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Privacy: la Ue considera nuovi interventi contro i social network e avvia procedura d’infrazione contro il Regno Unito

Unione Europea


I siti di socializzazione sono un fenomeno sociale ed economico emergente, che sta cambiando il modo in cui interagiamo in rete. In Europa, sono oltre 41,7 milioni gli utenti di questi network, che pongono però diversi problemi relativi alla privacy di chi li usa.

La Ue è già intervenuta diverse volte sull’argomento, sottolineando l’enorme potenziale di sviluppo della socializzazione in rete ma anche la necessità di garantire che bambini e adolescenti possano fidarsi ed essere sicuri quando si fanno nuovi “amici” e condividono dati personali online.

 

I cittadini europei, ha sottolineato il Commissario Viviane Reding in un video pubblicato sul suo sito, dovrebbero essere messi nelle condizioni di controllare l’uso che viene fatto dei loro dati personali.

La Reding rivolge la sua attenzione, in particolare, alle società che gestiscono i siti di ‘socializzazione’ chiedendo loro di riservare maggiore attenzione ai dati dei minori, i cui profili dovrebbero essere classificati come privati e quindi non accessibili da chiunque.

 

Se i fornitori di servizi di social networking non metteranno in atto dei codici di autoregolamentazione, ha detto la Reding, la Ue è pronta a imporre nuove regole in materia.

 

L’uso di reti sociali è cresciuto lo scorso anno del 35% in Europa ed entro il 2012 il numero degli utenti dovrebbe più che raddoppiare salendo a 107,4 milioni. Per assicurare la continua crescita delle reti sociali, i giovani utenti devono sentirsi sicuri quando ampliano le loro reti o condividono informazioni personali.

 

Già alcune settimane fa, il Commissario Reding aveva sottolineato come il web fosse troppo simile a una giungla, riferendosi in particolare all’uso eccessivo da parte delle web society di cookies e altri strumenti ‘cattura dati’ che permettono di seguire passo passo le orme degli utenti sul web.

A ciò è da aggiungere che l’arrivo di ulteriori nuove tecnologie come l’Rfid renderanno ancora più vulnerabili e accessibili le informazioni degli utenti.

 

Bisogna dunque, dice la Reding,  fare di più per tutelare il rispetto delle norme Ue sulla privacy, che sono “chiarissime” e prevedono che i dati possano essere usati solo con il consenso degli interessati.

 

“Non possiamo rinunciare a questo principio fondamentale e accettare che tutti i nostri scambi siano controllati, esaminati e memorizzati in cambio della promessa di una pubblicità “personalizzata”! Non esiterò a prendere le iniziative opportune se uno Stato membro dell’UE non ottempera a tale obbligo” ha detto ancora la  Reding.

 

La direttiva Ue sui dati personali prevede infatti che spetti agli Stati membri assicurare “la riservatezza delle comunicazioni, vietandone l’intercettazione o la sorveglianza illegali, tranne qualora gli utenti abbiano dato il loro consenso”.

Per questo, la Commissione ha avviato un procedimento di infrazione contro il Regno Unito a causa di diversi “problemi relativi all’applicazione delle norme europee in materia di ePrivacy e tutela dei dati personali”.

 

Il procedimento si riferisce all’utilizzo sproporzionato della tecnologia di advertising comportamentale nota come Phorm da parte dei provider del Regno Unito.

 

La tecnologia – spiega la Ue – si basa sull’analisi costante della navigazione internet al fine di determinare gli interessi degli utenti e realizzare annunci pubblicitari mirati ai loro gusti e ai loro interessi.

British Telecom  ha ammesso di aver usato Phorm in via sperimentale senza informare gli utenti, molti dei quali si sono poi rivolti alle Autorità.

 

Da qui i diversi appelli della Commissione europea all’indirizzo delle autorità britanniche, per ricevere informazioni relative alle modalità di applicazione della normativa europea sulla privacy.

 

A partire da luglio 2008 la Commissione ha scritto più volte alle autorità britanniche per chiedere informazioni in merito all’uso di Phorm, giungendo alla conclusione che le norme comunitarie in materia di riservatezza delle comunicazioni nel Regno Unito pongano “dei problemi strutturali”.

La Commissione ha inoltre espresso  preoccupazione per il fatto che il Regno Unito non abbia “un’autorità nazionale di sorveglianza che si occupi di queste intercettazioni”.

 

La gran Bretagna ha ora due mesi di tempo per rispondere alle osservazioni sollevate dalla Commissione e, se il riscontro non dovesse essere soddisfacente, potrà poi decidere se formulare un parere motivato e, quindi, di adire alla Corte di Giustizia.

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