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Green IT: l’ecoguida di Greenpeace dà i voti (poco lusinghieri) alle aziende hi-tech

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Greenpeace ha presentato l’ottava edizione dell’ecoguida ai prodotti elettronici, sottolineando ancora una volta l’emergenza ambientale legata allo smaltimento dei rifiuti elettronici e all’impiego di sostanze chimiche nocive nella produzione di prodotti tecnologici come personal computer e cellulari.

 

L’introduzione di nuovi criteri di valutazione quali l’impatto di questi dispositivi sui cambiamenti climatici, avverte Greenpeace, ha fatto perdere punti a tutte le 18 aziende prese in esame: solo Sony Ericsson e Sony hanno di poco superato la metà del punteggio massimo (10).

 

Le aziende che hanno ottenuto un punteggio migliore in termini di efficienza energetica dei loro prodotti – in base agli standard Energy Star, fissati dal Dipartimento Energia e dall’Agenzia di Protezione dell’Ambiente degli Stati Uniti – sono Sony Ericsson e Apple.

Tutti i modelli prodotti dalle due società, secondo le valutazioni di Greenpeace, “rispettano, e talora addirittura superano, i requisiti previsti dall’Energy Star”.

 

La joint-venture nippo-svedese, in particolare, si è aggiudicata il primo posto grazie all’eliminazione del PVC da tutti i nuovi modelli. Quelli messi in vendita da gennaio sono inoltre privi di antimonio, berillio e ftalati. Apple invece si piazza in undicesima posizione per il basso punteggio ottenuto in fatto di criteri energetici.

 

In ultima posizione si colloca la giapponese Nintendo , con un punteggio pari a 0,8 su un massimo di 10. “L’azienda non ottiene punti sui criteri relativi alla gestione dei rifiuti, mentre ne acquista sul piano chimico, avendo bandito gli ftalati e monitorando l’uso di antimonio e berillio”, ha spiegato Greenpeace.

 

In base ai dettami del protocollo di Kyoto, le aziende dovrebbero garantire il proprio impegno nella riduzione globale delle emissioni di gas serra durante tutto il processo produttivo e promuovere l’efficienza energetica dei prodotti.

 

Le aziende che si occupano di ICT sono in un certo senso vittime e carnefici dei cambiamenti climatici: come molte altre infrastrutture, le reti tlc soffrono gli effetti del surriscaldamento globale e dell’aumentata frequenza delle catastrofi naturali. Come molti settori industriali – anche se in misura ridotta rispetto ad altri – quello delle telecomunicazioni utilizza energia per alimentare le reti, per raffreddare e riscaldare gli edifici, proteggere le infrastrutture e per i trasporti.

 

Attualmente, il settore ICT rappresenta il 2% delle emissioni mondiali di CO2 (“le stesse prodotte dall’aviazione”, spiega Greenpeace) ma, se non si intervenisse tempestivamente su questo fronte il consumo energetico della Ue potrebbe aumentare anche del 25% entro il 2012, con il conseguente aumento delle emissioni nonostante gli obiettivi fissati per le energie rinnovabili.

 

Anche la Commissione europea ha difatti deciso di puntare sui prodotti e i servizi ICT sottolineando l’importanza di produrre tecnologie eco-compatibili e il ruolo – importante – di queste ultime nel miglioramento dell’impatto umano sull’ambiente, con particolare riferimento all’emissione di CO2.

 

Per Greenpeace, dunque, è essenziale che “una delle industrie più innovative e in crescita esponenziale”, si assuma la responsabilità di “combattere il cambiamento climatico attraverso la riduzione delle proprie emissioni di CO2 sia dirette che indirette” e diventi, anzi, leader in questa importantissima battaglia.

 

Le aziende ICT sono già abbastanza attente alle tematiche ambientali, ma sicuramente potrebbero fare molto di più per limitare l’impatto ambientale sia dei processi produttivi che dei prodotti stessi.

Se infatti, spiega Vittoria Polidori, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace, i giganti dell’elettronica curano molto determinati aspetti delle loro performance ambientali, ne trascurano altri anche molto importanti.

 

“Philips, per esempio, si posiziona bene sui criteri relativi a energia e chimica, mentre ottiene un punteggio pari a zero per quanto riguarda la gestione dei propri rifiuti, non avendo un programma globale di recupero dei prodotti a fine vita”.

La società, insomma, lascia il lavoro a metà, rifiutandosi di gestire la parte finale del ciclo di vita dei propri prodotti, la più delicata poiché molte sostanze chimiche contenute nei prodotti hi-tech ormai d’uso quotidiano sono comuni inquinanti ambientali e il loro impatto viene registrato anche in piccole concentrazioni (alcuni sono noti come perturbatori del sistema ormonale).

Il corretto smaltimento dei prodotti elettronici di largo consumo è quindi un argomento di estrema importanza e va affrontato con urgenza vista la capacità di queste sostanze tossiche di viaggiare a notevole distanza e permanere nell’ambiente.

 

“Quasi ognuno di noi – ha spiegato Greenpeace – ha nel proprio corpo dozzine di queste sostanze e gli effetti i questo cocktail chimico sulla nostra salute sono in gran parte sconosciuti”.

 

Secondo l’Etno e il WWF, un uso consapevole delle tecnologie ICT potrebbe ridurre le emissioni di CO2 di almeno 50 milioni di tonnellate all’anno entro il 2010.

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