Internet mobile: le preoccupazioni del Garante Privacy. Sotto accusa pubblicità e motori di ricerca

di Alessandra Talarico |

Unione Europea


Mobile Internet

Il mobile internet è considerato il futuro del web: in meno di dieci anni, secondo Yahoo!, il telefonino diventerà lo strumento privilegiato per accedere a internet.

Ma la navigazione dal cellulare nasconde anche molte più insidie per la privacy rispetto a quella tradizionale, come ha sottolineato Giovanni Buttarelli, segretario generale del Garante per la protezione dei dati personali, nel corso dell’incontro ‘Doing no Evil’ al Parlamento europeo.

 

Le preoccupazioni maggiori riguardano l’utilizzo dei siti di social networking e il search advertising. La pubblicità sui motori di ricerca si basa su un’accurata profilazione degli utenti, effettuata dagli operatori mettendo insieme dati personali – nome, età, sesso, posizione geografica – e informazioni relative alle ricerche effettuate e ai siti visitati.

 

La ricerca mobile è sicuramente un fenomeno commerciale che negli ultimi anni ha dimostrato un considerevole consolidamento, sia nel volume dei guadagni generati, sia nel numero crescente di applicazioni e servizi dedicati.

Usare un motore di ricerca mobile, tuttavia, rende disponibili a terzi una marea di informazioni precise – come il profilo, le preferenze di navigazione, l’ora e la posizione – le quali, unite ai dati collezionati dagli operatori tlc, “permettono di avere un profilo utente molto accurato, soprattutto in termini di localizzazione”, ha spiegato Buttarelli, esprimendo forte preoccupazione per i possibili futuro scenari.

 

Ma perché ai motori di ricerca interessano così tanto i dati degli utenti? Secondo Google, queste informazioni servono a dare agli utenti un servizio più accurato ma la realtà è che per molte aziende internet è diventato uno strumento impareggiabile per comprendere i comportamenti dei consumatori e adeguare prodotti e pubblicità alle esigenze mutevoli del mercato.

 

Dietro la gratuità di molti servizi offerti agli internauti c’è infatti un tranello: non si paga ma si accetta di essere ‘seguiti’ su tutto il web, così che la navigazione diventi tesoro per gli esperti del cosiddetto ‘marketing comportamentale‘, i quali usano dati per eventuali aggiustamenti dei prodotti o delle campagne pubblicitarie. Come dire: “Facciamo arrivare la pubblicità di cibo per animali a chi ha un cane”.

 

L’efficacia di questi metodi di targeting rende il search advertising mobile molto più utile rispetto ai metodi tradizionali, che fin qui si sono basati prevalentemente sull’uso di sms o comunque su spot non specificamente ‘mirati’.

 

La parola d’ordine del mobile web è infatti ‘personalizzazione’: abbinare il contenuto giusto all’utente giusto e prevedere i suoi gusti e le sue scelte è considerata la chiave di volta per convincere sempre più utenti a navigare il web dal telefonino.

 

Buttarelli ha quindi ricordato che anche le società che si occupano di ricerca mobile sono tenute a rispettare i principi e gli obblighi sanciti dalla direttiva europea 95/46 sulla protezione dei dati, in particolare informando adeguatamente gli utenti sui dati personali raccolti ed evitando di conservarli se non ne è dimostrata la necessità.

I dati devono insomma essere protetti con più attenzione, dal momento che possono essere utilizzati per risalire all’identità degli utenti, ai loro orientamenti sessuali, politici, religiosi, alle loro malattie e alle loro abitudini alimentari e di vita.

 

La violazione o l’abuso di queste informazioni viola i dettami della Convenzione europea sui diritti umani: “…non solo determinati individui, ma ogni persona può essere soggetta alla registrazione delle proprie comunicazioni”, dal momento che “in molte situazioni non si può evitare di usare le telecomunicazioni e quindi non c’è scampo alla registrazione dei dettagli delle comunicazioni, anche quando questi sono confidenziali”.

 

Secondo l’ultima ricerca Juniper Research, il mobile search genererà entro il 2013 profitti per 4,8 miliardi di dollari, trainato, in particolare, dai servizi ‘local-search’ che attrarranno il 40% degli investimenti pubblicitari.

La sempre maggiore attenzione delle istituzioni verso la privacy potrebbe però avere conseguenze significative sul mercato dell’advertising online, il cui valore ha toccato ormai i 25 miliardi di euro a livello globale. Una cifra impressionante se si pensa che il primo banner fece la sua comparsa meno di 15 anni fa.

 

Anche i cittadini della Ue sono sempre più preoccupati per l’uso che viene fatto dei dati personali su internet: secondo uno studio condotto da Eurobarometro, 3 europei su 4 sono impensieriti per la sorte dei loro dati personali su internet.

 

Un’inquietudine fomentata anche da fatti di cronaca recente relativi ai maggiori siti di social networking: secondo uno studio sponsorizzato dal Governo britannico gli iscritti ai siti di incontro e condivisione di file e interessi Facebook e Myspace sono sempre di più a rischio di furto di identità.

 

Un altro studio, condotto in Italia, Francia Gran Bretagna e Germania, indica quindi che l’83% degli utenti ritiene inappropriata la collezione di tanti dati personali di un utente e un altro 93% pensa che in nessun caso queste informazioni debbano essere usate a scopi pubblicitari.