MVNO: l’Antitrust accetta gli impegni di Vodafone ma ancora non risolte molte criticità del mercato

di di Dario Denni (promotore de L’Osservatorio della Rete) |

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L’accettazione degli impegni di Vodafone da parte dell’Autorità antitrust è uno tzunami che rischia di travolgere molti operatori di rete fissa, privandoli della possibilità di poter competere sul mercato. La decisione arriva al termine di un procedimento istruttorio (noto come A357) che ha coinvolto Tim, Vodafone e Wind per abuso di posizione dominante collettiva. Si tratta, in concreto, di una serie di condotte abusive assunte nel tempo dagli operatori mobili, i quali hanno impedito agli altri di poter competere formulando offerte convergenti di tipo fisso-mobile o servizi integrati, dati e voce.

 

Mentre il mercato attendeva con trepidazione una sanzione esemplare per questi comportamenti abusivi, Vodafone ha giustamente approfittato di uno slittamento dei termini,  per presentare un impegno giuridicamente vincolante (ai sensi dell’art 14-ter della Legge 287/90 e successive modifiche), in cui proponeva alcuni rimedi auto-imposti per far venir meno i profili anticoncorrenziali dell’istruttoria. Più semplicemente, Vodafone si è impegnata a concludere una serie di accordi commerciali con gli altri operatori, per dare accesso alla propria rete mobile, in cambio del venir meno di una eventuale sanzione da parte dell’Antitrust. L’impegno è stato così pubblicato sul sito dell’Autorità e, come era prevedibile, ha subito incendiato la polemica per la vacuità delle condizioni tecniche ed economiche di un accordo – pur sempre commerciale –  lasciato dunque alla libera determinazione delle parti.

 

La cronaca di quei giorni ci ha restituito pagine e pagine di annunci sulla nascita dei nuovi MVNO, ossia degli Operatori Mobili Virtuali che non hanno una propria rete ma la affittano da altri. Tutto questo in Italia resta frutto di negoziazioni e di trattative segrete, in totale assenza di obblighi regolamentari.

Ed è quindi per questo che, dopo i primi accordi con Poste Italiane e Carrefour, Vodafone ha fatto anche un accordo con BT Italia realizzando così il primo caso italiano di MVNO nato dallo scontro di una compagnia telefonica mobile e di una fissa. Niente di speciale, a dire il vero, considerato che in Spagna ed in Inghilterra i due gruppi hanno già stretto una partnership per fornire servizi integrati di tipo-fisso mobile, alla clientela affari. Ma riportando la questione in Antitrust italiana, mentre i primi due accordi, legati alla grande distribuzione, non erano stati ritenuti sufficienti a soddisfare gli impegni auto-assunti da Vodafone, nel caso di BT Italia, l’Antitrust ha ritenuto che l’ingresso nel mercato mobile di operatori di telefonia fissa, sebbene a condizioni commerciali e solo per clienti business, potesse essere accolto come sufficiente a sanare il pericolo del ripetersi di certe condotte anticompetitive, in pendenza del procedimento antitrust A357 a carico di Vodafone.

 

Dopo questo outing dell’Antitrust italiana, è arrivata secca la replica da Via delle Muratte, dove ha sede l’AGCom, che in questa partita veste i panni dell’arbitro che fa le regole.  In una delibera l’AGCom ha stabilito che: “Gli accordi con imprese di grandi distribuzione, nonché la stipula di un unico accordo con un operatore di rete fissa, attivo solo nei mercati rivolti alla clientela affari, seppure significativi non possono essere considerati risolutivi delle criticità nei mercati dell’accesso alle reti mobili”. Amen. Era sottointeso che anche l’altra autorità indipendente, l’AGCom appunto – indirettamente coinvolta poiché ha il compito di porre da principio le regole per prevenire gli abusi – sentisse poi l’obbligo di riaprire la regolamentazione del mercato mobile, in modo tale da poter dettare una disciplina omogenea per far nascere gli operatori virtuali a condizioni economiche orientate al costo. Il che non significa altro che consentire a tutti gli operatori nuovi entranti, di poter partecipare alle offerte, ma a condizioni eque per tutti e non discriminatorie.

 

E’ da notare, peraltro, come nemmeno questo sarebbe sufficiente per la sopravvivenza di molti operatori, che rischierebbero di essere spazzati via dall’ingresso degli operatori mobili nel mercato del fisso, in assenza dell’orientamento ai reali costi, oggi resi opachi da tariffe di terminazione troppo alte.

Il nocciolo duro della questione riguarda infatti, il prezzo pagato per raggiungere e raccogliere traffico dagli oltre 50 milioni di abbonati di Tim, Vodafone e Wind. E’ lì che si annida il problema ed è da lì che si dovrebbe partire per trovare una soluzione e ridurre, fino ad azzerare, i famosi extraprofitti di cui godono gli operatori mobili e che danno spesso origine a comportamenti anticompetitivi, offerte predatorie irreplicabili e magari sottocosto. E’ auspicabile, quindi, che l’Antitrust tenga conto anche di questo, prima di consegnare il mercato a pochi operatori che, con offerte convergenti e integrate di tipo fisso mobile ed in assenza di una apertura regolamentata alle reti mobili, conquisterebbero l’intero mercato sbaragliando una concorrenza che, nemmeno la nascita degli MVNO potrebbe mai garantire.

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