Social networking: il caso Facebook e la necessità di una carta dei diritti per la tutela della privacy contro le insidie del marketing virale

di Alessandra Talarico |

Mondo


Social network

Si chiamano Facebook, MySpace, LinkedIn, Viadeo, OpenSocial, Orkut, e rappresentano il fenomeno più esplosivo della rete: il social networking.

Una popolarità che, oltrepassati i confini dei campus americani, si è imposta in tutto il mondo, nel giro di poco più di 3 anni, sollevando però anche seri dubbi relativi all’effettivo rispetto della privacy dei giovanissimi, e non solo, che su questi siti si precipitano in massa alla ricerca di amici, nuovi contatti, feste, lavoro.  

Un argomento su cui è intervenuto dal 4° Microsoft Innovation Day anche Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione Europea e Commissario Responsabile per il portafoglio Giustizia, Libertà e Sicurezza.

Frattini ha annunciato un sostanziale aumento dei fondi Ue a sostegno dello sviluppo di tecnologie per la protezione della privacy, settore per il quale la Commissione aveva già previsto stanziamenti di 18 milioni di euro.

  

MySpace – leader indiscusso del social networking nato nel 2003 dall’intuizione di un giovane musicista in cerca di pubblicità e ora parte della scuderia News Corp di Rupert Murdoch – conta oltre 100 milioni di utenti in tutto il mondo, Facebook, il suo diretto antagonista, è apparso sulla scena solo nel settembre dell’anno scorso anno e di utenti ne conta 50 milioni.

  

Questi siti sono i più visitati al mondo e, neanche a dirlo, hanno suscitato gli appetiti dei pubblicitari e delle web company a caccia di una strategia per monetizzare questo enorme flusso di pubblico.

  

In questa battaglia, si inseriscono da un lato Google – che in collaborazione con MySpace ha riunito nella comunità Open Social siti quali Engage.com, Friendster, hi5, Hyves, imeem, LinkedIn, Ning, Oracle, orkut, Plaxo, Salesforce.com, Six Apart, Tianji, Viadeo e XING con l’obiettivo di standardizzare e semplificare lo sviluppo di servizi in grado di generare nuovi flussi pubblicitari sulle pagine dei portali di socializzazione – dall’altro Microsoft che ha appena investito 240 milioni di dollari per l’1,6% di Facebook, valorizzando la società a 15 miliardi di dollari. Accordo che darà al gruppo di Bill Gates l’esclusiva dell’advertising sui siti internazionali dell’ecosistema Facebook.

  

Il tutto ruota attorno all’advertising online, che negli ultimi anni ha attirato sempre più investimenti a discapito dei media tradizionali.

  

I siti di social networking si sono dimostrati un formidabile veicolo pubblicitario e di distribuzione, direttamente proporzionale alla crescita dei loro frequentatori, tanto che lo stesso Rupert Murdoch – che nel 2005 ha acquisito il concorrente MySpace per 580 milioni di dollari – si dice convinto che nel giro di pochi anni riusciranno ad attirare lo stesso pubblico che guarda i programmi di informazione, lo sport o l’entertainment del network televisivo Fox.

  

L’opportunità risiede nel fatto che i siti di social networking raccolgono una gran mole di informazioni sui loro frequentatori – hobby, musica preferita, età, stato civile, domicilio, opinioni politiche, foto – che possono essere utilizzate per la pubblicità mirata.

E più le informazioni sono dettagliate, più l’utente diventa interessante per i pubblicitari: i gruppi di persone che ruotano attorno a un profilo diventano infatti una vera e propria miniera d’oro per il cosiddetto marketing virale, una specie di evoluzione digitale del passaparola che sfrutta la capacità comunicativa di pochi soggetti per trasmettere il messaggio ad un numero esponenziale di utenti finali.

  

E’ un po’ lo stesso principio, spiega Dominique Piotet, presidente dell’Atelier BNP Paribas a San Francisco, “…delle riunioni della Tupperware, nelle quali le madri di famiglia riunivano le loro amiche per vantare i meriti dei loro prodotti, ricevendo una commissione sulle vendite, adattato però all’era internet che tutto reinventa e moltiplica”.

  

Ma lanciarsi a capofitto nel marketing virale non sempre paga.

Ne sa qualcosa proprio Facebook aveva tentato di rompere il tabù con la piattaforma pubblicitaria Beacon, presentata come una innovazione, ma diventata un vero e proprio boomerang quando si è scoperto che il sistema poteva tracciare le abitudini degli utenti anche con la funzionalità disattiva, minando la difesa della privacy in nome di una maggiore condivisione di informazioni con il network.

  

E non sono tardate le scuse del 23enne patron del sito Mark Zuckerberg, dopo che molti partner commerciali e pubblicitari hanno minacciato di rivedere le modalità di adesione al canale di advertising del sito.

  

Zuckerberg ha ammesso di “…aver fatto un brutto lavoro” e si è scusato aggiungendo che è stato sbagliato il bilanciamento della formula opt-in adottata.

“Gli utenti – ha spiegato Zuckerberg sul suo blog – devono poter scegliere cosa e come condividere e devono poter scegliere se disattivare completamente Beacon se non vogliono usarlo”.

  

Il primo correttivo al contestato sistema è già stato applicato: spuntando una casella, infatti, le notifiche vengono bloccate e nessun partner commerciale potrà interagire con l’account personale degli utenti senza il suo volere.

  

Il caso Facebook, insomma, non fa che evidenziare quanto sia difficile una corretta gestione dei dati personali degli utenti. Questione quanto mai aperta e delicata e su cui si discute in tutto il mondo.

“Le nostre vite digitali – si chiede Piotet – anche se strumentalizzate e monetizzate, sono tutelate? Come evitare gli abusi? E’ accettabile, e siamo coscienti dei pericoli? Quello che otteniamo frequentando questi siti vale come contropartita la rinuncia alla privacy?”.

  

Domande a cui sarebbe bello poter rispondere con certezza e che evidenziano come – in attesa di una Carta dei Diritti sul social networking – bisogna vigilare attentamente contro ogni abuso perpetrato in nome del profitto.

“L’uso appropriato delle moderne tecnologie nella lotta agli abusi su minori può essere fondamentale – ha commentato Frattini –  e pubblico e privato devono lavorare assieme”

Le aziende hi-tech possono svolgere infatti un ruolo fondamentale secondo Frattini, che sottolinea come per esempio “…l‘introduzione da parte di Microsoft di una funzionalità di “Report abuse” in MSN Messenger ha incrementano drasticamente il numero delle segnalazioni di abusi da parte dei più giovani. Sì, i criminali utilizzano la tecnologia per commettere più facilmente questi crimini abominevoli. Ma la tecnologia può anche aiutarci a combatterli.”