Relazione Agcom: Italia leader nelle tecnologie e i servizi mobili, ma senza NGN ‘l’involuzione è dietro l’angolo’

di Alessandra Talarico |

Italia


Corrado Calabrò

“Sono le infrastrutture il primo problema dell’Italia d’oggi; nel campo delle comunicazioni elettroniche, come in quello dell’energia, dello smaltimento dei rifiuti, dell’alta velocità ferroviaria, delle metropolitane e altri. Dobbiamo deciderci a decidere: o stiamo al passo coi tempi o l’involuzione ci aspetta dietro l’angolo”.

È questa la conclusione finale della relazione annuale presentata dal presidente Agcom Corrado Calabrò al Parlamento.

 

Nel nostro Paese, ha sottolineato Calabrò, il settore delle telecomunicazioni ha conosciuto uno sviluppo “a getto continuo, fino a tempi recentissimi”: l’Italia è leader mondiale per diffusione dei cellulari, – “uno e mezzo per abitante”, neonati compresi – e all’avanguardia nell’innovazione tecnologica e nella diffusione di offerte innovative quali il quad play e la convergenza fisso-mobile.

E ancora, siamo primi in Europa e secondi nel mondo in quanto a diffusione dei servizi Umts e leader mondiali nel mercato dei contenuti e servizi per la telefonia mobile, “con un fatturato di 1,2 miliardi di euro e un tasso di crescita del 15%, rimasto quasi invariato rispetto al 2006”.

 

Il mercato italiano – vista la presenza di investitori stranieri e multinazionali quali Vodafone, British Telecom, Telefonica, Swisscom, Wind, Hutchinson Wampoa- è “aperto e concorrenziale” ed è il 5° al mondo “per fatturato pro-capite e il primo nel mondo per quanto riguarda i servizi voce di telefonia mobile”, sottolinea ancora Calabrò,

 

All’evoluzione tecnologica e dei servizi si è accompagnata anche una contrazione dei prezzi del 28,3%, in netta controtendenza all’incremento del costo della vita e all’aumento dei prezzi di tutti gli altri servizi di pubblica utilità.

 

“L’ISTAT – sottolinea Calabrò – pone in rilievo che il settore delle telecomunicazioni è stato praticamente l’unico che abbia contrastato l’inflazione”.

 

La crescente diffusione di terminali sempre più sofisticati – vedi iPhone – e di servizi mobili di ultimissima generazione ha inoltre trainato il notevole aumento del traffico dati su reti mobili, che si stima abbia raggiunto e superato i 7.700 Terabyte nel 2007, con una crescita di poco inferiore al 300% rispetto al 2006.

Nel primo trimestre di quest’anno si è inoltre registrata una decisa crescita del traffico a banda larga mobile, in aumento di oltre il 120% rispetto al primo trimestre del 2007, anche se ancora non decollano le cosiddette offerte flat o semi-flat.

A questo proposito l’Autorità ritiene sia opportuno sopprimere la tassa di concessione governativa sugli abbonamenti, come del resto era già stato segnalato nella passata legislatura.

Ma a fronte alla vivacità del mercato delle tecnologie e i servizi mobili, non si può non sottolineare il perdurare nel settore del fisso di una situazione di quasi monopolio, con la permanenza di Telecom Italia a una quota di mercato al di sopra del 60%, “peraltro superiore alla media dei principali incumbent europei”.

Anche se negli ultimi 3 anni la quota di mercato di Telecom Italia nel fisso è scesa di 10 punti (dal 94 all’84%), e quella dei principali concorrenti – Wind e Fastweb – negli accessi broadband nazionali ha superato ciascuna il 10%, essa rimane comunque più elevata che altrove.

 

“L’assenza di infrastrutture broadband alternative  nonché l’integrazione verticale dell’incumbent – sottolinea Calabrò –  non possono che ripercuotersi sull’assetto concorrenziale del mercato dei servizi a larga banda”, producendo effetti negativi “non solo nei mercati dei servizi tradizionali come la voce, ma anche nella banda larga, dove Telecom Italia deteneva ancora, a fine 2007, una quota del 64%, superiore a quella degli altri incumbent europei”.

 

L’Italia, sottolinea ancora la relazione Agcom, “è il Paese d’Europa dove è più basso il prezzo per il servizio di unbundling e il secondo Paese per diffusione di tale servizio”.

A marzo gli accessi diretti in unbundling (e shared access) sono arrivati a quota 3,7 milioni, con un ritmo di crescita del 42%.

 

Calabrò nota inoltre che gli investimenti nel settore della banda larga hanno fatto sì che la popolazione che è oggi in una situazione di “digital divide infrastrutturale”, ossia non in grado di accedere, nemmeno potenzialmente, a servizi broadband di “prima generazione” è pari a 3,4 milioni di individui, con una riduzione di circa tre milioni rispetto al 2006.

 

A fine 2007 gli abbonamenti broadband hanno superato la soglia dei 10 milioni “con un tasso di crescita del 20% nell’ultimo anno”, ai quali si aggiungono gli oltre 400 mila nuovi abbonati registrati nel primo trimestre di quest’anno.

La penetrazione della banda larga è tuttavia ferma al 17,8%, contro una media Ue del 23,3% e superiore al 30% nei Paesi asiatici (Giappone, Corea, Singapore e Taiwan).

 

L’Italia è ultima nel G7 in termini di diffusione della tecnologia, ma anche di qualità del servizio: le connessioni, insomma, sono più lente che altrove, con  il 27% degli utenti che dichiara di avere connessioni con capacità di banda superiore ai 4 Mbps, contro il 41% degli Stati Uniti, il 46% di Germania e Regno Unito, il 54% della Francia e l’86% del Giappone.

 

“Tale scenario – sottolinea Calabrò – pone con forza la questione della creazione di nuove reti trasmissive a larga banda”, le quali non solo sono decisive per il settore delle comunicazioni elettroniche (telecomunicazioni e audiovisivo, nell’epoca della convergenza) ma hanno un effetto strategico e traente per l’intero sistema economico nazionale.

 

Nel resto d’Europa si punta a una capacità di banda di almeno 50 Mbps, rispetto agli attuali 3-8 Mbps, mentre “Giappone, Corea, Cina stanno attuando programmi per una velocità trasmissiva di 100 Mbit/s; e già si parla di Gbit/s”.

Secondo i calcoli del governo giapponese, la cablatura in fibra ottica dell’intero paese, a fronte di un investimento di 50 miliardi di dollari, produrrà “un incremento netto del prodotto interno lordo pari a circa 1.500 miliardi di dollari”.

 

In Italia, per la realizzazione di una rete in fibra ottica occorrono dagli 8 ai 15 miliardi, ma a causa della bassa redditività a breve termine dell’infrastruttura, “le tradizionali regolamentazioni proattive possono apparire non sufficientemente incentivanti”, mentre l’intervento diretto dello Stato, nel quadro delle attuali regole comunitarie, è consentito solo nelle cosiddette aree bianche (a rada utenza) e, a certe condizioni, in quelle “grigie” (con carenze di utenza); non invece in quelle nere (competitive e ad alta densità d’utenza).

 

Col recente decreto-legge n. 112 del 25 giugno 2008 il Governo ha imboccato secondo l’Autorità la strada giusta, ammettendo una semplice DIA (denuncia d’inizio attività) per l’effettuazione dei lavori di scavo, consentendo la condivisione dei cavidotti e rendendo più agevole il collegamento degli edifici con fibra ottica.

Ma ancora molto bisogna fare per stimolare “la sinergia con le Regioni e le Amministrazioni locali, specialmente con i Comuni”: prevedendo, ad esempio, “il collocamento della fibra ottica nelle nuove urbanizzazioni, la posa della fibra nella pianificazione della manutenzione ordinaria delle strade, all’atto dello scavo di un tunnel per la metropolitana o della posa di un cavo elettrico o della realizzazione di una condotta idrica o di una fognatura”, si potrebbe ottenere un’enorme riduzione dei costi e dei tempi.

 

L’Italia, insomma, deve scontare un ritardo ventennale, ma ha adesso l’occasione di ripartire, portando la fibra direttamente nelle case dei cittadini. 

 

“Le infrastrutture a banda ultra larga rappresentano l’avvenire dei sistemi economici avanzati, sono le autostrade della comunicazione del ventunesimo secolo”.

“Il dibattito – ha concluso Calabrò – non è quindi sul se, ma sul come e sul quando realizzarle”.

 

Presentazione del Presidente dell’Autorità

Relazione annuale sull’attività svolta e sui programmi di lavoro