Pagamenti elettronici: in Italia non decollano. L’Antitrust auspica l’ingresso nel settore degli operatori mobili

di Alessandra Talarico |

Italia


Pagamenti elettronici

I sistemi di pagamento elettronico sono ancora poco diffusi nel nostro Paese, soprattutto perché i costi delle carte prepagate offerte dalle banche restano troppo elevati, con commissioni di ricarica che possono arrivare fino a 5 euro.

 

È quanto emerge da un’indagine conoscitiva condotta dall’Antitrust, che auspica l’ingresso nel settore degli operatori mobili i quali, spiega il Garante, “con 80 milioni di carte, costituivano alla fine del 2007 la principale componente delle carte prepagate chiuse”.

Favorire l’ingresso degli operatori ‘ibridi’, provenienti cioè da settori diversi da quello bancario, servirebbe infatti a far scendere i prezzi grazie a una maggiore concorrenza.

 

Nel 2007, banche e Poste Italiane hanno emesso 5,8 milioni di carte prepagate ‘aperte’, che consentono, cioè, di effettuare qualsiasi tipo di pagamento.

La domanda risulta in crescita, rispetto all’anno prima, del 30,1%: molto apprezzate, in particolare, la possibilità di utilizzare queste carte senza dover aprire un conto corrente e la crescente garanzia di sicurezza delle transazioni, soprattutto quelle online.

 

Nel 2006 le operazioni di pagamento con carte prepagate presso POS o su Internet sono state 25 milioni, per un valore medio delle transazioni di 60 euro. Il costo annuo medio delle carte prepagate – secondo i dati raccolti dall’Agcm – varia a seconda che il possessore della carta abbia o no un conto corrente presso una banca: nel primo caso si arriva a una spesa media di 18 euro, nel secondo caso, che interessa soprattutto i consumatori più giovani o gli stranieri, il costo sale sensibilmente e varia da un minimo di circa 44 euro a un massimo di circa 117 euro annui.

 

Questi i dati relativi alle carte aperte. Ma, sottolinea il garante, il nostro Paese si caratterizza per l’elevatissimo numero di carte ‘chiuse’, che consentono ci9oè di pagare solo i servizi offerti dalla società che le emette: è il caso, quindi, delle carte telefoniche nazionali e internazionali o delle carte usate per i servizi televisivi a pagamento.

Nel 2007, il credito riversato nelle schede telefoniche mobili, si è attestato a 8 miliardi di euro. Una cifra enorme che potrebbe crescere ulteriormente se gli operatori includessero tra i loro servizi anche i piccoli pagamenti: dalla spesa al supermercato, al biglietto del treno, all’abbonamento dei mezzi pubblici.

 

Una realtà già consolidata in altri paesi dove l’adozione della tecnologia è stata sostenuta da diverse iniziative promosse dalle società di carte di credito e dai maggiori operatori mobili.

 

In Giappone – dove l’operatore NTT DoCoMo ha lanciato il cosiddetto ‘wallet phone’ (telefonino-portafogli) nel 2004 – oggi più di 50 milioni di individui, a prescindere dall’operatore utilizzato, possono effettuare acquisti in mobilità grazie al chip del proprio cellulare (remote payment) o più semplicemente passando il telefonino sopra appositi lettori. Diverse le applicazioni nei settori più svariati: dal pagamento de biglietti del treno al transito attraverso sbarre o check-in, dal download e il pagamento di giochi, MP3, video alla prenotazione dei biglietto del cinema o dello stadio.

 

Anche la Ue alla fine del 2008 ha deciso di intervenire con nuove regole per facilitare l’ingresso sul mercato di nuovi provider e contribuire allo sviluppo di un settore il cui volume potrebbe arrivare a circa 10 miliardi di euro entro il 2012.

 

La proposta prevede un quadro normativo moderno e coerente, con l’obiettivo di favorire l’emergere di un vero mercato unico per i servizi di pagamento elettronico nell’Unione europea.

 

In Europa, nel 2006, sono state realizzate con carte di pagamento 55 operazioni procapite (contro le 154 effettuate negli Usa), mentre in Italia si registravano solo 21 operazioni procapite.

 

Solo un contesto caratterizzato da una maggiore concorrenza, conclude quindi l’Antitrust, “porterebbe a una riduzione dei costi delle transazioni, con importanti benefici per i clienti finali (acquirenti ed esercenti) e per tutto il sistema nel suo complesso” e permetterebbe al nostro Paese di recuperare il gap nella diffusione della moneta elettronica.