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Venice Sessions: quarto appuntamento. Pensiero digitale in moto ondoso sulle palafitte di Venezia

Italia


Un simposio rinascimentale, gestito da un mecenate in ricerca attiva di talenti e idee“. Mentre indugiava sull’ultimo bicchiere di vino bianco della serata, il mio neo-friend di Facebook, brillante blogger e giornalista 2.0 piemontese, ospite come me di Venice Sessions, aveva inquadrato con acuta sintesi il mood prevalente al quarto evento delle Venice Sessions. Il quarto in un anno, sempre nell’atipico scenario di un ex-convento a due passi da piazza San Marco, tramutato da Telecom Italia in Future Centre, un luogo straboccante di tecnologia (e se gli anglosassoni hanno coniato il termine streampunk per definire la narrativa in cui storie di epoca vittoriana vengono contaminate di elementi hi tech, come dovremmo chiamarlo un racconto in cui silicio e wifi si fondono con le palafitte della Venezia medievale?).

 

Intitolata “Il Futuro dei Media nell’Era Digitale” questa quarta “Sessione Veneziana” si snoda lungo un lunghissimo e intenso confronto pregno di analisi e testimonianze dalle frontiere dell’ecosistema mediatico.

In sala una settantina tra visionari del micropublishing digitale e scienziati delle comunicazioni di massa, giovanissimi imprenditori 2.0 (il più celebrato è Nicola Greco , appena 16 anni) e decani del giornalismo tradizionale con spiccate net-simpatie (mirabile la vis polemica di Luca Sofri contro quella retroguardia della carta stampata intenta in maldestre campagne di disinformazione anti-web).

Da casa, stando ai dati forniti dagli organizzatori, in 3600 hanno seguito le varie fasi della diretta streaming, con punte di utenti unici simultanei vicine ai 600 spettatori. Per gli standard dell’online video italico, e calcolate le caratteristiche non certo da cabaret del contenuto, se confermata mi sembra una performance strepitosa. Peraltro in mancanza di un’integrazione interattiva nei dibattiti del pubblico in remoto (non coinvolto, notoriamente il navigatore perde di attenzione), il che presuppone margini di ulteriore miglioramento.

Non entro nel dettaglio dei singoli interventi, perché se non facevate parte delle 3600 views generate in streaming, potete trovare un esteso riassunto sul blog ufficiale e già ci sono diversi video sul canale YouTube dedicato.

 

Il punto di questo pezzo è un altro.

 

“…Siamo entrati nella Twitter Age…”, scrivevano sul sito delle Venice Sessions alla vigilia, “…e vogliamo scoprirne le conseguenze…”. Obiettivi programmatici lodevolissimi, baciati peraltro da un’organizzazione invero impeccabile dei promotori.

E tuttavia, più che di alba della Twitter Age – tema appena accennato e solo quando sul palco è salito un mago adolescente dei social network – si è discusso, disputato, financo guerreggiato, sul tramonto della Print Age. E quello che mi chiedevo assistendo all’affascinante sforzo dialettico profuso dai relatori è: “Perché in Italia non riusciamo a uscire dalla cinica introspezione del presente, dal crepuscolare soffermarsi sulla nostra inevitabile decadenza e lasciarci invece andare con entusiasmo a indigestioni di profezie visionarie?

È evidente che se nel miglior convegno possibile sul “Futuro dei Media“, con alcune delle menti più forward-thinking del Bel Paese, la stragrande maggioranza del tempo viene assorbita dalle paure della transizione, addirittura a volte dall’orgogliosa rivendicazione del glorioso inchiostro che non morirà mai, non c’è poi da stupirsi se in altri ambienti meno proiettati verso l’innovazione la tendenza sia di mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi e far finta che il mondo intorno non sia cambiato…

Voglio dire, la filiera pre-Internet è morta, defunta, kaput.

Basta, mettiamoci una pietra sopra, ignoriamo chi una pietra sopra non ce la vuole mettere perché tanto verrà emarginato in maniera naturale dal mercato, e studiamo come reagire industrialmente alle nuove sfide.

 

Nel suo intervento introduttivo Franco Bernabè, padrone di casa, ha parlato di modelli di business da adottare tra telco a vocazione carrier e telco a vocazione editoriale, di IPTV e trasmissione over-the-top del flusso audiovideo, di criticità di banda nell’implementazione delle soluzioni TV Everywhere, di riscrittura dei percorsi di monetizzazione dei contenuti.

Tutte parole-chiave del “Futuro dei Media“, per chi questo futuro lo deve interpretare dall’interno. Non ho avuto però modo, se non raramente, di riascoltarle nelle 8 ore successive, né ho avuto modo di assistere a case histories internazionali utili alla realtà italiana o presentazioni di best practices da metabolizzare e adottare ai quattro angoli della Penisola.

Se preferite un esempio meno teorico, si è parlato per 30-40 minuti delle intramontabili fortune del quotidiano Bild Zeitung, monumento all’editoria 1.0, e per 3-4 minuti prima della pausa pranzo di Tap Tap Revenge, fenomeno del social gaming e pioneristico simbolo di quel Mobile Internet che – ce lo ha impetuosamente ricordato Mary Meeker di Morgan Stanley l’altro ieri in uno slideshow memorabile – “is and will be bigger than you think“.

 

In my humble opinion, le proporzioni andavano ribaltate.

 

Come minimo.

Non fosse altro perché nessuno potrà mai mettere in piedi una Bild Zeitung italiana, mentre è alla portata dei nostri talenti e auspicabilmente nelle corde dei nostri venture capitalist costituire start-up in grado di emulare la Tapulous di Tap Tap Revenge o la Zynga di Farmville.

Senza alcun dubbio, le Venice Sessions rappresentano un’occasione davvero unica di sviluppo del pensiero digitale italiano e di networking per gli alfieri nazionali, spesso decentralizzati, della e-revolution.

 

Mi auguro vivamente vengano replicate ancora a lungo.

 

Davvero, alla mia prima partecipazione sono rimasto molto, molto colpito, e complimenti a Telecom Italia per l’investimento di risorse economiche e umane.

Al tempo stesso, mi auguro esse evolvano in una duplice direzione: maggior coinvolgimento in real time del popolo internauta (dopo questa iniziale fortunata sperimentazione di livecasting) e proiezione netta, marcata verso l’interpretazione, anzi la dissezione, degli strumenti e dei benchmark essenziali per essere competitivi nei media prossimi venturi (anche perché, in tutta franchezza, non vi è bisogno di alcun supporto particolare per dissezionare i media attuali).

 

 

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