IV workshop Fondazione Vodafone Italia. Paolo Bertoluzzo: ‘Attenersi a principi etici e a sostenibilità iniziative aziendali’

di Flavio Fabbri |

Italia


Paolo Bertoluzzo

Si è svolto ieri 3 marzo, presso la Camera dei Deputati (Palazzo San Macuto – Sala del Refettorio), il IV Workshop Fondazione Vodafone Italia sul tema “La nuova economia: il ruolo delle imprese e lo sviluppo del Non Profit“, organizzato in collaborazione con Vodafone e l’Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà. L ‘incontro è stata l’occasione per approfondire i temi legati allo sviluppo di quelle organizzazioni che perseguono fini mutualistici e sociali, la cui importanza è stata sottolineata anche da Papa Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in Veritate. In un passaggio della lettera pastorale, scritta dal Santo Padre, si può leggere infatti che: “Accanto all’impresa privata orientata al profitto e ai vari tipi di impresa pubblica, devono potersi radicare ed esprimere quelle organizzazioni produttive che perseguono fini mutualistici e sociali. È dal loro reciproco confronto sul mercato che ci si può attendere una sorta di ibridazione dei comportamenti di impresa e dunque un’attenzione sensibile alla civilizzazione dell’economia“.

E di terzo settore, etica e nuovi modelli di business hanno discusso gli speaker invitati dalla Fondazione Vodafone, in un panel dedicato ai rapporti tra mondo della politica, dell’economia e dell’imprenditoria, moderato da Franco Di Mare, giornalista e conduttore televisivo Rai. Dopo i saluti del presidente della Fondazione, Antonio Bernardi, è stato l’amministratore delegato di Vodafone Italia, Paolo Bertoluzzo (Vai all’intervista video) a spiegare le ragioni dell’iniziativa e il perché del rinnovato impegno dell’azienda nel settore non profit: “Un’azienda che viene costituita dai suoi azionisti, con l’obiettivo ultimo di valorizzare i profitti nel lungo periodo, dovrebbe attenersi ai principi della gestione etica di un’impresa e alla sostenibilità delle sue iniziative“.

 

Due linee guida queste – ha spiegato Bertoluzzo – che permettono a Vodafone di raccogliere, grazie proprio alla sua Fondazione, idee e suggerimenti importantissimi, ma anche di confrontarsi con chi vive a contatto diretto con i problemi sociali e con le persone in stato di disagio“. “Per noi – ha continuato l’ad Vodafone – è inoltre importante rafforzare la conoscenza e i rapporti con gli operatori degli enti non profit che lavorano in mezzo alle persone, sviluppando così un codice di comportamento individuale e collettivo ispirato a valori condivisi dalla comunità diretta di riferimento, che poi sono i nostri clienti, considerati non solo come risorse, ma come un vero e proprio patrimonio aziendale, a cui va aggiunto l’ambiente in cui viviamo e lavoriamo e la società nel suo complesso“. Missione della Fondazione Vodafone Italia, cha al momento ha lavorato a più di 300 progetti di alto valore sociale, è quella di rafforzare la lotta alle nuove forme di disagio, di recuperare spazi di azione nei territori, rurali e urbani, e di creare nel tempo un network di competenze costituito da realtà del Terzo Settore e soggetti istituzionali che operano sul campo. Su questa piattaforma concettuale si è quindi inserito anche l’intervento di Vannino Chiti, vice presidente del Senato della Repubblica, che ha detto: “Considerare le persone e l’ambiente patrimonio dell’azienda significa creare valore aggiunto su cui gli azionisti possono contare nel tempo“. Un nuovo percorso di riflessione, quello aperto dall’enciclica papale, che la stessa classe politica ha il dovere di portare avanti e sostenere, anche “favorendo il superamento della divisione tra economia e sfera sociale, unitamente ad una maggiore sussidiarietà e partecipazione dell’associazionismo di base e delle realtà operanti nel terzo settore“.

 

Come hanno ricordato i partecipanti al workshop nei loro interventi, le grandi ideologie che hanno caratterizzato il Novecento non sono ormai più sufficienti a spiegare i nuovi fenomeni legati alla post-globalizzazione, tra cui le forme avanzate di capitalismo finanziario, gli inarrestabili flussi migratori in atto, i grandi cambiamenti climatici in corso e i loro effetti sulle società avanzate e in via di sviluppo. “Bisogna ripartire dalla persona e dalla sfera dell’individuo – ha sottolineato nuovamente Chiti – dalle loro speranze ed esigenze, perché alla base di ogni società c’è sempre un progetto economico e politico, ma soprattutto etico“.

 

Le stesse istituzioni nazionali e sovrannazionali dovrebbero essere ispirate da tale nuova visione umanitaria, a cui integrare il principio di sussidiarietà, più volte indicato come possibile strumento per facilitare gli scambi tra mercato e società, dimensioni troppo spesso separate da obiettivi divergenti e diversi modelli di sviluppo. E proprio l’imprenditore, nel suo ruolo di animatore dei mercati e delle economie, è chiamato ad un impegno maggiore in favore dell’economia del dono e dello scambio, come l’ha definita Maurizio Lupi, vice presidente della Camera dei Deputati: “A cui aggiungere la carità, come strumento di avvicinamento tra le persone e di crescita spirituale, oltre che sociale“. “Sussidiarietà che non va scambiata per assistenzialismo – ha tenuto a precisare Lupi – perché anche la scelta del 5 per mille è utile proprio a sviluppare un nuovo modo di fare economia del dono, facendo vivere al cittadino le Istituzioni in modo diverso, più diretto e semplice, permettendo così ad ognuno di dare il proprio significativo contributo“.

 

Sempre riferendosi alla lettera di Papa Ratzinger, Ettore Gotti Tedeschi, presidente dell’Istituto per le Opere di Religione, ha voluto fare chiarezza sull’utilizzo del termine etica accanto ad altri come banca, mercato, economia e impresa: “Sarebbe più appropriato parlare di banca o impresa sociale, perché etico può essere solo l’uomo e le sue azioni”. Sottolineando che: “Solo nell’operato del singolo si deve ricercare senso e responsabilità“. Oggi le impresa sono uscite dal loro alveo istituzionale, estendendosi ad altri campi di azione, ha ricordato Carlo Borzaga (Vai all’intervista video) dell’Università di Trento, tanto da richiedere al legislatore di intervenire tempestivamente regolamentandone l’agire, “Modificandone la natura stessa e adeguando al nuovo corso economico lo stesso codice civile,  da cui determinare nuove responsabilità per gli imprenditori“. Eppure il mercato, come abbiamo visto negli ultimi anni, ha dato spesso prova di intolleranza alle regole e alle leggi che cercano di regolamentarlo, anche in nome di valori e principi etici che lo stesso Papa ha richiamato nell’enciclica. “Se non si rispettano le regole – ha affermato Daniel Kraus, vice direttore generale Confindustria – non si può generare legittimo plusvalore e quindi sviluppo sociale, oltre che economico“. Come dire: se le imprese barano si crea ricchezza solo per pochi, se tutti rispettano le regole c’è benessere per l’intera collettività. Un principio semplice, ma di difficile attuazione, stando a quanto ancora si legge sui giornali e si vede in televisione. Ridistribuire il plusvalore tra tutti i soggetti che operano sul mercato e nella società è un obiettivo non impossibile, ma certamente ancora fuori portata, visti i tempi. “Ogni costo economico rappresenta un costo umanitario – ha affermato Andrea Olivero, presidente nazionale ACLI e portavoce del Forum del Terzo Settore – come è altrettanto vero che senza progresso sociale non vi è progresso economico“. “Ciò che il Terzo Settore auspica – ha spiegato Oliviero – è una nuova idea di impresa, che metta al centro della sua politica l’individuo come persona e non come unità di produzione o risorsa da sfruttare“.

 

Un mercato quindi in cui muoversi con nuovi strumenti e in cui guardare all’etica come ad uno strumento per ripensare il profitto, non in chiave prettamente materiale, ma anche valoriale e di progresso delle umane sorti: “Generando quei valori – ha sottolineato il portavoce del Terzo Settore – a cui le imprese possano ispirarsi, per operare in modo virtuoso, dando il via a processi di ibridazione tra azienda e mondo dell’associazionismo e del volontariato, con obiettivi, strumenti e finalità condivisi“. Una questione di scelta che attende l’imprenditore e le Istituzioni, ma anche la società stessa, responsabilizzando ognuno a seconda delle sue possibilità e del suo impegno giornaliero. La grande sfida, hanno evidenziato in molti, sta nel modo in cui si cercherà di conciliare i termini “dignità dell’uomo“, con quelli di “competitività aziendale e di mercato“, concetti ancora troppo legati alle culture di appartenenza e su cui la comunità internazionale dovrà lavorare per appianare differenze al momento abissali. Si pensi ai diversi modi di pensare alla persona e ai suoi diritti, tra gli stessi Paesi appartenenti all’Unione Europea, ad esempio, e tra questi e la Cina o magari altre realtà, come i turbolenti Stati africani. A seconda delle dinamiche storiche e delle diverse evoluzioni legislative, ogni paese continua a vedere l’uomo in modo diverso: soggetto di diritto o risorsa da sfruttare.

 

L’idea che ha animato la Fondazione Vodafone Italia, come hanno spiegato i diretti responsabili, è proprio quella di creare una struttura autonoma, completamente dedicata ad attività di servizio e di solidarietà sociale, che possa specializzarsi nel compiere azioni positive e disinteressate a favore di tutti e in particolare dei soggetti in situazioni molto disagiate. Come affermato nei diversi interventi, “Bisogna riportare l’uomo al centro della vita economica, politica e sociale”, ma per far questo, ha ricordato in conclusione Antonio Bernardi: “Vodafone ha deciso di coinvolgere direttamente i suoi clienti, integrandoli nei percorsi di crescita aziendale, rendendoli parte attiva dei suoi piani, riconoscendo loro un valore etico, ancor prima che economico“. Impegnarsi a favorire le fondazioni d’impresa, ha precisato il presidente della Fondazione, “Permette al mondo delle aziende di perseguire gli scopi statutari principalmente attraverso la collaborazione e l’erogazione di contributi ad altri soggetti che operano nella società civile“. In tal modo sarebbe possibile per un’impresa, proprio rifacendosi al principio di sussidiarietà, di divenire un soggetto multiscopo, in grado di generare profitti, ma allo stesso tempo di operare nel mondo del sociale, migliorando l’ambiente in cui tutti si vive, sottraendo spazi al degrado e alla marginalità, favorendo infine la crescita dei talenti, anche in quelle famiglie più svantaggiate, realizzando così una piena inclusione sociale.

 

Vai all’intervista a Paolo Bertoluzzo

 

Vai all’intervista a Carlo Borzaga

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