A ciascuno la sua fibra ovvero come gestire le tlc con filosofie di investimento e gestione orientate all’interesse comune

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Italia


Fibra ottica

Riceviamo e pubblichiamo una lettera che Alfredo Bregni ha inviato al Consiglio Superiore delle Comunicazioni.

Si tratta, spiega Bregni, “di una vera e propria ‘crociata’, in favore del consumatore e contro alcuni poteri forti:  se li lasciamo fare, dopo aver privatizzato le infrastrutture di telecomunicazione, autostradali, ecc., fra poco dovremo pagare l’aria (l’acqua la paghiamo già, come l’immondizia, che nel mondo è una risorsa e non un costo)”.

 

 

Gentili Signore ed Egregi Signori,

obiettivo di questa nota è proporVi un ripensamento della futura organizzazione delle telecomunicazioni italiane, perché possa risultare la migliore sul piano economico e sociale.  Si fa specifico riferimento alla possibilità di costruire reti di nuova generazione (NGN):

      Nell’accesso, con reti ottiche passive verso il building / la casa (EPON, FTTB / FTTH);

      Nell’edge e core, con crescita esponenziale di banda e progressive transizioni tecnologiche da elettronica ad ottica.

L’Italia, ancora indietro in questo campo, si trova di fronte all’opportunità – probabilmente irripetibile – di allocare il monopolio naturale della rete d’accesso nell’unico punto dove non rischia di generare incertezze, problemi o danni:  le mani dell’utente.

 

“A ciascuno la sua fibra”, in proprietà e gestione.

Una diversa soluzione, economicamente e socialmente “sbagliata”, rischia di rimanere in campo per 25-50 anni, ripetendo errori già compiuti nel recente passato.  Costruire la rete dal centro a partire dagli operatori (come si tende a fare) trascina infatti con sé molte domande irrisolte – dalla tematica pubblico-privato fino agli aspetti regolatori – per le quali si corre il rischio di adottare “ricette” riprese da altri settori, di dubbia validità per le telecomunicazioni.  Ne conosciamo i risultati:

      Travaso di risorse dal pubblico al privato;

      Vantaggio dell’incumbent mal gestibile / mal gestito;

      Concorrenza molto imperfetta (giocata soprattutto sui media e da call-center, meno sul servizio-prezzo);

      Prezzi comunque troppo elevati, con eccessivo trasferimento di risorse dagli utenti agli operatori;

      Utilizzo delle risorse di rete inferiore all’ottimale, per motivi di prezzo.

Costruire invece la rete dalla periferia, mettendo al centro del disegno gli utenti con una netta in-versione della logica progettuale (come non si è mai fatto finora), consente di superare senza sforzo le problematiche che ci arrovellano:

      L’investimento nella rete d’accesso risulta insieme privato (ognuno paga la propria fibra) e pubblico (lo fanno tutti);

      Rimane ben poco da regolamentare:  solo gli armadi di centrale dove saranno attestate le fibre (nella forma di permutatori ottici tra utenti da un lato e operatori dall’altro), che potremmo dare anch’essi agli utenti;

      Lo Stato può assumere un ruolo fortemente positivo, organizzando gli aspetti tecnici, finanziari e fiscali di un’operazione così ampia, in modo che possa avvenire in modo efficiente dal punto di vista di tutti (potrebbe essere azzerata l’IVA e riveduti /annullati gli oneri concessori;  tutta la PA potrebbe “sbottigliare” gli aspetti burocratici, concedere gratuitamente i necessari “rights of way” / incentivare chi li possiede a concederli);

      Condomìni, quartieri, associazioni, cooperative, Comuni possono divenire soggetti importanti nell’organizzazione esecutiva.

L’ipotesi delineata vede assetti concorrenziali e termini economici del tutto favorevoli:

      La parte di rete che è monopolio naturale – l’accesso – diviene, senza problemi, a proprietà diffusa;

      Le parti di rete – edge e core – sulle quali è possibile una vera competizione, anche in termini di investimento in strutture fisiche, vedono finalmente una concorrenza piena tra gli operatori (anche perché ogni utente può passare in un attimo da un operatore all’altro, se e quando lo desidera);

      Le cifre in gioco, grandi per un operatore (si parla di 5-15 miliardi di Euro di investimento, in funzione di chi fa i conti), diventano piccole per il singolo.  Bastano 180 Euro / anno per 10 anni, interamente finanziati da non pagare più il canone:

.       29 Euro (un bimestre di canone) per la manutenzione:  700 milioni di Euro / anno, dati dell’incumbent, divisi per 20 milioni di famiglie e oltre 4 milioni di imprese;

.       145 Euro (gli altri cinque bimestri di canone) per gli oneri finanziari di un micro-mutuo decennale di 1.000 Euro:  15 miliardi di investimento, estremo superiore ipotizzato, divisi per 24 milioni di famiglie e imprese, più il costo delle opere elettriche e murarie di casa / ufficio.

Non cogliere questa storica, forse “unica” occasione comporterebbe una grave perdita per tutti noi.

Rimangono aperti due problemi, non trascurabili, che senza un Vs. adeguato intervento trascineranno ineluttabilmente l’Italia nella direzione opposta, uguale ad oggi e dannosa per il Paese:

      Forti interessi – e poteri – economici, orientati diversamente;

      Una volontà politica storicamente “debole” nei loro confronti.

In proposito non vi è soluzione immediata, se non ribadire che:

      Le telecomunicazioni, insieme a tutte le altre infrastrutture “a rete” che supportano la Nazione e l’economia – strade, autostrade, ferrovie, linee aeree, acqua, gas, elettricità, immondizia, servizi di base di banche e assicurazioni – dovrebbero essere gestite con filosofie di investimento e gestione orientate all’interesse comune;

      Le scelte fondamentali del tipo di quella discussa in questa nota dovrebbero essere portate all’attenzione della gente, con una spiegazione semplice e chiara delle alternative e delle conseguenze.

 

Con i migliori auguri di buon lavoro,

 

Alfredo Bregni