti ed è tornata in attivo nel primo trimestre 2010 grazie anche a un incremento del 18,3% delle entrate pubblicitarie per inserzioni online (pari a 80 milioni di dollari).  

 

Calabrò ha detto anche che la tecnologia ha segnato il discrimine nel settore dell’editoria tra ieri e oggi. L’editoria tradizionale ha bisogno del web, ma non può certo quest’ultimo sostituirsi alla carta stampata, “la qualità sopravvivrà alla crisi dei giornali”. Il presidente dell’Agcom ha sostenuto “io sono dell’opinione di quelli che pensano che internet non cancella l’industria del giornalismo; la cambia“. Pertanto si tratta di rendere complementare giornali tradizionali e internet. E più che un problema di informazione o di notizie, c’è invece “un serio problema di modelli di business che devono essere ridisegnati.

Un percorso difficile da adattare caso per caso e non esente da rischi di fallimento. Ma un percorso che dev’essere fatto”.

L’adattamento dovrebbe avvenire – secondo Calabrò – non tanto nella forma di una concorrenza diretta tra prodotti editoriali, “ma lungo una traiettoria più complessa di competizione-cooperazione”.

Le dichiarazioni rilasciate dalla Fieg (Federazione italiana editori giornali), in occasione della presentazione dello “Studio sulla stampa italiana 2007- 09 sul presente e il futuro del prodotto editoriale nell’era del digitale, hanno sollevato un polverone.

Specie per la proposta di una tassa sul web per contrastare i motori di ricerca che utilizzano notizie prodotte dalle case editrici tradizionali, lanciata per tentare di risollevare un settore che ha bisogno immediato di ossigeno, ma che ha scatenato un coro di proteste.

“La Fieg ha avviato un’iniziativa nei confronti dei motori di ricerca, Google in testa, per far pagare i contenuti editoriali – ha ricordato il presidente Carlo Malinconico in occasione della presentazione del rapporto – La procedura, però, è lunga e complessa. Nel frattempo si potrebbe intervenire con una misura transitoria, anche solo per due-tre anni”.

Malinconico ha quindi suggerito che “Basterebbe un prelievo di entità minima, l’equivalente di un caffè al mese, su chi ha la connessione a internet per aiutare l’editoria ad affrontare la grave crisi che attraversa’.

 

Gli operatori del settore hanno prontamente replicato, evidenziando la delicatezza dell’argomento trattato in un periodo di profonda crisi economica e soprattutto perche nell’era della convergenza tra piattaforme, discussioni di questo tipo coinvolgono diversi e molteplici comparti.

Si oppongono operatori del settore e consumatori, ma la rivolta monta soprattutto in rete. Su blog e social network la parola d’ordine è una sola: opporsi, e persino boicottare, qualsiasi balzello sulla libera circolazione sul web.

 

Un’ipotesi, quella avanzata da Malinconico, che ricalcherebbe le proposte del governo tedesco: una tassa di possesso sul computer di 17,98 euro al mese, equivalente a quella esistente su tv o radio. Gli introiti servirebbero a finanziare la ristrutturazione della rete tedesca, così da garantire a tutti la banda larga, ma anche a risarcire i quotidiani teutonici che si dicono penalizzati dalle news da parte di Google. Un tema, quello della circolazione gratuita delle notizie sul web, che ha spinto non solo Berlino, ma prima ancora Parigi, a proporre di finanziare l’editoria tassando gli introiti pubblicitari online dei colossi di internet come Google, Facebook e Microsoft.

 

‘Questa tassa la evado di sicuro’. E’ la risposta più comune che si trova su internet alla proposta di Malinconico. Su Twitter sono centinaia gli interventi per il no. Si accusano i giornali di prendere già milioni di euro con le sovvenzioni pubbliche, e ci chiede perché si dovrebbero mantenere i quotidiani che sono organi lobbistici o di partito. Sui blog più frequentati ci sono anche posizioni più ironiche. C’è chi invita a ‘mettersi una mano sulla coscienza e ad offrire un caffè ad ogni editore che si incontra per strada, almeno una volta al mese’, e chi propone ‘una tassa anche per i produttori di tv in bianco e nero e di cassette audio, letteralmente demoliti dal progresso tecnologico’. Tanti altri poi propongono il boicottaggio. ‘Disdico immediatamente le mie connessioni a internet e mi metto ad hackerare la rete al vicino’.

 

E, quella di ieri, sembra l’onda lunga della protesta scatenata dalla tassa sull’equo compenso alla Siae varata a gennaio dal governo. Contro il surplus dei prezzi applicati alle memorie di massa, per esempio dvd e chiavette usb, destinato a corrispondere i diritti ad autori e editori, è ancora attivo un gruppo con quasi duemila iscritti su Facebook. La protesta non monta però solo in rete. L’associazione italiana degli operatori del mercato della comunicazione digitale ha ribadito ‘che è necessario tener ben presenti le caratteristiche proprie della rete, ideando soluzioni ad hoc e non ricalcando inefficacemente soluzioni già adottate in altri ambiti’. Anche i consumatori si sono opposti. Secondo l’Uduc, se il desiderio della Fieg divenisse realtà, ‘ci saranno meno navigatori in internet e i giornali non avranno risolto i loro problemi economici’.

 

Layla Pavone, presidente Onorario IAB Italia, associazione italiana che riunisce gli operatori del mercato della comunicazione digitale, ha risposto a Malinconico spiegando che “In uno scenario che vede i new media artefici di repentini mutamenti a livello sociale e di rilevanti conseguenze sul modello di business degli editori, come IAB Italia riteniamo sia fondamentale che istituzioni, editori, internet company e, in generale, tutte gli attori del settore della comunicazione, possano trovare spazi di dialogo e collaborazione per identificare soluzioni condivise alle numerose questioni poste dal crescente successo dei media digitali”.

“Desideriamo ribadire – ha però aggiunto la Pavone – che è necessario tener ben presenti le caratteristiche proprie della rete, ideando soluzioni ad hoc e non ricalcando inefficacemente soluzioni già adottate in altri ambiti”.

“Per questo motivo – ha concluso – apprezziamo il lavoro svolto da Agcom e il tentativo dell’Authority di trovare un punto di incontro tra i vari attori del mercato e rinnoviamo la nostra disponibilità a collaborare ai tavoli di lavoro e discussione.”

 

Il biennio 2008- 2009 ha rappresentato per il settore dell’editoria una crisi “tra le più acute della sua lunga storia, con un fatturato complessivo in forte arretramento” e nei primi mesi del 2010 non è che i segnali siano incoraggianti, anzi “i motivi di preoccupazione non sono venuti meno e sono tali da portare a considerare la situazione dell’editoria giornalistica ancora immersa in uno stato di crisi”. Carlo Malinconico ha rilevato come da parte del governo ci siano state “misure punitive nei confronti dell’editoria“, a partire dal mancato rinnovo delle tariffe postali agevolate, ma anche scarsi interventi di politica industriale diretti ad attenuare gli effetti della congiuntura e a correggere storture legislative e di mercato.

 

Una misura – quella sulle tariffe postali – che “si traduce in un pesantissimo aggravio di costi proprio in un momento in cui le imprese devono confrontarsi con una flessione della domanda interna, particolarmente pronunciata nel settore industriale”. Tra l’altro l’Italia è il Paese dove le copie di quotidiani vendute in abbonamento sono appena 9 su 100, contro una media europea della metà, e addirittura punte dell’80% nei paesi scandinavi e di oltre 90 in Giappone. E questo “lo dobbiamo – ha detto la Fieg – ad un sistema distributivo la cui funzionalità è stata stigmatizzata dalla stessa Antitrust“, sistema “ingessato com’è da regole che impediscono ‘il naturale adeguamento dell’assetto distributivo all’evoluzione della domanda’“. Ma lo si deve anche a un sistema postale “inefficiente ed oneroso tanto da indurre l’Antitrust ad auspicare l’eliminazione della norma che individua in Poste Italiane l’unico soggetto che può applicare le tariffe ridotte incassando il corrispondente contributo”.

 

Per questa ragione Malinconico ha chiesto il ripristino del credito d’imposta sugli acquisti di carta e di altre misure “che si potrebbero adottare per migliorare l’efficienza del sistema distributivo, per limitare il carico fiscale su aziende labour intensive, come le editoriali, attraverso la riduzione dell’incidenza dell’Irap, per armonizzare le aliquote agevolate dell’Iva, parificando il trattamento delle informazioni online fornite dai giornali a quello previsto per le informazioni su carta”.

 

Il quadro economico che emerge dallo studio è desolante. Nei primi tre mesi dell’anno la pubblicità sui quotidiani ha mostrato sintomi di ripresa (+0.6%), che arrivano però dopo un calo del 16.4% del 2009;. I periodici hanno fatto invece registrare una decelerazione della flessione: -13.5% a fronte del -29.3% del 2009. Calano anche le vendite dei quotidiani (-6% nel primo scorcio dell’anno, valore analogo a quello medio del 2009, -5.9%) e dei periodici (in linea con i risultati 2009, -5.6% per i settimanali e -8.9% per i mensili).

Nel triennio 2006-2008 il fatturato ha subito tre flessioni consecutive: -1.4% nel 2007, -4.5% nel 2008 e -9% nel 2009.

Anche i costi industriali sono diminuiti, ma in misura nettamente inferiore: -0.8%, -1.7% e -5%. Di conseguenza il margine operativo lordo ha subito un forte deterioramento, passando dai 161,6 milioni del 2007 ai 16,2 del 2009 (-93.8%).

 

Parallelamente, nel triennio 2006-2008 è aumentato il numero delle imprese in perdita (da 22 a 28) ed e’ diminuito quello delle aziende in utile (da 38 a 29).

Particolarmente grave la situazione dei periodici. Se nel 2007 hanno registrato una leggera flessione dei ricavi editoriali (-0.8%), dovuta all’andamento deludente delle vendite (-2%), a fronte di ricavi pubblicitari ancora in crescita (+2.6%), nel 2008 l ‘andamento recessivo si è ampliato (-4.3%), colpendo sia la pubblicità (-5.5%) che le vendite (-3.9%). Ma il 2009 è stato l’anno peggiore: secondo le stime, la stampa periodica dovrebbe aver subito un calo del fatturato del 14.4%, imputabile soprattutto al calo della pubblicità (-29.5%).

 

Dall’ultima indagine Mediobanca emerge un rapporto medio costo del lavoro/fatturato del 10.4% nel 2008, ma pari quasi al doppio (20.2%) nel settore dell’editoria. In questo comparto il costo medio annuo per addetto e’ stato di 49.300 euro, mentre nelle medie imprese, analoghe per dimensione a quelle editrici di quotidiani, e’ stato di 44.500 euro.

Sono calate vertiginosamente, passando dai 414 milioni nella finanziaria per il 2008 ai 195 milioni per il 2011 (-52.9%).

Come rileva il Censis, nel 2006 era il 33.9% degli italiani a non avere contatti con i mezzi a stampa, mentre nel 2009 si è arrivati al 39.3%. Parallelamente, la percentuale degli utenti di internet che non ricorrono ai giornali e’ passata dal 5.7% al 12.9%.

 

Evidente lo squilibrio territoriale: a fronte di una media nazionale di 86 copie di quotidiani vendute ogni 1.000 abitanti, la media nelle regioni meridionali è di 56 copie, in pratica la metà di quelle vendute al Nord (102) e al Centro (99). Si conferma l’anomalia italiana: la stampa occupa il 30.9% (17.9% i quotidiani, 13% i periodici) fronte del 53.9% detenuto dalla tv (con la radio al 7.3%, internet al 3.7%, l’outdoor al 3.6% e il cinema allo 0.6%). Fatta eccezione per il Portogallo (stampa al 22.6% e tv al 56.5%), in tutti gli altri Paesi si rileva una situazione di equilibrio o di vantaggio netto per la stampa.

 

 

 

Per ulteriori approfondimenti sul Rapporto presentato dalla Fieg:

 

La Stampa in Italia 2007-2009

 

La Sintesi

 

Le Slides

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