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La partita della Rete: e se fossero gli utenti i proprietari? Basterebbero 29 euro l’anno e filosofie di investimento e gestione orientate all’interesse comune

Italia


Sulla stampa – e nelle dovute sedi in Italia e in Europa – si discute di un tema molto caldo:  l’investimento in reti di nuova generazione a larghissima banda, che nella parte di accesso prevede l’utilizzo fibre ottiche in tecnologia passiva, verso gli edifici (FTTB, fiber to the building) e/o le case (FTTH, fiber to the home).

 

Sintetizzando al massimo, si tratta di una doppia “battaglia”:

a)     La continua ricerca di fondi pubblici a sostegno di investimenti privati (“…ci vuole un patto di sistema che assicuri il cash flow necessario per finanziare una rete tecnologicamente avanzata”, Franco Bernabè, AD di Telecom Italia);

b)     L’eterna discussione regolatoria su come garantire ad altri operatori l’accesso a un eventuale investimento effettuato dall’incumbent.

 

A queste due battaglie si possono opporre due risposte nettissime:

a)     Se dobbiamo far pagare allo Stato – cioè a tutti noi – la rete di accesso nuova generazione, coerenza economica (concetto in disuso…) vorrebbe che la proprietà della rete medesima fosse degli utenti che l’hanno pagata;

b)     Con l’accesso in mano agli utenti, la tediosa discussione regolatoria perderebbe ogni significato;  non solo:  si avrebbe finalmente vera concorrenza fra operatori!

 

Chiarisco.  Se la futura fibra ottica – che va da casa mia alla centrale telefonica più vicina – fosse di mia proprietà, invece che di un operatore telefonico:

a)     Deciderei io a quale operatore collegare l’altro estremo della fibra, mettendo concretamente gli operatori in concorrenza fra loro;

b)     Evaporerebbe la problematica regolatoria di come i vari operatori debbano poter accedere alla fibra di un altro;

c)     Inoltre, la fibra potrebbe essere utilizzata per veicolare anche la trasmissione televisiva “stanziale” (domestica), così da liberare le frequenze televisive per un miglior utilizzo (e i tetti delle case dalle antenne).

Tre piccioni con una fava.

 

A questo punto si aprono alcuni temi:  storico (per correttezza), architetturale, organizzativo ed economico (i problemi tecnici si risolvono…).

Ovvero:

      Da dove viene l’idea?

      Qual è il modello costituivo della nuova rete?

      Come faranno i cittadini a occuparsi da soli della fibra?

      Dove troveranno i cittadini i fondi necessari per effettuare l’investimento?

 

Strano ma vero, l’unica domanda seria è la prima…

 

Da dove viene l’idea?

 

Nel novembre 2008 (l’altro ieri…) Derek Slater (Google) e Tim Wu (Columbia Law School) pubblicano un working paper dal titolo “Homes with Tails – What if You Could Own Your Internet Connection?”, sull’onda probabilmente di una qualche iniziativa concreta già in atto.

Ma la prima idea (a mia conoscenza) è del 1996 (esattamente:  12 anni prima!).  P.B. Schechter (University of Colorado) pubblica “Customer ownership of the local loop.  A solution to the problem of interconnection”, Telecommunications Policy, Volume 20, Issue 8 , October 1996, Pages 573-584 (acquistabile tramite www.sciencedirect.com).

 

La domanda (seria) è:  nessuno che ne parli “apertamente”, in sede “politica”, dopo 12 anni…?

 

Qual è il modello costituivo della nuova rete?

 

Il mondo sta evolvendo da centralizzato a decentrato (non solo nell’informazione, anche nell’energia:  co-produzione di energia e calore in casa;  idea dello “smart garage”, da parte del Rocky Mountain Institute:  le future macchine elettriche costituiranno globalmente una tale riserva di energia, che converrà “metterle in rete”, quando non utilizzate, invece di lasciarle “isolate”).

 

Nelle telecomunicazioni, dopo 100 anni di evoluzione tecnologica, le reti non sono più uno sforzo monolitico sostenibile unicamente da colossi economici.  I protocolli Internet e web hanno aperto il vaso di pandora della interoperabilità fra reti;  la rete di nuova generazione si potrà realizzare come somma di infinite reti di piccole dimensioni, realizzate ciascuna sul mezzo trasmissivo più gradito all’operatore (rame, fibra, radio).

Fino all’accesso che ciascuno vorrà.

 

Ciononostante – senza ottenere alcuna considerazione mediatica in proposito (anzi, i media amano parlare di concorrenza nelle telecomunicazioni…) – la libertà di impresa nel settore rimane “truccata”.  A partire da decreti balzello che impongono esosi “diritti amministrativi“, al fine di innalzare la barriera di ingresso alla professione di operatore (senza peraltro che al balzello corrisponda, in contropartita, alcuna prestazione dell’ex Ministero delle Comunicazioni), per finire con le discussioni “inutili”:  ancora pubblicazioni accademiche, a 12 anni di distanza dal primo articolo su tema;  Commissioni italiane ed europee a dibattere ancora di falsi problemi, come la regulation e/o il digitale terrestre.

 

Se il decentramento partisse da dove è giusto, non dalla possibile costruzione decentrata – oggi possibile – della rete core, ma dalla più lontana periferia, assisteremmo al vero cambiamento, quello che colpisce l’ultimo vero monopolio rimasto nelle telecomunicazioni:  la rete d’accesso.

 

Come faranno i cittadini a occuparsi da soli della fibra?

 

Il vecchio modello centralizzato ama farci credere che il cittadino debba sempre rimanere sotto tutela.

Un dirigente Telecom, alla mia domanda di cosa accadrebbe se si volesse lasciare l’accesso nelle mani dell’utente, ha voluto rispondere …con un autogol.  Si è messo a parlare di onere manutentivo (700milioni di Euro l’anno, 30.000 persone impiegate), dimenticando che – dividendo l’importo dichiarato per quello che amo chiamare il “numero magico” (20 milioni di famiglie italiane, e circa 4 milioni e mezzo di imprese) – si ottiene la modica cifra di 29 Euro l’anno.

 

Il problema è organizzativo – consorziarsi a livello di condominio, quartiere o Comune, e trovare il giusto fornitore per effettuare la manutenzione – non economico.  Di società fornitrici di manutenzione ne troviamo quante ne desideriamo.  Alla peggio, le medesime che offrono servizi a Telecom…

 

Lo Stato, per parte sua, potrebbe – se volesse – assumere un ruolo fortemente positivo:  potrebbe essere azzerata l’IVA e riveduti /annullati gli oneri concessori;  tutta la PA potrebbe “sbottigliare” gli aspetti burocratici, concedere gratuitamente i necessari “rights of way” o incentivare chi li possiede a concederli.

 

Dove troveranno i cittadini i fondi necessari per effettuare l’investimento?

 

Credo che il lettore l’abbia capito:  se 29 Euro sono un paio di mesi di canone, …dieci mesi restano liberi per investire.

 

Quello che sembra essere un problema per un mega-investimento privato (da 5 a 15 miliardi di Euro, in funzione di chi fa i conti…), al punto di andare a caccia di fondi pubblici (anche per la triste abitudine dei governi italiani di venire sempre in soccorso dei maggiori potentati economici), a livello del singolo diventa un problemino minuto:

      Innanzitutto, si tratta veramente di piccola cosa (prendendo per buona la cifra, già elevata, di 10 miliardi di Euro di investimento globale – 15 miliardi è decisamente una cifra gonfiata ad arte – la solita divisione per il numero magico di 24,5 milioni dà come risultato 410 Euro);

      Soprattutto, finanziabile direttamente con gli altri dieci mesi di canone.  Si tratterebbe infatti di realizzare l’investimento, smettere di pagare il canone Telecom, continuare a sborsare la medesima cifra per qualche anno (1/6 per la manutenzione, 5/6 per ripagare l’investimento con i dovuti interessi) e, dopo qualche anno, sborsare solo la quota manutenzione.

 

Semplice come non mai…

Tutto bene, quindi?

Purtroppo no:  rimane aperto l’aspetto politico:  forti interessi – e poteri – economici, orientati diversamente, affiancati da un atteggiamento governativo storicamente “debole” nei loro confronti.

 

In proposito non vi è soluzione immediata, se non ribadire che:

      Le telecomunicazioni, insieme a tutte le altre infrastrutture “a rete” che supportano la Nazione e l’economia – strade, autostrade, ferrovie, linee aeree, acqua, gas, elettricità, immondizia, servizi di base di banche e assicurazioni – dovrebbero essere gestite con filosofie di investimento e gestione orientate all’interesse comune;

      Le scelte fondamentali del tipo di quella illustrata nota dovrebbero essere portate all’attenzione della gente, con una spiegazione semplice e chiara delle alternative e delle conseguenze.

 

Mi auguro che si possa fare qualcosa.  Come minimo aprire un dibattito pubblico, in modo che la gente non sia “schermata” dal capire cosa accade.  Più l’ipotesi sarà pubblicamente discussa, più democratiche saranno le scelte sull’implementazione della rete di nuova generazione.

Si tratta di una battaglia sensata anche sul piano “industriale” (ovvero:  se conviene fare così, ogni altra soluzione è perdente sul lungo termine).

Non cogliere questa storica, forse “unica” occasione comporterebbe una grave perdita per tutti noi.

 

Ovviamente, nessuno si muoverà nella direzione dei cittadini, se i media non cominciano a parlarne…

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