Frequenze Tv: dalla Ue 20 quesiti per l’Italia. Chiarimenti su Rete 4 e digitale terrestre

di Raffaella Natale |

Italia


Neelie Kroes

Venti quesiti per l’Italia. Sono quelli che i servizi della Concorrenza della Commissione europea hanno inviato al governo italiano in questi giorni e che riguardano il contenzioso tra Bruxelles e Roma sulla Legge Gasparri.

La Ue vuole vederci chiaro sull’attuale distribuzione delle frequenze nel settore delle emittenti televisive in Italia, capire quale sarà la situazione dopo il passaggio al digitale terrestre e se sia sufficiente l’obbligo, per Rai e Mediaset, di lasciare libero il 40% della capacità trasmissiva ad altri operatori, per evitare che il duopolio finora esistente nell’analogico si riproduca anche nel digitale terrestre.

 

La Commissione vuole anche sapere come e quando l’Italia “porrà fine” alla situazione anomala di una rete Tv (Rete4) che, sebbene priva della concessione, è stata autorizzata a continuare a trasmettere.

Con un chiaro riferimento a Rete4, l’Antitrust Ue ha chiesto “…informazioni sulle emittenti nazionali ‘legittimamente operanti ai sensi della normativa vigente’, e che non si sono classificate in posizione utile nella graduatoria, sancita con il DM 28 luglio 1999, da consentire l’attribuzione di una concessione per la radiodiffusione televisiva su frequenze terrestri in ambito nazionale. Oltre ad identificare tali emittenti – si legge ancora nel quesito n.5 -, si prega di fornire chiarimenti sul titolo normativo che consente loro di continuare le trasmissioni di radiodiffusione televisiva analogica”.

 

Al punto 6, Bruxelles ha sottolineato che “…Qualora si dovesse ritenere che sia ancora in vigore l’autorizzazione a proseguire le trasmissioni in tecnica analogica per gli operatori che non sono titolari di una concessione analogica (Rete4 e Tele+Nero, oggi D-Free), si prega di indicare quali eventuali misure le autorità italiane intendono adottare per porre fine a tale autorizzazione”.

 

I quesiti inviati a Roma fanno seguito a un incontro avvenuto il 18 giugno a Bruxelles fra emissari del governo italiano e funzionari dei servizi della Concorrenza dell’Esecutivo Ue, e riguardano in particolare gli effetti della legge approvata il 6 giugno scorso sull’attuale regolamentazione del sistema radiotelevisivo nazionale. Parliamo dell’emendamento “Salva Rete4” che ha sollevato diverse polemiche nell’opposizione.

La Commissione ha, infatti, chiesto un’interpretazione dell’emendamento sul sistema televisivo approvato in sede di conversione del decreto per l’attuazione degli obblighi comunitari e l’esecuzione delle sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee.

 

Non si tratta, tuttavia, di una nuova procedura d’infrazione, ma della continuazione di quella già aperta dalla Commissione il 25 luglio del 2006 nei confronti della Legge Gasparri, accusata di introdurre “…restrizioni ingiustificate alla prestazione di servizi di radio telediffusione” e di attribuire “vantaggi agli operatori analogici esistenti”. Di fronte all’insoddisfacente risposta spiegazioni italiana, il 18 luglio 2007 la Ue aveva emesso un parere motivato, secondo stadio della procedura d’infrazione.

Successivamente la Ue è rimasta in attesa delle modifiche al sistema radiotelevisivo che avrebbe dovuto apportare la Legge Gentiloni e, successivamente, dopo le elezioni, per dare il tempo al nuovo governo e al nuovo Parlamento di occuparsi della vicenda. Ora, prima di giungere al terzo stadio, ovvero il deferimento in Corte di Giustizia, il commissario europeo alla Concorrenza, Neelie Kroes, e i suoi servizi vogliono capire la portata delle modifiche introdotte alla Legge Gasparri dalla nuova maggioranza.

 

Bruxelles sospetta che il passaggio al digitale possa mantenere anche per il futuro l’attuale duopolio Rai-Mediaset, ostacolando il pluralismo e la liberalizzazione delle frequenze?

 

A questo va ad aggiungersi la sentenza della Corte di Giustizia Ue sul caso Europa 7, nella quale si sostenevano le ragioni dell’emittente e si condannava il regime italiano di assegnazione delle frequenze televisive perché, si leggeva nella sentenza, “Le leggi succedutesi, che hanno perpetuato un regime transitorio, hanno avuto l’effetto di non liberare le frequenze destinate a essere assegnate ai titolari di concessioni analogiche e di impedire ad altri operatori di partecipare alla sperimentazione della televisione digitale”.

“…L’applicazione in successione dei regimi transitori (…) ha avuto l’effetto di impedire l’accesso al mercato degli operatori privi di radiofrequenze (…) Tali regimi hanno avuto l’effetto di cristallizzare le strutture del mercato nazionale e di proteggere la posizione degli operatori nazionali già attivi su detto mercato”.

 

Nel quesito 18, la Commissione si riferisce esplicitamente alla necessità di dare esecuzione al verdetto dei giudici comunitari. L’Esecutivo Ue chiede “…come intendono le autorità italiane ottemperare alla sentenza della Corte di Giustizia del 31 gennaio 2008 (causa C-380/05)”, ovvero evitare l’adozione di norme che perpetuino l’attuale situazione, in cui “…un operatore titolare di una concessione si trovi nell’impossibilità di trasmettere in mancanza di frequenze di trasmissione assegnate sulla base di criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati”.

 

A maggio si è espresso il Consiglio di Stato che ha delegato al governo il compito di mettere ordine sul caso, nel rispetto della sentenza della Corte di Giustizia Ue.

 

I giudici italiani hanno reputato “inammissibile” la richiesta di Europa 7 di condannare direttamente il ministero dello Sviluppo economico – che ha assorbito anche le competenze del dicastero delle Comunicazioni – a un “facere” specifico, cioè all’assegnazione della rete o delle frequenze.

La “strada corretta” da seguire, hanno spiegato, è la richiesta al ministero di “porre in essere ogni adempimento necessario all’attribuzione di frequenze e di reagire contro l’eventuale inerzia o diniego espresso”.

 

A questo punto il ministero, “unitamente all’Autorità“, dovrà “rideterminarsi sull’istanza di Europa 7″ , “con piena applicazione della sentenza della Corte di Giustizia”.

Il ministero dovrà chiarire, tra l’altro, come ha risposto all’attuale sentenza del Consiglio di Stato: quali frequenze si sono rese disponibili dal 2000 a oggi e quali modalità di assegnazione sono state adottate; qual è la situazione della concessione di Europa 7, che secondo l’amministrazione è scaduta nel 2005 (aspetto sul quale pende ancora un contenzioso di primo grado). Anche l’Autorità dovrà produrre una relazione su tali questioni, precisando i motivi per cui non ha adottato il piano frequenze, come prevedeva invece la concessione rilasciata a Europa 7. Infine, la stessa Europa 7 dovrà documentare l’attività svolta dal 1999 con i relativi bilanci, spiegando tra l’altro perché non ha partecipato alla gara per l’assegnazione di frequenze bandita dall’ex ministro Paolo Gentiloni nel 2007.

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