Decreto Romani: si attende il parere del Parlamento mentre il viceministro ripristina le vecchie quote su opere indipendenti

di Raffaella Natale |

Italia


Paolo Romani

Il Decreto Romani verrà modificato in alcune parti, specie quelle che riguardano le quote di produzione e investimento nelle opere indipendenti, mentre verranno fatte alcune precisazioni sul capitolo internet. Il Parlamento proprio oggi dovrebbe dare il proprio parere, prima del via libera in Consiglio dei ministri.

Il viceministro Paolo Romani ha infatti ad alcune modifiche del decreto che recepisce la direttiva sulla Tv senza frontiere, senza stravolgere, per ora, il capitolo web.

Restano in piedi le critiche dell’opposizione, ha redatto un parere di minoranza.

Parlando nelle commissioni Cultura e Trasporti della Camera, Romani ha premesso di volere attendere il voto del parere sul decreto, obbligatorio ma non vincolante, previsto per oggi.

“Non voglio interferire con il Parlamento, fare invasioni di campo, anticipare giudizi, sminuire il ruolo delle Commissioni, dei relatori e dei colleghi parlamentari specie dell’opposizione”, ha premesso il viceministro alle Comunicazioni, chiarendo che sulle quote di produzione e investimento nelle opere indipendenti il Governo è pronto a ripristinare quanto previsto dall’articolo 44 del Testo unico sulla Televisione, ovvero il 10% per le emittenti private, e dal contratto di servizio della Rai, ovvero il 15% appunto per il servizio pubblico. Disponibilità anche a lasciare invariate le norme sui diritti residuali, oggetto di un regolamento dell’Agcom.

 

Resta la scelta di prevedere la responsabilità editoriale per i siti con video on demand, “prevedendo un catalogo di contenuti sfruttati a fini commerciali”. Romani ha ribadito che, secondo la stessa direttiva Ue, i live streaming e le web tv sono ricompresi tra i servizi televisivi classici. Quanto all’autorizzazione per i nuovi siti, ha precisato Romani, riguarda semplicemente gli aspetti amministrativi. Ed è proprio su internet, capitolo toccato con forza dall’Agcom per il timore di una stretta eccessiva, che Romani critica il presidente della stessa Authority, che a suo avviso sul decreto ha usato “toni accesi e argomenti discutibili”, e che avrebbe dovuto collaborare di più con il Governo.

 

L’Agcom, ha aggiunto, deve poi “chiarire” sull’accostamento dell’Italia a regimi autoritari.

“Non sono d’accordo – ha spiegato Romani alla Camera, a margine della riunione delle commissioni Trasporti e Cultura – su molte delle osservazioni fatte da Calabrò. Sicuramente non sul fatto che l’Italia possa essere paragonata a sistemi autoritari come la Cina. Non abbiamo nessuna intenzione di avvicinare il Paese a modelli di questo tipo”.

La direttiva Ue – ha spiegato – assimila le web tv e il live streaming alla televisione: se il discorso di Obama viene trasmesso in diretta via web, per fare un esempio, è da considerarsi un programma televisivo”. Per Romani, “é frutto di un malinteso affermare che il governo voglia censurare Internet. L’unico problema che abbiamo posto riguarda lo sfruttamento commerciale di video realizzati da terzi e resi disponibili on demand: riteniamo che questo tipo di servizio debba essere assimilato al video on demand tradizionale”.

Quanto alla cosiddetta ‘autorizzazione generale’ ai siti Internet, “che ha fatto gridare allo scandalo – ha concluso il viceministro – si tratta della possibilità di revoca dell’inizio attività che viene affidata al governo, sulla base di un regolamento stabilito dall’Autorità, nel caso in cui non vengano rispettati i requisiti amministrativi”.

 

Nessun commento dall’Authority, ma anche Calabrò, nelle audizioni in Parlamento, aveva sottolineato l’assenza di consultazione da parte del Governo e il fatto che si stava perdendo l’occasione di “ridisegnare un quadro organico della materia televisiva” perché “lo schema di decreto accentua ancora di più la bipartizione delle competenze” tra Autorità ed esecutivo.

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