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Le potenzialità dell’ICT. C.M. Guerci (ThinkTel): ‘I segnali positivi ci sono, ma non si inquadrano in un progetto Paese’

Italia


Il nostro Paese si trova in una situazione molto difficile  che fino a poco tempo fa è stata sottovalutata, principalmente dagli organi di Governo. Un forte apporto a capire la situazione e a lanciare segnali di allarme è venuto solo dal Governatore della Banca d’Italia.

In realtà se la crescita della produttività e del PIL sono un segnale, le preoccupazioni avrebbero dovuto sorgere già una decina di anni fa perché è da allora che la nostra crescita è inferiore a quella media europea e dunque assistiamo a un fenomeno di progressivo allontanamento. Le cause del fenomeno sono numerose, complesse e certamente di natura strutturale.

 

Eppure, anche in questo quadro non brillante, il Paese continua a dare segni forti di vitalità individuale: le esportazioni crescono, i profitti delle imprese sono buoni, compaiono continuamente imprese nuove capaci di crescere – almeno fino a un certo punto – in Italia e all’estero, persino in comparti di alta e di altissima tecnologia. Sono segnali positivi, ma dei quali non dovremmo accontentarci.

 

Infatti essi si manifestano solo per la formidabile capacità di spinta delle nostre imprese singole e non si inquadrano in un disegno, in un progetto Paese, nella spinta su talune attività chiave senza le quali è difficile o impossibile spingere più in là lo sviluppo e recuperare il ritardo accennato.

Continua a essere ignorato il problema della formazione scolastica e culturale, non vi è un disegno per recuperare l’enorme ritardo che abbiamo accumulato in materia di R&S, il ruolo dello Stato è carente, carentissimo, nei suoi  laboratori di ricerca.

 

Relativamente alla information technology il Paese è in forte ritardo, con iniziative molto frammentate e con una domanda fortemente incerta da parte delle imprese. Ma appare subito il ritardo, la mancanza di mira, la cattiva – pessima -organizzazione della domanda pubblica. L’enorme numero delle stazioni appaltanti, enormemente maggiore di quello presente in Paesi come la Francia, mette in evidenze la confusione, la mancanza di organizzazione e di mira della  domanda pubblica e il costo del procurement, mentre le gare al massimo ribasso sono una garanzia di scarsa qualità e innovazione.

Così si distrugge un Paese e non è un caso che nella campagna elettorale non si siano neppure sfiorati questi argomenti “difficili”.

Figura 1 e 2.

In questo contesto lo sviluppo diffuso dell’ICT – che presenterebbe grandi opportunità in una serie ampia di applicazioni che vanno anche oltre quelle che abbiamo previsto in questo lavoro – è estremamente complesso. Ma è inevitabile e è per questo che pur conoscendo le difficoltà abbiamo intrapreso questo lavoro.

 

Abbiamo considerato la Sanità, dove sono già stati fatti progressi proprio nell’impiego delle tecnologie, e dove anche più rimane da fare nella migliore organizzazione della funzione e nella omogeneizzazione dell’offerta; il sistema dei trasporti che sta scoppiando sia a livello urbano sia extraurbano e dove non è ancora apparso abbastanza evidente che va fatta una scelta di base a favore dei mezzi pubblici – ma organizzando bene i flussi dei mezzi su gomma; il turismo, che dalla applicazione dei mezzi digitali può ottenere fluidificazioni e nuovi servizi in grado di aumentare la soddisfazione dei turisti, aumentare la domanda e, attraverso la concorrenza, migliorare la qualità dell’offerta; le applicazioni della banda larga alle imprese minori, che crescono, come mostra l’indagine svolta, rispetto agli anni precedenti, ma a ritmi relativamente lenti e senza diffondersi sulla base delle imprese.

 

L’ICT potrà dare un grande apporto allo sviluppo, attraverso: a) la riduzione dei costi di tutte le attività dove lo si applicherà; b) per mezzo delle nuove applicazioni che le nuove tecnologie consentono; c) attraverso l’aumento della produttività delle operazioni esistenti.

Perché ciò accada si deve fare un grande lavoro sui processi produttivi. Senza una profonda revisione dei modi di funzionamento delle organizzazioni la sovrapposizione di ICT può addirittura essere dannosa, peggiorando proprio quegli aspetti che si vorrebbero migliorare. Ma è proprio con questi interventi che l’ICT può sviluppare nuove forze, liberando le imprese da schemi del passato che non funzionano più e liberando invece nuove capacità.

 

Nel lavoro di Digitaly vi sono numerosi suggerimenti di linee da seguire. Se ne dovrebbero occupare i governi a venire, ma anche le imprese dovrebbero trovare una nuova lena. Per ora devo constatare che le più piccole mostrano maggiore iniziativa e capacità di realizzazione, mentre le più grandi sono ancora indecise proprio sui principali argomenti dai quali potrebbero venire le maggiori soddisfazioni.

 

Questo studio analizza l’impatto che le tecnologie ICT e le loro applicazioni possono avere sulle attività del Controllo del territorio, della sicurezza e della gestione delle emergenze ( in Inglese Homeland Security and Emergency Management). Si tratta di un lavoro di notevole dettaglio, che a quanto ne so è il primo in Europa a questo livello di completezza e di analiticità. Descrive una situazione variegata, dove opera una grande quantità di attori e che, come si vedrà nel corso della lettura, può essere soggetto a grandi miglioramenti.

Questa Tavola mostra i temi dei quali trattiamo.

 

Essi sono stati distinti in grandi categorie, eventi naturali, eventi non intenzionali e eventi intenzionali causati dall’uomo, ma l’analisi poi è stata condotta a un livello di dettaglio molto più alto. Su ogni aspetto ci siamo preoccupati di misurare, di illustrare avvenimenti e tendenze con numeri e ciò è stato reso difficile dalla scarsa reperibilità di informazioni “ordinate”, a causa della frammentazione delle attività svolte in Italia nei settori in questione.

Il costo annuale dei rischi e delle minacce per l’Italia è molto elevato e, direttamente, raggiunge i 55 miliardi di per anno, con il valore massimo in materia di criminalità, seguito dall’impatto negativo che la situazione genera sugli IDE e sul turismo perso.

A fronte di questi fenomeni l’Italia sostiene spese ingenti, che peraltro negli ultimi anni hanno mostrato una certa tendenza decrescente e che sono inferiori a quelle sostenute dai Paesi più avanzati (vedi tavola).

 

Complessivamente si tratta di una spesa di 476,82 euro per abitante per sicurezza e ordine pubblico, e di 186,63 euro per abitante relativamente a protezione per l’ambiente. Il primo capitolo di spesa è rimasto sostanzialmente costante mentre il secondo è cresciuto.

Un benchmark con una serie di Paesi vicini e avanzati mostra la posizione dell’Italia (vedi grafico).

Come percentuale sul PIL, per sicurezza e ordine pubblico, il Regno Unito è quello che spende di più, con una quota del 2,55, seguita proprio dall’Italia, ma la distanza è rilevante se misurata in termini di spesa pro capite. Considerando invece la protezione dell’ambiente la posizione dell’Inghilterra peggiora, pur restando al primo posto. Non buona, in entrambi i casi la situazione francese.

Le applicazioni ICT a queste attività sono numerose e soprattutto vi è una crescente attenzione alle loro potenzialità. Mediamente si tratta ancora di applicazioni relativamente tradizionali – comunque note – ma negli ultimi anni e dopo la tragedia delle torri gemelle e la recrudescenza del terrorismo, esse sono cresciute come livello tecnologico.

Le ultime applicazioni – identificate da Mercato G3 HLS nella Tavola precedente – sono piuttosto sofisticate e riguardano, per esempio, utilizzo della biometria, del DNA, di controlli da remoto ad alta definizione, di individuazione in automatico di attività.

Una classificazione delle attività ICT più rilevanti per la protezione civile può essere la seguente.

 

Comunque l’ampiezza di queste applicazioni non dovrebbe entusiasmare, in quanto esse traggono valore solo quando sono inserite in organizzazioni perfettamente integrate, dove tutto funziona in tempo reale, è interoperabile e inserito in processi produttivi fluidi.

Fondamentale è la funzionalità con la quale operano tutti gli organi di sicurezza e il loro finanziamento, come la loro qualificazione, sono aspetti chiave dell’efficienza e della efficacia che possono essere raggiunte.

In proposito questa  Tavola mostra la spesa in ICT degli organi di sicurezza.

 

Questa Tavola merita un’attenta riflessione. La spesa dei Carabinieri è quella più alta, ma anch’essa, negli ultimi anni per i quali sono disponibili i dati, è in lieve flessione, mentre è in più forte flessione quella del Ministero dell’Interno. A fronte dei fenomeni che si stanno verificando, non è un buon segnale.

Ancora più preoccupante è la distribuzione di quella spesa. La spesa per la manutenzione e gestione – spesa di routine – è pari al 12%, la spesa interna – che è spesa di gestione ordinaria è pari al 74,7%, mentre la spesa per lo sviluppo raggiunge solo al 13,2%.

Sulla base dell’insieme di dati e di analisi che sono state fatte, confronti con situazioni reali, con valutazioni di esperti, con Focus group ecc. siamo pervenuti a una valutazione della situazione, complessiva e per segmenti, e delle relative posizioni di soddisfazione e/o di mancanze da colmare. Alcune carenze si sono rivelate di natura “strategica”, nel senso che mostrano carenze tali da compromettere lo sviluppo futuro del sistema. Su questo concetto insistiamo molto perché quello della HS&EM è un vero sistema, nel senso che – nel positivo e nel negativo – ogni sua parte interagisce con le altre influenzandone le prestazioni. Quello italiano, almeno per ora, può difficilmente essere definito un sistema.

Dall’analisi fatta e dalla definizione delle aree particolarmente critiche siamo pervenuti alla definizione di 12 progetti rilevanti, da sottoporre all’attenzione del Governo – chiunque lo esprima – in quanto sono privi di colore politico. Questi progetti sono relativi a due diversi scenari, a loro volta individuati sulla base di numerose variabili, economiche, politiche, sociali, tecnologiche, psicologiche, demografiche, di sviluppo internazionale e internazionale del terrorismo ecc. ( per i quali rimandiamo al testo integrale del Rapporto pubblicato dall’editore EGEA nel volume “Un Paese insicuro”).

Essi sono stati definiti “Mare tranquillitatis” il primo, con riferimento a una situazione che nei prossimi anni si svilupperà senza particolari turbamenti, e un secondo, classificato come “Quaranta ruggenti”, più mosso e “drammatico”. Presentiamo il secondo nella Tavola che segue.

Emerge subito l’importanza di una rete Wireless dedicata, di alta qualità e sicurezza, capace di garantire comunicazioni in sicurezza in situazioni particolarmente critiche, così come non meno importanti sono la sorveglianza delle reti dell’acqua, il potenziamento dell’osservazione dallo spazio, la piena interoperabilità delle reti esistenti, il potenziamento delle capacità di intervento a seguito di evento dannoso, la banca dati per i criminali, la diffusione di TAG su ogni prodotto, lo sviluppo di IPv6 poiché gli indirizzi si stanno esaurendo.

Tutti questi interventi, da sviluppare nell’arco di 10 anni nel primo scenario e di 6 anni nel secondo (più turbolento), hanno un costo di 6 miliardi di , ma possono sviluppare benefici decisamente maggiori, di circa 80 miliardi di se si considerano tutti gli effetti diretti e indiretti e di circa 55 miliardi se consideriamo solo quelli diretti.

Comunque non ci si dovrebbe limitare alla considerazione di questi valori. Per quanti sforzi di misurazione abbiamo fatto, certi aspetti del vantaggio e del benessere conseguibili sono difficilmente misurabili, mentre loro tentativi di misura rischiano di sfociare in valutazioni ambigue o poco credibili. Eppure non esiste solo ciò che si può misurare e diversi aspetti della nostra vita hanno enorme peso, negativo o positivo anche se sfuggono alla misura in senso tradizionale.

  

Raccomandazioni e proposte

 

Piuttosto dobbiamo chiederci che cosa significa affrontare in modo efficiente quei problemi per tutti gli attori coinvolti: lo Stato, Le Pubbliche Amministrazioni, le organizzazioni preposte, le imprese e i cittadini

 

In proposito abbiamo formulato alcune proposte senza le quali sarebbe difficile ottenere gli indispensabili miglioramenti definiti con i 12 Progetti.

 

La prima proposta consiste nella creazione di una Autorità nazionale per la sicurezza con compiti di coordinamento di tutte le attività connesse. La attuale frammentazione è totalmente intollerabile sia per i suoi costi, sia per l’estrema inefficienza e inefficacia generate. Tale Autorità dovrebbe:

 

o      Definire l’organizzazione responsabile per le attività specifiche.

 

o      Definire con il responsabile della privacy quali sono i dati da tutelare.

 

o      Interagire con i privati e con le imprese.

o      Diffondere la cultura EM/HS.

 

o      Contribuire a rimuovere gli ostacoli normativi e a approvare nuove leggi atte a favorire le applicazioni ICT.  Per fare un esempio lo Statuto dei Lavoratori – ormai obsoleto – contiene norme che ostacolano lo sviluppo della videosorveglianza sui luoghi di lavoro, anche laddove essa può rappresentare un utile presidio per la sicurezza.

 

La seconda proposta prevede la creazione di un’Agenzia per la gestione delle emergenze e per gli standard e la qualità del servizio. Dovrebbe occuparsi di:

 

o      Service level agreement per scambio dati.

 

o      Supervisione dello sviluppo dei progetti di alta priorità.

 

o      Monitoraggio della liberalizzazione delle frequenze RFID.

 

o      Definizione dei nuovi progetti relativamente all’entrata in vigore del Numero unico di chiamata per le emergenze.

 

o      Conferire la massima attenzione alla migrazione verso IPv6 a seguito dell’esaurimento dei numeri attuali e in previsione della crescita di Internet delle cose e del futuro sviluppo del dialogo tra macchine.

 

Conclusioni

 

Ciò che ho scritto sinora è prevalentemente di carattere tecnico e riguarda le notevoli potenzialità che le tecnologie ICT, quelle tradizionali e quelle nuove possono avere per la sicurezza, la protezione ambientale e la gestione delle emergenze. Ma dovrebbe essere ben noto che le tecnologie per essere utili devono essere organizzate entro strutture che ne sappiano sfruttare a fondo le potenzialità. Per farlo occorre una grande quantità di formazione, cultura di base, organizzazione snella e di pronta risposta a comando e controllo pronto e rigoroso. Occorre ciò su cui ho molto insistito e che in Italia manca ancora: l’organizzazione unitaria di ogni attività – e si è visto quante sono – in un quadro unico e coerente, in breve in un sistema.

Sappiamo che a ciò sono di ostacolo non solo difficoltà oggettive, ma soggettive. Ogni funzione difende fino in fondo il suo ruolo, per quanto piccolo, e lo antepone a qualunque tentativo di riforma o anche solo di coordinamento. Se il nostro Paese vorrà veramente affrontare i gravi temi descritti in questo studio il Governo dovrà affrontare questi problemi con una decisione che finora non vi è stata. Infatti il problema è più generale di quello che emerge nei singoli temi trattati dallo studio: lo sviluppo economico italiano è principalmente bloccato dalla difficoltà di portare avanti rapidamente le opere pubbliche, di ottenere autorizzazioni rapide alle necessità di investimento delle imprese, dai tempi sprecati nella formulazione di carte. Ogni comunello è in grado di bloccare qualunque iniziativa importante per lo sviluppo degli investimenti.

Se si percorre di notte la autostrada Milano – Torino si rimane accecati dal carosello di luci colorate che mostra la permanenza di cantieri di lavoro. Cantieri ancora attivi a ben quattro anni dallo svolgimento delle Olimpiadi, quando i lavori avrebbero dovuto essere terminati. Ancora una volta, sempre, costosi ritardi.

Inutile, evidentemente, citare il caso di Napoli, resistente a qualunque forma di intervento e che mostra come senza la collaborazione delle popolazioni non si possano ottenere risultati.

Relativamente a HS/EM un altro aspetto chiave è la sensibilità culturale al tema. È fondamentale la sensibilità collettiva all’argomento e questa è presente solo in pochi Paesi, non certo nel nostro.

I problemi della sicurezza riguardano gli altri e chi vive in aree sicure è del tutto indifferente a chi subisce giornalmente aggressioni e rischi a distanza. La sensibilità all’ambiente è poi molto bassa e il pensiero alle eventuali gravi emergenze è sempre lontano. E’ sufficiente constatare che ogni anno, quando si presentano alluvioni e esondazioni, le aree colpite e i danni subiti si verificano sempre negli stessi punti.

Nonostante le forti competenze della nostra protezione civile, non oso pensare a ciò che sarebbe potuto accadere se gli attentati di Londra e di Madrid fossero avvenuti su una metropolitana milanese.

Far nascere questa cultura fa parte anche degli interventi e delle iniziative nuove proposte da questo lavoro. Ma sono gli stessi cittadini, tutte le entità che hanno un ruolo in materia, private e pubbliche che devono fare un passo indietro rispetto agli individualismi che hanno caratterizzato ciò che è avvenuto finora e molti passi avanti in un futuro di partecipazione e di collaborazione spinta.

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