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VI Summit sull’Industria della Comunicazione: le grandi trasformazioni del mercato italiano fotografate dal Rapporto IEM

Italia


Si è tenuto a Roma lo scorso 18 dicembre il VI Summit sull’Industria della Comunicazione, promosso dalla Fondazione Rosselli e dalla Camera di Commercio di Roma. Un appuntamento attesissimo nel corso del quale c’è stata la possibilità per Istituzioni, addetti ai lavori e imprese del settore di confrontarsi sul difficile momento del mercato e dell’industria dell’audiovisivo. In occasione dell’evento, anche quest’anno, è stato presentato nella sua undicesima edizione il Rapporto IEM, L’Industria della Comunicazione in Italia. “1987-2008: le trasformazioni dell’Industria della Comunicazione in Italia nel contesto europeo“.

 

Un nuovo studio presentato dall’Istituto di Economia dei Media (IEM-Fondazione Rosselli), incentrato proprio sull’Industria della Comunicazione italiana degli ultimi venti anni con dati e riflessioni sull’evoluzione dei media nei diversi segmenti, tra opportunità e criticità. Più in generale il Summit ha permesso di fare il punto sull’andamento dei mercati della comunicazione, con particolare riferimento alla televisione, alla radio, al cinema, all’home-video, ai libri, ai quotidiani, alla musica, ad Internet, alla pubblicità e alle telecomunicazioni mobili e fisse, utilizzando indicatori di raffronto con i mercati internazionali. Due le tavole rotonde in cui i rappresentanti di imprese e Istituzioni, ma anche del mondo accademico e degli addetti ai lavori, hanno dato il loro punto di vista sul futuro dell’Industria della Comunicazione, che nelle ultime due decadi di sviluppo ha sicuramente determinato una crescita del nostro sistema economico e sociale.

 

Come ha ricordato in apertura di giornata Riccardo Viale, Presidente della Fondazione Rosselli: “… In tutti questi anni, tanti sono stati i cambiamenti avvenuti nel nostro modo di produrre ricchezza e conoscenza, proprio attraverso i nuovi mezzi di comunicazione informatici, divenuti velocemente parte integrante della società della comunicazione e del mondo della finanza. Un’industria dell’immateriale su cui si è costruito un modo di fare economia e di fare società indissolubilmente legato all’innovazione nelle telecomunicazioni, da cui poi si è sviluppato quel processo ancora in atto della  cosiddetta convergenza tecnologica“. “Un futuro– continua Viale- caratterizzato dai nuovi processi di industrializzazione e dall’innovazione come base dello sviluppo e del progresso, dal settore delle nanotecnologie a quello delle biotecnologie, ma soprattutto in relazione all’Information & Communication Techology (ICT). Un settore, questo, da quale sono nate le nuove figure professionali, nuovi linguaggi, i mondi virtuali, le borse tecnologiche, la finanza in rete, l’economia dei servizi, i nuovi modelli di business e molto altro ancora. Un mondo in continua espansione e in costante ridefinizione, a cui però la congiuntura economica del momento sembra aver posto un freno. Come riuscire a far ripartire la domanda? Come riattivare i flussi di credito delle banche e ridare ossigeno alle imprese? A questo bisogna aggiungere la minore capacità di indebitamento delle famiglie e quindi dei consumatori, con una ricaduta negativa sulla domanda. Tale scenario determina e determinerà un indebolimento del mercato e minori investimenti nelle infrastrutture, penso alle reti 4G e alla banda larga, mentre le aziende non riusciranno a rimanere competitive sul mercato“. Viale dipinge un quadro a tinte fosche, ma non fa perdere certo la speranza, ricordando comunque che in ogni momento di crisi si è sempre trovata una strada alternativa al mercato, con la nascita di nuove realtà economiche: “… Ovvio che le condizioni affinché questo possa accadere, però, sono legate necessariamente a un intervento dello Stato e a una nuova condizione del consumatore, non più oggetto di mercato, ma soggetto di diritti e di attenzioni diverse da parte del mondo delle imprese, con un’offerta di qualità costruita su una profonda riflessione di tipo nuovo, profondamente digitale“.

 

L’undicesimo Rapporto IEM, che proprio nel 1987 ha visto la sua prima edizione, è stato presentato da Flavia Barca, coordinatrice del progetto e dello IEM, realizzato ripercorrendo questi venti anni di telecomunicazioni italiane e mantenendo anche in questa nuova edizione una ripartizione tra ‘Mercati‘e ‘Approfondimenti’. Con i primi si sono riportati dati, trend e raffronti internazionali di tutti i settori che compongono l’industria della comunicazione, mentre con i secondi gli studi sul sostegno pubblico all’audiovisivo, arricchiti del ritratto (sincronico e diacronico) curato da Andrea Marzulli, sugli andamenti dell’industria della comunicazione in Italia dal 1987 ad oggi. Importantissime le analisi interpretative di Antonio Pilati, Emilio Pucci e Giuseppe Richeri, che poi sono i fondatori storici del Rapporto. Numerosi i contributi degli addetti ai lavori e degli analisti, tra cui  Carlo Cambini, Andrea Granelli, Antonio Perrucci, Peppino Ortoleva, Tommaso Valletti, Giacomo Vaciago, Giandomenico Celata ad tanti altri eminenti esperti. “Con questo studio– ha precisato Flavia Barca- abbiamo voluto dare il nostro contributo allo stato della comunicazione in Italia con la volontà di aprirci all’esterno e di confrontarci con le diverse realtà che lo compongono e che vivono la mutazione del sistema sulle proprie spalle“. “Grazie ai nostri autori– ha continuato Barca- siamo riusciti ad individuare delle chiavi di lettura da cui partire, come il pubblico consumatore, il mercato delle comunicazioni, l’ICT, la pubblicità, la crisi economica, la dimensione globale e locale e le sfide imposte dal sistema“. A partire da questi indicatori, ha spiegato Barca, il Rapporto individua quattro punti di svolta lungo questi venti anni di analisi: l’esplosione degli investimenti pubblicitari, la diffusione del computer, della telefonia mobile e lo sviluppo della Pay TV. Quattro turning point che poi sono stati il volano per la crescita dell’Industria della Comunicazione anche in Italia e che oggi vedono Internet in continua espansione anche nel lungo periodo, la forte crescita dei videogiochi e la tenuta delle telecomunicazioni mobili, del cinema e della radio.

 

Altro elemento di riflessione evidenziato da Flavia Barca è la migrazione dei contenuti verso l’industria della comunicazione, che ha determinato una serie di cambiamenti di cui i più importanti sono rintracciabili in un nuovo scenario del rapporto tra mezzi di comunicazione e pubblicità e tra questi e il pubblico. La digitalizzazione dei mezzi di comunicazione e della conoscenza stessa ha spinto il consumatore in una dimensione più complessa legata a quel processo chiamato di ‘mediamorfosi‘, in cui il consumo dei contenuti è divenuto personalizzato e diversificato, attraverso una fruizione non lineare degli stessi e non predeterminabile. In uno scenario così modificato ecco affacciarsi una nuova generazione di operatori ibridi, così chiamati perché obbligati a spostarsi tra e lungo le filiere, alla ricerca di posizionamenti più vantaggiosi. È in tale quadro che il Rapporto vede come centrale il ruolo dello Stato, in termini di politiche pubbliche a sostegno di una banda larga via, via più ‘larga’, di piani concreti per la diffusione di una cultura del digitale, di un rapporto più proficuo tra le reti e il sistema dei media e di un mercato più aperto alla concorrenza.

 

A partire da questi punti si è aperta la tavola rotonda, moderata da Alessandra Ravetta di Prima Comunicazione, che ha visto come discussant d’eccezione Pierre Musso dell’Université de Rennes 2, per il quale due sono i fattori guida del mercato corrente: la digitalizzazione e la deregolamentazione. Due fenomeni sviluppatisi negli Stati Uniti a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso e di cui oggi conosciamo bene i risultati e le proprietà economiche e sociali di cui vediamo esempi globali nelle grandi corporation come Google, Amazon, eBay e YouTube. In Italia, invece, Musso ha indicato la presenza di una situazione “anomala“, di “un duopolio congelato Rai-Mediaset che, a seguito dei processi di deregulation avviati negli anni Novanta, ha visto l’insorgere di una anomalia tutta italiana“. Conseguentemente alla digitalizzazione abbiamo avuto, invece, altri fenomeni molto importanti, come la convergenza delle reti e dei contenuti a cui si sono dovuti adeguare, con molte difficoltà, tutti gli operatori televisivi per la nascita di modelli economici alternativi a quelli tradizionali, in cui centrali sono i contenuti e i beni immateriali coperti da copyright e tutela giuridica dei diritti di proprietà. I beni in questione andavano diffusi e questo ha determinato una maggiore estensione dei canali come Internet e una rinnovata attenzione alla borsa degli abbonamenti ai nuovi servizi, con avanzate strategie di fidelizzazione del pubblico. La nascita dell’economia della conoscenza e la produzione dei beni immateriali ha dato conseguentemente nuovi input alle piattaforme web 2.0, caratterizzate “da una forte distonia iniziale tra offerta dei servizi e loro fruizione“. A conclusione del suo intervento, Musso indica nella banda larga e nella diffusione della cultura digitale i presupposti per la nascita della “Fiber nation“, un punto di arrivo che vede soprattutto nell’Europa meridionale, con Spagna, Italia e Francia del Sud, ancora quell’anello debole della catena su cui intervenire nell’immediato. Cosa fare per velocizzare i processi di innovazione ancora troppo lenti? Per Musso non c’è altra strada che l’intervento dello Stato e una maggiore concertazione tra Istituzioni e mondo delle imprese, attraverso piani di lungo termine e di ampio respiro.

 

Lo Studio della Fondazione è importante come in ogni sua edizione perché ci permette di delineare un quadro completo ed esaustivo del mondo che andiamo ad analizzare, in questo caso l’Industria della Comunicazione“, così ha aperto il suo intervento Giampiero Gamaleri dell’Università di Roma Tre. In tale quadro il professore ci indica come preminenti nuove strategie d’impresa e un adeguato intervento dello Stato, quest’ultimo indirizzato a ripensare il paniere del comparto delle telecomunicazioni. Inoltre, ha detto Gamaleri: “C’è bisogno di ridefinire il ruolo del consumatore, le sue abitudini, i modelli di utilizzo dei mezzi di comunicazione, raccogliendo tutte quelle informazioni su cui iniziare a pianificare servizi e  prodotti più inerenti alle nuove esigenze del mercato“. Un piano di lavoro molto simile ad un laboratorio, in cui raccogliere i dati e procedere alla ricerca di quegli strumenti empirici più idonei ad analizzare il nuovo sistema di riferimento. Qualcosa di simile a ciò che è successo a cavallo del primo novembre in Sardegna, la seconda regione d’Europa, dopo la Finlandia, ad essere completamente digitalizzata. Antonio Sassano dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma è stato uno dei facilitatori dello Switch-off sardo, come esperto delle frequenze a disposizione dell’Agcom durante le diverse fasi dell’operazione. “… Dai primi dati raccolti e analizzati ciò che emerge– ha detto Sassano- è che la capacità trasmissiva deve essere aumentata, in termini di banda larga, di una rete più mobile e wireless, come la multicanalità, l’High Definition (HD) e la Radio digitale“. Sassano indica nella rete Long Term Evolution (LTE) o 4G un ulteriore piattaforma di sviluppo sia per la televisione, che in questo modo vede aumentare la disponibilità di banda, sia per la telefonia mobile, altrettanto importante nel completamento del processo di digitalizzazione. Sulla convergenza ha insistito nel suo intervento Sebastiano Sortino dell’Agcom, un processo che: “… Ha letteralmente frantumato i confini tra le piattaforme, i mezzi di comunicazione e i contenuti stessi“. Sortino ha inoltre evidenziato l’importanza dell’intervento regolatorio dello Stato e di nuovi piani di investimento nelle infrastrutture nel Paese. “…L’unico modo per rendere operativo il concetto base del web 2.0 – vedere tutto, in ogni modo e in ogni momento- andando a modificare definitivamente i vecchi modelli di business, a smaterializzare il concetto di contenuto e ad eliminare ogni intermediazione“. In rappresentanza di uno dei fornitori di rete più importanti a livello globale e qui anche nella veste di sostenitore del VI Summit sull’Industria della Comunicazione, è intervenuto Fabrizio Rauso di Alcatel-Lucent, un’azienda che spende il 15% del suo fatturato proprio investendo nel web 2.0. Una strategia, ha detto Rauso, tesa : “… A seguire quelle che sono le tendenze del mercato e cioè ambienti complessi e sempre più veloci, in cui abilitare nuovi servizi e canali profittabili o monetizzabili, quindi a valore aggiunto come ad esempio l’ePayment“. Di mercato dei contenuti ha continuato a parlare anche Carlo Degli Esposti di Palomar Endemol, per il quale in Italia ci troviamo di fronte a un mercato immaturo, dai contenuti molto meno sviluppati rispetto al resto d’Europa e questo soprattutto per il mancato sviluppo di progetti di sperimentazione. Proprio su questa idea di progetti ha offerto il suo punto di vista Francesco Gesualdi della Regione Lazio: “… Serve un rinnovato patto di sviluppo tra Istituzioni e industria, l’unico modo per affrontare la crisi alle porte cercando di ridare fiducia ai mercati, aumentando la competitività delle imprese a livello internazionale e puntando ad asset che da sempre caratterizzano il made in Italy, come la creatività e la fantasia“. “Il Roma Fiction Fest– ha concluso Gesualdi- è un esempio di tale nuova alleanza tra tessuto economico del territorio e Stato, fatta di concretezza e lungimiranza“. Molto meno ottimista è stato l’intervento di Giuseppe Richeri dell’Università della Svizzera italiana, che vede le Telecomunicazioni e la televisione come due mercati che hanno raggiunto il massimo livello di sviluppo possibile: “… Diciamo che è finito un ciclo e che per tentare u’ ulteriore crescita nei rispettivi segmenti, televisione e telefonia hanno bisogno di tanta banda larga e di infrastrutture, quindi dei due principali volani per l’accesso ai mercati globali. Canali finalizzati a far circolare servizi e contenuti, penso al settore dell’e-Gov, della sanità on-line, della formazione e tanti altri già molto sviluppati in molti Paesi“. Antonio Pilati dell’Agcm si è poi soffermato su tali cambiamenti, rilevando come: “… La capacità limitata di attrarre risorse e capitali dall’estero sia dovuta principalmente ad una condizione fiscale molto penalizzante il settore delle telecomunicazioni“. “Migliorando tali condizioni– ha affermato Pilati- si otterranno in breve tempo degli ottimi risultati in termini di finanziamenti, permettendo così all’industria delle Telcos di allargarsi e quindi di aumentare gli strumenti per operare sui mercati internazionali“.

 

Nella seconda tavola rotonda in programma, sempre coordinata da Alessandra Ravetta, si è avuta l’opinione dei produttori di contenuti, quindi delle grandi aziende nazionali, internazionali e dei produttori indipendenti. Per Pietro Guindani di Vodafone Italia ciò che manca è un mercato europeo realmente globale, con una forte competitività ed economie di scala, non solo a livello di singole nazioni. “… Altrimenti viene a mancare– ha affermato Guindani- proprio quell’economia di scopo che determina le grandi realtà globali che purtroppo in Italia latitano. Realtà in cui un’azienda raggiunge delle adeguate dimensioni di mercato e stringe rapporti con player fornitori di contenuti, reti, terminali e infrastrutture. Solo in questo modo le aziende crescono in qualità ed efficienza, aumentando le proprie capacità di negoziazione“. Infrastrutture come criticità su cui intervenire al più presto anche per Romano Righetti di Wind, che ha suggerito però: “… Di non soffermarsi troppo sul concetto di Fiber Nation, perché la fibra è costosa se non c’è una domanda adeguata e soprattutto non è l’unica soluzione. L’Ultra Banda Larga al momento non è una priorità, né per le aziende, né per i consumatori, che davvero non ce la chiedono. Serve piuttosto un intervento forte del regolatore, dell’Agcom, con il quale insieme fissare una nuova strada per il mercato in difficoltà“. Di competitività globale dei mercati, sia a livello europeo che di singole nazioni, anche Oscar Cicchetti di Telecom Italia vede nell’intervento dello Stato regolatore uno strumento utile per incentivare l’utilizzo delle strutture preesistenti, per infondere maggiore sicurezza e certezza negli investimenti e per pianificare quelli più necessari al Paese: “Solo così le aziende di telecomunicazione possono uscire da una situazione di crisi che rischia di divenire strutturale e sperare di ritornare a crescere nel breve periodo“.

 

Molto più cauta, sull’intervento istituzionale, è stata Gina Nieri di Mediaset, per la quale: “… Lo Stato deve intervenire solo nel momento della pianificazione relativa a tutti quegli atti regolatori in tema di infrastrutture e leggi inderogabili, per delineare un quadro normativo ed economico chiaro e di riferimento per tutti“. Inoltre, ha affermato Nieri, ciò di cui bisogna preoccuparsi oggi è la scarsezza di risorse e di contenuti da trasmettere: “… I nuovi mezzi di comunicazione e Internet non hanno assolutamente apportato niente di nuovo in tale settore, andando anzi a sfruttare ulteriormente i contenuti già esistenti e senza remunerare adeguatamene i legittimi proprietari delle opere e dei prodotti in rete“. Secondo Claudio Petruccioli della Rai, il futuro delle comunicazioni è sempre più caratterizzato da trasmissioni Unicast, Multicast e Broadcast. tre modalità diverse di fare comunicazione che presto si troveranno a convivere assieme, cioè a convergere: “… E cresceranno le opportunità e le risorse, senza bisogno di dare per spacciata la televisione e i grandi broadcaster. Certo, il digitale terrestre è per noi molto costoso, soprattutto se considerato sotto una certa soglia di audience e in fase di copertura delle aree più difficili da un punto di vista geografico. Nonostante questo, pensiamo che il DTT sia importante e che sia una risorsa da valorizzare, ecco perché abbiamo portato a 8 i canali disponibili su digitale terrestre. Una maggiore interazione tra mercato e Istituzioni per ammortizzare tali costi sarebbe un ulteriore passo in avanti“. La risposta a Petruccioli arriva immediata dall’on. Paolo Romani, Sottosegretario alle Comunicazioni, che nel suo intervento ha annunciato l’aumento del canone pubblico della Rai di 1,5 euro, con un recupero per l’azienda di 24 milioni di euro. “… Entro pochi anni gran parte del mondo sarà digitalizzato– ha commentato Romani- la politica deve entrare a far parte di questo processo, contribuendo in ogni modo alla sua realizzazione“. Ci vorranno, ha affermato il sottosegretario, cinque anni circa e proprio il12 gennaio prossimo Francesco Caio, il consulente chiamato da Paolo Romani come esperto di reti di nuova generazione, presenterà un primo rapporto sullo stato della banda larga in Italia. Un quadro generale da cui il Governo trarrà spunti per la sua azione: “… Ci sono un miliardo di euro a disposizione- ha affermato Romani- e  il Governo vuole fare la sua parte, inaugurando un nuovo modo di fare sistema assieme alle imprese“.

 

A proposito di imprese e di audiovisivo, Fabiano Fabiani dell’APT, ha colto l’occasione invece per criticare l’atteggiamento dei broadcaster nostrani rispetto ai produttori indipendenti, penalizzati a suo avviso da ratifiche parziali e ritardi nell’attuazione delle direttive comunitarie di settore: “… I produttori indipendenti soffrono del duopolio italiano, della diminuita capacità di attrarre risorse pubblicitarie e della limitata azione fin qui svolta dallo Stato“. “Il fatto che l’audience si vada frammentando– ha concluso Fabiani- è per noi motivo di speranza legata alle moltiplicazioni delle opportunità sulle nuove piattaforme“. Che in Italia ci sia bisogno di una nuova fase di concertazione tra operatori, produttori e broadcaster, lo ha affermato nel suo intervento in conclusione di tavola rotonda anche l’on. Giovanna Melandri del PD. “… Riunirsi attorno ad un tavolo e provare a trovare insieme una nuova via italiana al mercato globale– ha detto la Melandri- significa permettere al legislatore di fissare regole nuove e diritti per tutti. Come ci insegnano i Paesi anglosassoni, solamente aumentando la base dei diritti si diminuiscono i rischi“. “In Italia– ha continuato la Melandri- c’è bisogno di intervenire con urgenza sulle reti pubbliche, estendendo la banda larga a tutto il Paese, perché il rischio serio che stiamo per correre è il dilagare del digital divide. Un problema davvero grande che dobbiamo risolvere al più presto con nuove politiche a sostegno di piani di formazione e alfabetizzazione digitale, tesi a stimolare una nuova domanda sul mercato e di qualità. Se non si farà niente in tal senso, se non saremo in grado di far fronte alla crisi economica imminente, allora verremo tagliati fuori dal mercato entro pochissimi anni e con conseguenze imprevedibili“.

 

In conclusione di giornata, sempre Flavia Barca della Fondazione Rosselli ha presentato nel dettaglio i dati dal Rapporto IEM: “L’andamento dei mercati in Italia: quanto si investe nel prodotto tv, le prospettive della pubblicità sui nuovi media“. Lavoro quest’anno inserito in un cd-rom contenente l’intera mole delle informazioni prodotte dall’istituto di Economia dei Media nella sua ventennale attività e relativo ai primi dieci rapporti della sua storia. Trattasi di saggi, studi e analisi che, sotto forma di banche dati, potranno facilmente essere consultati dall’utente. Nell’undicesimo Rapporto IEM, come ha evidenziato Barca, ciò che è emerso immediatamente è un valore di macromercato dell’Industria della Comunicazione pari a 100 miliardi, che nel 1987 era calcolabile in 28,6 miliardi di euro. Cifra che rappresenta oggi il 6,6% del prodotto interno lordo italiano(PIL). A fare la parte del leone sono stati il comparto delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) con 64,4 miliardi di euro (dati del 2006), i mezzi a contenuto editoriale con 24 miliardi di euro e le iniziative di comunicazione di natura commerciale con 11 miliardi di euro. Dal quadro generale si vede bene come le telecomunicazioni su rete fissa stiano sempre più perdendo quota, a vantaggio di quelle mobili. La televisione, anche se di poco, risulta ancora in crescita, stabili rimangono i libri e i quotidiani, mentre in forte sviluppo si presenta il comparto dei videogiochi e dei Mobile content. Per la ripartizione della spesa pubblicitaria si evidenzia un aumento in Internet e nei videogame, mentre per la free press c’è un vero e proprio boom con un + 300%. Tra i veicoli pubblicitari in salita c’è la televisione satellitare con 250 milioni di euro di spesa, mantenendo anche nei confronti dell’Europa un buon livello di crescita. Diversamente, su Internet si nota che l’investimento pubblicitario italiano è scarso, soprattutto se rapportato con quello continentale: 31,6 euro per utente in Italia, contro i quasi 80 euro per utente in Europa. Situazione simile si evidenzia per l’advertising sui social network dove, in conclusione, nonostante una forte penetrazione presso la popolazione della rete, la monetarizzazione dei contatti non è ancora ritenuta ottimale per i grandi investimenti on-line, lasciando intravedere la possibilità di un loro ridimensionamento.

Per ulteriori approfondimenti consultare le voci qui di seguito:

L’industria della comunicazione in Italia nel 2007
Di Flavia Barca e Andrea Marzulli

 

L’industria della comunicazione in Italia: 1987-2008

Di Flavia Barca e Andrea Marzulli

 

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