Riduzione degli spot su Pay TV: il Governo adotterà domani il decreto ed è già polemica. Un vantaggio per Mediaset o per i telespettatori?

di Raffaella Natale |

Sempre domani il Consiglio dei ministri adotterà norme astringenti per l’uso del web.

Italia


Paolo Romani

Dopo tante indiscrezioni di stampa, arriva la conferma: il Consiglio dei ministri di domani introdurrà nuove regole per la televisione italiana e anche internet. Il provvedimento, scrive La Repubblica, è complesso e composto di circa 100 pagine fitte di articoli e commi. Il procedimento una volta approvato dal Governo, sarà subito esecutivo e senza alcun passaggio in Parlamento per verifiche e correzioni. Si tratta di un decreto legislativo che gode di una corsia preferenziale assoluta.

Il provvedimento prevede nuove norme per la rete, ma soprattutto ritocca i tetti pubblicitari delle Pay TV dal 18 al 12%. Un vero e proprio colpo per Sky, la tv satellitare di Rupert Murdoch. Questo limite riguarderebbe anche Mediaset Premium che però ancora non supera il 12%.

La comunicazione ha subito scatenato la polemica con Paolo Gentiloni in prima linea che ha commentato: “Il decreto legislativo sarebbe un vero e proprio ribaltone del nostro sistema televisivo a uso e consumo delle reti Mediaset”.

E ha spiegato che “il blitz produrrebbe un aumento di pubblicità per Mediaset incrementando gli affollamenti in alcune fasce orarie, autorizzando una maggiore frequenza di spot e liberando le autopromozioni dal calcolo degli affollamenti”, con il risultato di una “overdose di spot per le tv di Berlusconi che già raccolgono il 63,8% della pubblicità tv. La pubblicità verrebbe invece tagliata di un terzo per gli editori che usano invece la piattaforma Sky con una ovvia penalizzazione del maggior concorrente commerciale di Mediaset”.

Stesse polemiche di quando s’è ipotizzato di abolire la pubblicità dalla Tv pubblica, nonostante sia un provvedimento già adottato da molti Paesi Ue come Francia e Spagna.

Gentiloni ha anche criticato l’ipotesi di passaggio da Agcom al Ministero dell’autorizzazione per i nuovi canali satellitari e la cancellazione delle misure varate due anni fa dal Governo Prodi sulle quote di produzione audiovisiva europea. “Ce ne è abbastanza – ha concluso Gentiloni – per chiedere il ritiro di questo vero e proprio ‘decreto Mediaset’ che il Governo vuole approvare limitando l’intervento del Parlamento ai soli pareri delle commissioni competenti”.

Sandro Gozi, capogruppo del Pd nella Commissione Politiche della Ue di Montecitorio, ha definito il decreto “un nuovo mostro giuridico, l’ennesima strumentalizzazione dell’Europa a fini esclusivamente aziendali”.

Ha precisato che “la Direttiva comunitaria Tv senza frontiere, che il decreto si propone di recepire, viene infatti stravolta a uso e consumo di un solo gestore privato, quello di proprietà del Presidente del Consiglio. Infatti, la norma comunitaria è tesa a riequilibrare il mercato della pubblicità in ciascun paese: il governo italiano anziché interpretarne lo spirito, mettendo mando alla stortura del nostro sistema, ben diverso rispetto agli altri paesi Ue, la usa per rafforzare ancora di più la posizione dominante del gruppo Mediaset. Allo stesso tempo, sfrutta indebitamente le possibilità di aumentare spot, televendite, anche nei programmi per bambini, ulteriormente aggravando l’anomalia televisiva italiana nel panorama europeo”.

Sì al contenimento della pubblicità sia per la tv pubblica, sia per quella commerciale con un limite fissato per la pay, ma no al product placement. Lo ha ribadito la Fieg, spiegando di non essere “in grado di commentare il testo del decreto legislativo di recepimento all’esame del Governo, testo di cui non conosce il contenuto”.
La Fieg ha però ricordato che ”la propria posizione è stata sempre quella di segnalare come nel nostro Paese, diversamente da quanto avviene nel resto d’Europa e negli Stati Uniti, si riscontra un palese squilibrio della pubblicità sulle televisioni a danno della carta stampata”.

A questa constatazione la Fieg ha fatto seguire richieste di contenimento sotto molteplici profili, riguardanti sia la televisione pubblica, per la quale il pagamento del canone dovrebbe essere assicurato con idonei strumenti, che quella commerciale.
In particolare la Fieg ha sottolineato soprattutto la necessità che nel recepimento della direttiva sia rigorosamente limitato il cosiddetto product placement, cioè l’inserimento di prodotti reclamizzati nel contesto di spettacoli televisivi.

“Si tratta di pratica pubblicitaria particolarmente insidiosa perché in grado di impedire la distinguibilità del messaggio pubblicitario. Tale pratica dovrebbe essere fortemente limitata sia nel numero degli inserimenti sia nella durata del messaggio, per evitare il paradosso che gli spot pubblicitari televisivi siano sottoposti al limite orario, mentre una pratica potenzialmente più pericolosa, come il product placement, no”.
La Fieg ha altresì evidenziato la “necessità di recepire integralmente quanto previsto dalla nozione di pubblicità della direttiva europea così da considerare le telepromozioni a tutti gli effetti ‘spot televisivi pubblicitari’ e, di conseguenza, conteggiarle ai fini del rispetto del limite orario di affollamento pubblicitario”.
Infine la Fieg ha prospettato, ”fin dall’entrata in vigore della legge Gasparri, la necessità della verifica della coerenza del sistema tra televisione pubblica e televisione commerciale a pagamento, che potrebbe portare ad applicare il limite più basso di affollamento pubblicitario orario fissato per la concessionaria del servizio pubblico, che ha ricavi da pubblicità e canone, anche alle emittenti nazionali con una consistente incidenza di entrate da abbonamento. La Fieg auspica che il recepimento della direttiva comunitaria tenga conto armonicamente di tutte queste indicazioni”.

Riguardo invece alla possibilità di introdurre col decreto due interruzioni nei programmi per bambini superiori a 30 minuti, Luca Borgomeo, presidente dell’associazione di telespettatori cattolici Aiart, ha commentato che si tratta di “un segnale estremamente negativo“.

Già il fatto che salga l’affollamento pubblicitario fa preoccupare – ha affermato – ma che questo avvenga sulla pelle dei più piccoli è particolarmente grave. La pubblicità modifica i comportamenti dei più piccoli e li spinge verso atteggiamenti consumistici”.

Il Consiglio Nazionale degli Utenti (Cnu), organismo dell’Agcom, ha espresso “preoccupazione” per questo decreto. In una nota, il Cnu ha affermato che “l’invasività degli spot televisivi, delle telepromozioni, delle sponsorizzazioni è già eccessiva. Ogni atto che va a favore di una maggiore presenza della pubblicità è, secondo noi, inopportuno; mentre si dovrebbe andare verso una limitazione, come ci chiede anche la Ue, degli spot commerciali. Anche lo strumento del decreto ci sembra inappropriato“.

Aeranti-Corallo e associazioni Tv Locali FRT hanno ricordato che “l’attuale normativa prevede che i limiti di affollamento pubblicitario delle televisioni a pagamento siano identici a quelli previsti per le televisioni trasmesse in chiaro”.

Le due associazioni chiedono da tempo che vi sia una chiara distinzione tra chi fa pay tv e chi trasmette i propri programmi gratuitamente, esclusivamente in chiaro: “Infatti, le emittenti televisive a pagamento, traendo profitto dagli abbonamenti, possono praticare tariffe per gli spot particolarmente ridotte, con evidenti conseguenze negative per il mercato pubblicitario”.

Pertanto sono del parere che “L’ipotesi di prevedere il limite orario del 12% (in luogo del precedente limite del 18%) per le pay tv è assolutamente inaccettabile, in quanto si tratta di una modifica agli attuali limiti che non avrebbe alcuna incidenza reale e manterrebbe inalterata la problematica”.

Marco Rossignoli di Aeranti-Corallo e Maurizio Giunco dell’Associazione Tv Locali FRT esprimono pertanto la propria totale insoddisfazione su tale ipotesi e reiterano la richiesta di azzeramento della pubblicità sulle Pay TV, sia satellitari, sia diffuse attraverso l’etere terrestre.

“Forti perplessità in merito alla sostanza del provvedimento e sconcerto rispetto ai tempi in cui esso verrebbe proposto” sono state espresse dalla ATDI (Associazione Televisioni Digitali Indipendenti), sull’ipotesi di limitazioni all’affollamento pubblicitario per le Pay TV. La ATDI è un organismo associativo che riunisce i 12 principali operatori tv indipendenti dalle piattaforme distributive, editori di 50 canali televisivi pay e free nel mercato italiano.

“In un mercato caratterizzato dalla crisi della raccolta pubblicitaria e dalla stasi della pay Tv satellitare – ha detto Francesco Nespega, Presidente di ATDI – appare quanto meno intempestivo un provvedimento che rischia di ridurre ulteriormente le risorse disponibili a uno sviluppo organico e pluralista del mercato televisivo multicanale, ponendo seriamente in discussione la competitività degli operatori indipendenti dalle piattaforme di distribuzione, e, in taluni casi, la loro stessa sopravvivenza’.

‘Un simile provvedimento – all’ATDI – appare ancora più anacronistico considerando che la regolamentazione europea applicata in tema di pubblicità tende sempre più a ridurre le limitazioni oltre che a salvaguardare la concorrenza tra operatori. Peraltro non appare chiaro quali altri interessi verrebbero salvaguardati; non certo quelli del pubblico che è in grado di valutare autonomamente la qualità di canali pay per i quali può decidere liberamente se pagare un abbonamento o meno”.

ATDI ha già fatto sapere che porterà le proprie istanze all’attenzione delle competenti Commissioni di Camera e Senato e ai competenti organismi della Commissione Europea.

Mi verrebbe da chiedere, ma è giusto che chi già paga un abbonamento deve essere costretto anche a subire le varie interruzioni pubblicitarie, a volte davvero numerose, durante un programma?

Adiconsum che ha accolto con favore la decisione di Romani ha però lanciato una petizione per chiedere l’abolizione totale della pubblicità nelle Pay TV.

Lo scorso febbraio Adiconsum ha consegnato al Presidente della Commissione Comunicazioni della Camera dei Deputati, Mario Valducci, le firme della petizione per chiedere l’abolizione della pubblicità nelle tv a pagamento.

Adiconsum ha ricordato che a ottobre, in occasione dell’audizione presso il Ministero dello Sviluppo Economico per le osservazioni sulla delibera 2007/65/CE (la nuova direttiva Ue sulla “Tv senza Frontiere”), chiese di inserire nella legge di recepimento una differenziazione fra prodotto audiovisivo a pagamento e prodotto audiovisivo gratuito e di creare una regolamentazione, più restrittiva, per le interruzioni pubblicitarie per l’accesso ad audiovisivi a pagamento sia da trasmissione lineare (pay tv) che su richiesta (video on demand).

“Il decreto in approvazione – ha detto ancora l’associazione – recepisce solo in parte le richieste dei consumatori, ma ancora non prevede l’assenza di pubblicità per i prodotti multimediali che gli utenti già pagano precedentemente con abbonamenti o ricariche”.

“Il tetto previsto – ha concluso Adiconsum – è ancora troppo alto (lo stesso previsto per la Rai) che però si finanzia con una tassa che è molto più bassa dei canoni previsti dalle pay tv”.

Polemica anche per le misure restrittive su internet decise all’indomani dell’aggressione al premier Silvio Berlusconi.

Il governo si appresta ad approvare il provvedimento che regola le manifestazioni di piazza, con l’obiettivo di impedire che schieramenti contrapposti possano trovarsi a stretto contatto, e che limiti la nascita di gruppi e siti sulla rete che possano istigare alla violenza.

Misure “più adeguate”, ha spiegato il Ministro Maroni, per garantire ai cittadini e a chi ha compiti istituzionali di “svolgere tranquillamente la propria azione“, ma anche per porre fine a quella che è una “vera e propria istigazione a delinquere” attraverso internet.

Un percorso tutt’altro che semplice, soprattutto per quanto riguarda internet, con il rischio di andare a incidere pesantemente sui diritti personali e sulla privacy dei cittadini.

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