Oscar della TV: tromboni al potere nel piccolo schermo.  Evviva il vecchio e guerra al nuovo che non c’è

di di Raffaele Barberio |

Italia


Raffaele Barberio

Assegnati ieri i cosiddetti Oscar della TV al Teatro Ariston di Sanremo.
Che dire?
Al di là dei risultati, di cui diremo tra poco, tutto sa di stantio, di pane duro, senza alcuna capacità di innovazione, senza guizzi creativi.
Del resto una tv nazionale come la nostra, pubblica o privata che sia, che seleziona i suoi autori senza alcuna vocazione al rischio, senza alcuna spinta alla ricerca di nuovi linguaggi, di nuovi modi di raccontare, senza alcuna voglia di sperimentare modalità di posizionamento della TV nel nuovo ecosistema della comunicazione elettronica (come sta facendo egregiamente la BBC e come sta faticosamente cercando di fare Rainet), non poteva che celebrare se stessa ed il proprio sistema di funzionamento, all’insegna della autoreferenzialità e con l’oscuramento totale di qualsiasi possibile alternativa. Del resto le alternative non esistono.
Questa è la TV che abbiamo. Ma è questa la TV che ci meritiamo? Difficile dirlo.
Tuttavia, il pubblico si sta disaffezionando al piccolo schermo.

 

Il più grande mezzo di comunicazione di massa, è entrato nel nostro Paese irrimediabilmente in crisi, ma non solo e non tanto perché i giovani di oggi non sanno neanche cosa sia il varietà televisivo o il telegiornale, impegnati come sono a surfare solo sulla rete (ecco perché le pubblicità televisive sono sempre più rimpolpate con spot di dentiere e pannoloni), quanto per l’incapacità di offrire nuove prospettive di consumo anche al suo stesso pubblico tradizionale.
Tutto è incaprettato dai meccanismi dell’auditel, sistema vecchio, arbitrario, ancorato al mondo analogico, con panel del tutto discutibili e selezionati con modalità altrettanto discutibili.
Si dirà: ma il pubblico vuole questo.
Risposta sensata, si direbbe, ma non sufficiente.

 

Anche in America esistono i grandi network generalisti che trasmettono la solita marmellata, ma parallelamente emergono dalle onde della comunicazione elettronica tutte quelle spinte, oggi condensabili nell’espressione “New TV“, che indicano tutto quanto di nuovo sta emergendo dalla televisione e dal suo incontro con i nuovi media.
Non è un cambio di forma. Non è il televoto espresso via internet anziché via telefono. No. E’ un cambio di marcia. Una diversa scala di misurazione. Tutte cose che nella vecchia Europa fanno qualche fatica ad affermarsi, con l’eccezione della BBC, e che in Italia sono del tutto sconosciute o quasi.

Le porte del nuovo sono serrate con tanti di quei lucchetti da far arrossire anche il lampione di Moccia a Ponte Milvio.
La flottiglia dei soliti nomi televisivi di sempre è ben accorta ad auto citarsi o tutt’al più a citarsi vicendevolmente. Scene da ultimi giorni di Pompei di una oligarchia televisiva che non ha idee e ha solo voglia di mantenere il proprio potere e che non ha alcuna intenzione né di guadagnare le prime, né di perdere il secondo.
E così avanti al vecchio, sia quando ha i capelli bianchi di Daniele Piombi (cariatide del piccolo schermo premiato con l’Oscar di “diamante”, data la longevità con la TV), che la fronte stempiata di Carlo Conti, un quarantenne che sembra essere televisivamente parlando un ottuagenario, o il grande seno materno di Antonella Clerici.
Si, perché hanno vinto proprio loro. Sempre loro.

 

E chi ha perso?
Gli altri come loro, sempre loro: Maria De Filippi, Milly Carlucci, Paolo Bonolis, Gerry Scotti.
Roba vecchia, senza idee, rassicurante come può esserlo solo la tradizione senza radici della cultura televisiva.
Eppure il nuovo è tra noi, tra i venti-trentenni che sperimentano nuovi linguaggi di comunicazione sulla rete, con format inconsueti e attenti a tutte le novità che vengono dall’estero.
Nessuno sembra curarsi di loro. Eppure la comunicazione sta cambiando, anzi la televisione sta cambiando. Non solo tecnologicamente. Sta cambiando sugli schermi dei PC, sui monitor dei laptop, sui display dei telefonini.
Magari accadrà come con il Muro di Berlino. Fino a una settimana prima nessuno avrebbe immaginato cosa sarebbe accaduto. E qui accadrà magari qualcosa del genere: un processo di rottura apparentemente imprevisto che fa saltare tutte le regole non scritte dell’attuale oligarchia televisiva.

 

Un’occasione di discontinuità, che difficilmente consentirà spazi di restaurazione.

Il mondo della comunicazione elettronica cambia pelle ogni giorno e questa TV, vecchia e un po’ trombonesca, non sarà in condizione di tenere il passo.