NewTv: Blip.tv, un outsider sbucato dal nulla è il nuovo modello da seguire?

di di Andrea Materia |

Italia


Epic Fu

Il business dell’online video non fa eccezione alle regole dell’universo, e anche qui spesso le realtà più innovative – soprattutto se toppano il time to market – non raccolgono quanto meritavano. Spesso non significa sempre, of course. Chi sfonda raccoglie i suoi dividendi, e quelli di chi è defunto anzitempo. Mi auguro vivamente sia il caso di blip.tv. Più volte l’ho citata di sfuggita, ma gli ultimi accordi distributivi firmati dalla start-up newyorchese (fondata nel Maggio 2005 da Mike Hudack, CEO, e altri 4 soci-lavoratori), la proiettano de facto all’avanguardia nel ridefinire in concreto il concetto di network TV. Che diventa, appunto, NewTV.

 

Un network imperniato sull’assioma di palinsesti non-lineari on demand (a oggi 48.000 web show per un totale di 2.5 milioni di episodi) disponibili sul maggior numero di piattaforme IP-based possibile. Una peculiare forma di supersyndication. L’obiettivo è consentire ai contenuti di raggiungere la loro Total Potential Audience crossmediale.

 

Al momento blip.tv è trasmesso, in cangianti modalità sulla base di molteplici contratti di revenue sharing con gli autori:  

  • sui maggiori portali di video sharing (dall’imprescindibile YouTube all’emergente Vimeo);

  • sui televisori Sony dotati di router per la connessione a Internet e chip per il decoding dello streaming;

  • su alcune emittenti nell’area di New York affiliate alla NBC;

  • sui set-top box di Roku (quindi su tecnologie over-the-top per diffondere contenuti web in TV);

  • sul servizio bundle Internet+IPTV di Verizon, il popolare FiOS, di cui ho parlato qui e che nel frattempo ha sfondato il muro dei 2.5 milioni di abbonati. Altri operatori via cavo che offrono insieme connettività e IPTV si aggiungeranno presto;

  • su iTunes, AOL e una miriade di social network;

  • sugli smartphone (per adesso l’iPhone)

In pratica blip.tv oggi è presente sui pc tramite una congerie di video destinazioni, sulla nuova generazione di cellulari ormai maturi per pensionare le SIM e la loro dinosaurica tech-modestia, e in TV per chi possiede televisori 2.0 Net-enabled, o ha set-top box per attingere over-the-top ai flussi di streaming, o è abbonato di una compagnia di telefonia mobile con piani aggressivi verso i VAS multimediali, o infine in via parziale e programmazione lineare per chi vive a New York.

 

Cosa manca? Le console forse (leggi: Xbox 360 Live). Non dubito siano già nel loro mirino.

 

Okay, lo so, me ne rendo conto. Leggendo gli ultimi tre paragrafi vi siete messi le mani nei capelli. È un casino inestricabile di complicazioni la convergenza delle piattaforme, vero? Così è. Si chiama frammentazione dei media. Fa godere i geek, richiede un pizzico di adattamento dai consumatori anziani, rende ostico il punto di pareggio. Ma non si torna indietro, inutile sperarci. Qualche indirizzo politico miope può rallentare il processo in alcune nazioni, chi non ha l’infrastruttura come l’Italia soffrirà e lascia interdetti vedere il problema perennemente sottovalutato a vantaggio di soluzioni tecnologiche nate vecchie come il DTT, nondimeno la strada è segnata. Adeguatevi o perdete gli inserzionisti (tra parentesi, Blip ha dalla sua colossi dei detergenti, dei media, delle assicurazioni; non è più il pizzicagnolo amico sotto casa, sono soldi, veri, sottratti ai cuginetti USA di RAI e Mediaset).

 

Nostalgia Critic – Warriors of Virtue

Torniamo a Blip. È un neoparadigma distributivo, fin qui nulla quaestio. Finanziato con parsimonia dal venture capital, appena 8 milioni di dollari (significa: gli bastano e non vivono con l’incubo di doverli restituire). Per i content provider è un partner ideale: rispetto a YouTube, selettivo e non automatico nella condivisione degli incassi, blip.tv versa di default tramite Paypal a chiunque apra un suo canale il 50% dei proventi (si può scegliere se derivanti da spot pre-roll, post-roll o inserzioni testuali in overlays), ammesso naturalmente che vengano generati dei proventi pubblicitari. Va premesso per onestà che solo 1 web show su 50 mette insieme un pubblico appetibile per gli sponsor. A ogni modo, con o senza pubblico, per monitorare la situazione, ogni video maker dispone sulla sua Dashboard di una dettagliatissima messe di statistiche e di strumenti idonei a customizzare le proprie clip e relativa (teorica) monetizzazione. Nulla da invidiare YouTube Insight e pure qualcosina in più. Inoltre non viene ceduta nessuna proprietà intellettuale, nessun diritto, nessun ipoteca sul futuro. Non c’è neppure una clausola di esclusiva.

 

C’è un servizio gratuito e un’ottima chance per chi non ha star appeal sufficiente o risorse umane o banalmente competenze per attrarre pubblicità.

 

Resta da capire: cosa “trasmette” blip.tv?

 

Niente di premium, niente di livello Hulu o TV.com, e neppure Crackle, questo è poco ma sicuro. Ci sono quasi 50.000 show autoprodotti fuori dal circuito degli studios, in media dai 5 ai 20 minuti di durata, tutti legati a interessi di nicchia e talora ultranicchia. L’alternativa all’intrattenimento mainstream, se vogliamo, e depurando il termine “alternativa” dei suoi connotati tipicamente europei (intellettuale, astruso, palloso).

 

Tra le serie più popolari The Nostalgia Critic, creato da Doug Walker. Categoria: vlog rant. Ovvero vlogger a ruota – e polemica – libera. Walker si cimenta ogni settimana in feroci critiche della televisione e della cinematografia anni ’80 e ’90. Il suo slogan: “Sono il Critico della Nostalgia. Me lo ricordo io, così voi non siete costretti a ricordarlo”.

 

The Nostalgia Critic fa parte del pacchetto di Channel Awesome, un sito da 4 milioni di visitatori al mese concepito da Mike Michaud, Chicago, e integrato nel network di blip.tv. Da solo il Critico procura a Channel Awesome 32.000 dollari a trimestre, frutto degli spot di Starbust procurati dal commerciale di Blip. Aggiungendo le altre due produzioni di Michaud, AskThatGuy e Bum Reviews, in cassa entrano oltre 50.000 dollari a trimestre, 200.000 l’anno. Bastano a pagare le telecamere, i pc, affitto e spese vive dell’ufficio/studio di ripresa, e quel che avanza è il salario di Walker e Michaud.

 

Anche Epic Fu, co-firmato dal regista Steve Woolf e dalla presentatrice Zadi Diaz, spinge forte. Online dal 2006, quando ancora si chiamava JetSet, tra i vincitori dei primi Streamy Award nel 2009, Epic Fu è approdato nel 2009 su blip.tv dopo una strombazzata quanto sfortunata parentesi nel catalogo di Revision3. Non immaginatevi nulla di trascendentale; è un adrenalinico, quanto canonico, newsmagazine settimanale di 10 minuti sulla web cultura e la sua influenza nel mondo artistico, giovanile in primis. La chiave del successo è nell’interazione con il suo pubblico. Gran parte delle notizie vengono segnalate dalla community di iscritti al sito ufficiale MIX, all’ultima conta 3695 fan, tutti potenziali e spesso assidui collaboratori della trasmissione. Dopo una lunga pausa estiva, stando a un recente blog post di Woolf, lo show dovrebbe tornare puntando ancor più che in passato sulla sua componente “partecipativa”. Nel frattempo, Puma è diventata lo sponsor ufficiale…

 

Batto e ribatto sul chiodo fisso degli inserzionisti, perché sono loro l’olio e la benzina della rivoluzione mediatica. Una volta deciso, con il cervello ma soprattutto in termini di percezione collettiva delle agenzie e dei loro dirigenti, che a dispetto del perdurante dominio su reach & frequency degli spot in TV classica non si convertono alla spesa tanti clienti quanti quelli coinvolti in campagne di engagement marketing crossmediale, è evidente l’inizio della fine per lo status quo.

 

Soldi che cambiano di mano indirizzati da concessionarie di pubblicità come FreeWheel, in grado di procacciare contratti a Blip per le clip che Blip stesso carica su YouTube. Esatto, perché sebbene possa sembrare incredibile, solo il 4% delle views per i programmi targati Blip viene generato sul sito blip.tv. Il restante 96% di 72 milioni di views mensili arriva dal cumulo degli spettatori sulle altre piattaforme di video-sharing (che a loro volta si ritagliano una fettina della torta). È la supersyndication di cui a inizio articolo. Gli show di Blip hanno un’ottima reputazione, si vendono a 20 dollari CPM, 20 dollari ogni mille views. Se queste mille views arrivano da YouTube – e con 100 milioni e passa di americani che si “sintonizzano” su YouTube ogni mese è più che probabile – i 20 dollari sono spartiti tra Blip, i creatori del video, il ridistributore YouTube e l’intermediario che procura gli spot e rende possibile l’operazione (in questo caso FreeWheel).

 

Vi immaginate un format de La7 che trova la sua audience su RAI 2, dove viene messo in onda con spot Fiat contrattualizzati da Cairo (la concessionaria de La7), e al momento del consuntivo – sulla scorta di dati trasparenti messi in comune – RAI, Telecom Italia, Cairo e i produttori del format si dividono l’introito? No, perché non è possibile. Anche se per assurdo tutte le parti in causa lo volessero. Ci sono un paio di miliardi di limiti tecnologici che diventano limite distributivo; è un modello di business non più adeguato, se non a chi ha interesse a difendere posizioni di vantaggio acquisite nel tempo.

 

Non sta cambiando soltanto la fruizione e la drammaturgia dei media, cambia il B2B alle sue spalle, e perdonate il cinismo ma è questo che ci libererà delle mummie.

 

 

Coming up next in NewTV: si prospetta un autunno dorato per le web fiction, sempre meno amatoriali e sempre più ricche di star e produttori hollywoodiani… Nell’attesa, aggiornamenti, commenti e diversi milioni di link utili sul mio Twitter.

 

NewTV. Non è più troppo presto, non è ancora troppo tardi.

 

 

 

 

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