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Google: gli editori contro il sistema ‘First Click Free’. Murdoch, ‘Questa gente non investe in giornalismo, ma mangia alle spalle degli altri’

Italia


Si scalda in Italia il dibattito internazionale su Google News, dopo le accuse lanciate da Rupert Murdoch contro un sistema che “ruba” dai giornali senza alcun rispetto del diritto d’autore. Stavolta a prendere la parola, con un  intervento pubblicato oggi sul Sole 24 Ore, è il presidente del gruppo L’Espresso, Carlo De Benedetti, che torna a parlare della soluzione proposta dal motore di ricerca, il ‘First Click Free’, che appare “più un diversivo che un cambiamento di strategia” ma è comunque un’iniziativa rivelatrice della “consapevolezza di un problema che c’è”.

 

E’ un “passo“, ha aggiunto De Benedetti, anche se “certamente troppo piccolo” quello compiuto da Google in direzione di un pagamento ai giornali per i loro contenuti fatto con l’annuncio di far scattare l’obbligo d’acquisto dal sesto pezzo in poi.

Una questione che l’editore ha così sintetizzato: “come restituire valore ai contenuti informativi messi online dalle aziende editoriali, con costi crescenti, in modo da salvare l’informazione di qualità”.

In questo senso De Benedetti si auspica che Google collabori “davvero” con i giornali, come nelle intenzioni espresse dal Ceo Eric Schmidt, e, dalle pagine del ‘Sole’, lo invita ad accettare “di condividere con i giornali una minima quota dei profitti giganteschi che ha fatto e farà, visto che comunque i giornali sono la più potente ‘esca’ per i navigatori che vanno sul motore di ricerca. Come? Semplicemente pagando i diritti di proprietà intellettuale”.

 

Il rischio è che i giornali possano diventare “solo uno dei tanti content provider di Google” la cui “vera mission“, come spiegato dal suo Ceo, “è raccogliere dati in misura e qualità non replicabili da nessun altro”.

Così Google “potrebbe rapidamente raggiungere un tale vantaggio competitivo da non essere colmabile dai competitor, che di fatto semplicemente scompariranno. Nessuno di quanti accusati in passato di volontà egemonica – né Ibm né Microsoft – ha mai osato spingersi così avanti“, afferma l’editore.

 

Google Italia “non dichiara quanto fattura” ma “di certo la sua è una posizione dominante sia sul mercato della pubblicità testuale a performance, sia in quello del principale servizio offerto, cioè la ricerca su internet“. De Benedetti ha però affermato che la cifra guadagnata dal motore di ricerca è “più o meno 450 milioni di euro, la metà degli investimenti pubblicitari su internet“. Se si tratti di un abuso di posizione dominante, secondo l’editore, “è da provare. E in questo senso – ha proseguito – c’è da attendere con fiducia l’Autorità garante della concorrenza e del mercato che sta indagando” su segnalazione della Fieg.

 

L’Antitrust italiana il 26 agosto scorso ha avviato una istruttoria nei confronti di Google News Italia per possibile abuso di posizione dominante e il procedimento è stato esteso lo scorso 3 settembre anche alla capogruppo statunitense, Google Inc., con sede in Mountain View, California. In base agli accertamenti effettuati dall’Autorità e alla documentazione acquisita è infatti risultato che la gestione del servizio ‘Google News Italia’, oggetto del procedimento, viene effettuato dalla società Google Inc.

Il procedimento è stato originato da una segnalazione della Fieg, secondo cui nella gestione del servizio Google News Italia, Google impedirebbe agli editori di scegliere liberamente le modalità con cui consentire l’utilizzo delle notizie pubblicate sui propri siti internet escludendo dal motore di ricerca Google i siti editoriali che non vogliono apparire su Google News.   

 

L’Antitrust intende verificare se i comportamenti della società, in considerazione della sua indiscussa predominanza nella fornitura di servizi di ricerca online, siano idonei a “incidere indebitamente sulla concorrenza nel mercato della raccolta pubblicitaria online” e a consolidare la sua posizione nella intermediazione di spazi pubblicitari.

 

Secondo gli editori Google News Italia, utilizzando parzialmente il prodotto dei singoli editori online, avrebbe un impatto negativo sulla capacità degli editori online di attrarre utenti e investimenti pubblicitari sulle proprie homepage.

Gli editori italiani, che non ottengono alcuna forma di remunerazione diretta per l’utilizzo dei propri contenuti su Google News, non avrebbero inoltre la possibilità di scegliere se includere o meno le notizie pubblicate sui propri siti internet sul portale stesso: Google renderebbe infatti possibile ad un editore di non apparire su Google News, ma ciò comporterebbe l’esclusione dei contenuti dell’editore dal motore di ricerca della stessa Google.

Gli editori ritengono che si tratti di una condizione estremamente penalizzante: la presenza sul motore di ricerca di Google è determinante per la capacità di un sito internet di attrarre visitatori e dunque ottenere ricavi dalla raccolta pubblicitaria, vista l’elevatissima diffusione di tale motore tra gli utenti.  

 

La questione dei motori di ricerca e della remunerazione dei contenuti è stata sollevata anche da editori televisivi: il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri di recente ha definito “cruciale” la “protezione del copyright“.

La frammentazione delle audience e dei fatturati che, ha rilevato Confalonieri in un recente incontro pubblico, deriva dal moltiplicarsi dell’offerta consentita dalla tv digitale e da quella satellitare pone l’accento sulla necessità per i gruppi televisivi e editoriali di investire nella produzione di contenuti, anche cinematografici, che sono i più costosi.

Se poi questi contenuti arrivano sul web “chi paga il conto?” è il quesito posto dal presidente di Mediaset.

Internet – ha precisato Confalonieri – si avvale di una parola magica che è ‘free’: se i vari YouTube e Google non riconoscono il valore della proprietà intellettuale non si può investire” sui prodotti.

Quello di consentire a chi investe sul prodotto di continuare a farlo è un problema “vitale, cruciale anche per salvaguardare le nostre radici culturali“. Una questione che, ha concluso il presidente di Mediaset, “occorre mettere all’attenzione dei regolatori, di chi ci governa, sia sul piano locale che su quello europeo e mondiale”.

 

Con un editoriale sul Wall Street Journal, Murdoch torna sul rapporto tra giornalismo e internet, rispondendo così anche Erich Schmidt che alcuni giorni fa proprio dallo stesso giornale ha risposto alle accuse lanciate alla web company.

In tempi nei quali i gruppi editoriali tagliano, licenziano, chiudono, l’indiziato numero uno è il web ma, ha scritto Murdoch, “il mio messaggio è il contrario. Il futuro del giornalismo è più promettente che mai, limitato solo per editori e operatori dei media che non vogliono competere per la conquista dei lettori” e per governi tentati da opzioni dirigiste con regolamentazioni del mercato.

 

Quello che rende redditizia un’impresa editoriale, ha ricordato Murdoch, è il successo dettato dai lettori: ad aver difficoltà con la crisi sono “gli editori che pubblicano notizie per se stessi” e non quelle cercate e apprezzate dai lettori. Ora le nuove tecnologie ampliano lo spettro dei lettori potenziali ma anche degli strumenti di informazione, tanto che lo stesso Murdoch ha citato un progetto di convergenza multimediale di News Corp per offrire contenuti prodotti dai suoi giornali e dalle sue tv su piattaforme nuove come quella dei BlackBerry, i telefonini.

“Alla News Corp stiamo lavorando da due anni su un progetto per usare parte dei servizi televisivi del gruppo per offrire contenuti tv (e magari anche contenuti dei giornali) sui telefoni cellulari. I consumatori d’informazione odierni non vogliono essere vincolati a una scatola in casa o in ufficio per vedere i loro programmi d’informazione e d’intrattenimento preferiti, e trasferendo i contenuti sul cellulare il nostro piano tiene conto delle esigenze della prossima generazione di spettatori televisivi”.

 

Il premio dei lettori, argomenta Murdoch, lo si conquista con la qualità: e “contenuti di qualità non sono gratuiti. Nel futuro, il buon giornalismo dipenderà dalla capacità delle filiere di notizie di attirare utenti con news e informazioni per le quali sono disposti a pagare. Il vecchio modello basato essenzialmente sulla pubblicità – ha scritto Murdoch – è morto. Diciamola tutta: un modello di business che poggia essenzialmente sulla pubblicata online non può sostenere i giornali nel lungo periodo. La ragione è semplice ed aritmetica. Anche se le inserzioni online aumentano, quest’incremento è solo una frazione di quello che si perde in termini di inserzioni mancate sulla carta stampata”.  

 

Per il magnate australiano, “Da sempre è uno solo l’elemento che fa la fortuna di un giornale: la fiducia che deriva dal fatto di rappresentare gli interessi dei propri lettori e fornire loro le notizie che loro giudicano importanti. E questo significa informarli sulle comunità in cui vivono, rivelare casi di corruzione tra i politici o tra gli imprenditori e tenere testa ai ricchi e ai potenti. La tecnologia oggi ci consente di fare tutto questo su scala molto più ampia. Significa che abbiamo i mezzi per raggiungere miliardi di persone che fino a questo momento non avevano accesso a quel tipo d’informazione onesta e indipendente necessaria per migliorare il proprio status sociale, costringere i governi a dare conto del loro operato e soddisfare le proprie esigenze e i propri sogni”.

 

Significa che tutti riusciremo a farcela?

Naturalmente no. Alcuni giornali e alcune società del settore non riusciranno ad adattarsi alla realtà digitale dei nostri giorni, e chiuderanno”.

 

Frammentazione del target, identificazione delle abitudini e dei stili di consumo, personalizzazione del messaggio pubblicitario… Murdoch non ha citato questi aspetti della pubblicità online, ma ha detto chiaramente che è convinto che lo scenario a grandi linee non sia destinato a cambiare, almeno a breve. Neppure in caso di boom delle news online. Da qui la denuncia del furto commesso dagli aggregatori di news online come Google News o Yahoo news, che ‘rubano’ contenuti di qualità e li rendono fruibili gratis.

E ha ribadito che “…c’è chi pensa di avere il diritto di prendere i nostri contenuti e usarli per i propri scopi senza contribuire neanche con un centesimo alla produzione dei medesimi. Qualcuno riscrive, a volte senza neanche citare la fonte, gli articoli di giornalisti illustri e costosi che hanno investito giorni, settimane o addirittura mesi per realizzare l’articolo, e tutto con la scusa logora dell'”utilizzo equo”. Questa gente non sta investendo in giornalismo, sta mangiando alle spalle della fatica e degli investimenti di altri. E appropriarsi indebitamente quasi in toto dei nostri articoli non è un “utilizzo corretto”. Per dirla senza giri di parole, è un furto”.

 

Ma – a parte le news internet a pagamento – Murdoch guarda con timore all’interventismo dei governi nell’economia, sulla scia della crisi. Un governo che diventi editore – con sovvenzioni per gli editori in crisi –  sostiene Murdoch, tradirebbe in America i pilastri del ‘sogno americano’ delineato dai Padri pellegrini. L’efficienza del mercato si raggiunge con la competizione, non con l’alterazione delle regole del libero mercato.

“Il futuro del giornalismo è più promettente che mai e gli unici ostacoli possono venire da editori e produttori non disposti a lottare per conquistarsi lettori e spettatori, o dal governo che interviene pesantemente, o per imporci regole eccessive o per sovvenzionarci”.

 

Secondo il tycoon, “le crescenti richieste di un’assistenza pubblica per i quotidiani sono allarmanti quanto l’eccesso di regolamentazione. Un’idea che sta guadagnando popolarità è quella di destinare fondi pubblici ai giornalisti, o di dare ai quotidiani lo status di organizzazioni non profit, in cambio, naturalmente, della rinuncia dei quotidiani ad appoggiare candidati politici. Il problema maggiore dell'”aiuto” pubblico è quello a cui abbiamo assistito nel caso del salvataggio dell’industria automobilistica: gli aiuti tengono in piedi aziende che producono cose che i clienti non vogliono”.

“…E’ proprio perché i quotidiani non realizzano profitti e non dipendono dal governo per la loro sopravvivenza che hanno le risorse e i mezzi per sorvegliare l’operato del governo”.

 

 

E a questo proposito Murdoch, che attraverso la News Corp controlla Times, New York Post, Wall Street Journal, Sun, The Australian, BSky, Sky Italia…, ha chiesto a gran voce di rimuovere le anacronistiche barriere fra settori di un’industria dei media che la convergenza multimediale di fatto sta rendendo unica. Non ha senso, insomma, che questo ambito sia regolato da norme scritte quando la competizione era fra tv e giornali e non anche fra nuovi media e news sul web.

 

Perché, conclude Murdoch, “che il giornale del futuro sia consegnato attraverso bit o attraverso carta ottenuta da alberi non è importante. Quello che è più importante è che l’industria delle news resti libera, indipendente e competitiva”.

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