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Ddl Gentiloni: Claudio Petruccioli, ‘Basta parlare di duopolio’. Il mercato televisivo non è solo la Tv generalista free

Italia


No al tetto del 45% alla raccolta pubblicitaria, sì a una “Maccanico bis” con soglia al 30% di una “torta” più ampia che comprenda anche i canoni di Rai e Sky Italia e la pay-per-view.

È questa la soluzione del presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà, per migliorare l’articolo 2 del Ddl Gentiloni.

All’inizio del lungo iter parlamentare che attende la riforma radiotelevisiva, è già stato messo sotto accusa uno degli elementi portanti del decreto.

In audizione nelle Commissioni Cultura e Trasporti della Camera, il presidente della Rai, Claudio Petruccioli, ha rincarato la dose.

“…Non c’è più un duopolio televisivo in Italia, almeno per quanto riguarda i ricavi“, ha sottolineato e in particolare, sfogliando i bilanci del 2005 di Rai, Mediaset e Sky, ha precisato come i tre broadcaster abbiano fatto “ricavi per 7,9 miliardi di euro complessivi: 3,091 per la Rai, 2,748 Mediaset, e 2,083 per Sky“.

In sostanza alla Rai è andato il “37%, a Mediaset il 34, e a Sky al  29”. Per quanto riguarda gli ascolti, poi, il presidente Rai ha aggiunto che “…tutti gli analisti prevedono che la tendenza degli ascolti sia in salita per le satellitari, e che anche ricavi ne saranno presumibilmente influenzati”.

Basta parlare di duopolio, quindi, ma si consideri invece “un approccio che guardi al settore televisivo nella sua interezza e non limiti l’attenzione – ha concluso Petruccioli – solo alla Tv generalista free“.

 

Ma nonostante il monito arrivato anche dal presidente emerito della Corte Costituzionale, Antonio Baldassarre, il Ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni, non pare abbia intenzione, almeno al momento, di fare passi indietro.

“…Non c’è nessun tetto contro singole imprese – ha chiarito parlando a Radio1 in merito alla soglia del 45% della raccolta pubblicitaria imposta nel suo Ddl -. C’è il fatto che bisogna distribuire le risorse pubblicitarie in modo tale che ai telespettatori arrivi un’offerta maggiore, attraverso una maggiore concorrenza tra diversi editori. Sono le posizioni dominanti o ‘eccessive’ di un’azienda su un determinato settore economico a bloccare lo sviluppo, e non gli eventuali limiti antitrust”.

“…L’eccessivo affollamento pubblicitario – ha inoltre aggiunto il Ministro – non fa bene alla Tv generalista, ma neanche alla stessa pubblicità che da noi in Tv è venduta spesso a prezzi stracciati”.

Meno pubblicità, insomma, e più “valorizzata“. Se Mediaset non vuole rinunciare a un quarto del fatturato, non le resta che aumentare il prezzo degli spot.

 

Diversa la posizione del direttore generale di Telecom Italia Media, Antonio Campo Dall’Orto, che in audizione ha sostenuto che l’eventuale via libera al Ddl Gentiloni sul riassetto del settore televisivo sarebbe “…l’ultima occasione perché possa esserci anche in Italia una sostenibilità televisiva”.

A difesa della tanta criticata norma del Ddl Gentiloni sulla raccolta pubblicitaria, Campo Dall’Orto ha sostenuto che “…Complessivamente Rai e Mediaset trasmettono oltre 5.000 ore di spot l’anno ed è evidente la carenza di dinamica del mercato. Al momento la situazione non è scalfibile”.

E questo nonostante “…negli ultimi cinque anni La7 abbia investito 870 milioni di euro, senza contare i 250 per le frequenze, e ne abbia ricavati in cambio 360. Il tutto per passare da un ascolto dell’1% al 4 attuale, comprendendo anche Mtv. Mediaset al momento raccoglie intorno al 60% – ha rincarato Campo Dall’Orto – il Ddl cerca di comprimerla al 45% che è un livello simile a competitor europei, cosa che porterebbe a liberare 600 milioni di risorse che potrebbero aiutare noi e altri competitori. Per noi è positivo. Ma non siamo d’accordo su come viene formulata la norma: se Mediaset anticipa il passo al digitale e non sceglie di ridurre gli affollamenti la norma diventa inefficace”.

 

Meglio, dunque, “…un emendamento per una riduzione degli affollamenti immediato, anche dopo aver trasferito una rete in digitale. È meglio una misura più moderata – ha aggiunto Campo Dall’Orto – ma applicabile e certa. Il timore è che la norma sia così punitiva che non sarà mai applicata”. Ma anche la Rai “…deve ridurre la sua pubblicità almeno di due punti, in modo simmetrico rispetto a Mediaset ed evitando – ha concluso – che le risorse si spostino da Mediaset alla Rai”.

 

“…La struttura del mercato italiano – ha sottolineato Dall’Orto – è bloccata e resiste così da 25 anni. L’unica cosa che è cambiata è la crescita de La7 e dei canali satellitari, questi ultimi completamente a carico delle famiglie. E’ per questo che, dopo tanti altri tentativi, questa nuova è, secondo noi, l’ultima occasione per consentire a un gruppo di persone impegnate nell’editoria televisiva e che lavorano insieme da cinque anni, di mettere a frutto un’esperienza comune che ha permesso di coagulare le risorse di chi crede che in Italia sia ancora possibile il pluralismo”.

 

Per Petruccioli, gli obiettivi del Ddl Gentiloni di dare impulso alla liberalizzazione del sistema televisivo italiano e dare un termine al passaggio alla tecnologia digitale “sono condivisibili“, ma ci sono alcuni aspetti del provvedimento, che interessano la Rai, che potrebbero essere modificati.

In particolare è necessario che il Governo detti delle tappe precise per lo switch-off dell’analogico e che i passaggi intermedi al digitale possano avvenire “…non tramite lo spostamento di una rete per operatore, ma tramite lo spostamento di capacità trasmissiva tra le due tecnologie“.

 

Secondo il presidente di viale Mazzini, il trasferimento di una rete sul digitale entro un anno e mezzo dall’approvazione del Ddl in attesa della scadenza del 2012, “…crea problemi dal punto di vista industriale ed editoriale“. Anche dal punto di vista dei costi, l’ipotesi di un passaggio alla nuova tecnologia di una parte della capacità trasmissiva di ciascun operatore “sarebbe meno costoso“. Ancora meglio il passaggio al digitale “…dovrebbe avvenire in tappe fino al 2012 che dovrebbero riguardare più aree territoriali che reti”.

Quel che è certo, secondo Petruccioli, è che la fase intermedia della transizione deve essere oggetto di una precisa tempistica dettata dal Governo: “…tanto più questa fase resterà indeterminata e non organizzata, tanto più per gli operatori esistenti si rivelerà costosa, e genererà diffidenza in quelli nuovi che devono entrare nel settore”.

Altra richiesta formulata da Petruccioli è quella di “…fare chiarezza nel caos delle frequenze esistente nel nostro Paese. Per la Rai è essenziale soddisfare questa esigenza, ma credo che lo sia per tutti gli operatori in atto o potenziali”.

 

Il presidente della Tv pubblica ha anche sottolineato che la copertura del 100% della popolazione con la nuova tecnologia, non potrà avvenire utilizzando il digitale terrestre, ma sarà necessario il digitale satellitare per coprire una minima parte della popolazione: “…E’ bene che di questo fatto tengano conto il legislatore e l’esecutivo per eventuali agevolazioni e anche i produttori di apparecchi riceventi”, ha sottolineato Petruccioli, evidenziando l’attuale situazione dei decoder satellitari.

 

La Rai comunque presenterà un piano per il digitale “…entro la prima metà dell’anno” e sono previsti notevoli cambiamenti rispetto all’attuale programmazione. Oltre ai canali tradizionali che utilizzeranno un multiplex, gli altri due multiplex saranno dedicati ad otto canali tematici che “…non è difficile immaginare: televideo, all news, ragazzi, cultura, regioni, sport. Non si tratta di decisioni formali – ha detto Petruccioli – ma più o meno ci siamo“.

 

Il presidente Rai non ha negato ritardi dell’azienda sul digitale: “…c’è stato un ritardo perchè ci sono problemi esterni e interni. Non dico nulla di strano se sottolineo che non c’è stato finora un quadro normativo univoco sul passaggio alla nuova tecnologia. C’è poi un problema di finanziamenti, visto che l’ultimo aumento del canone copre solo in parte l’adeguamento all’inflazione dopo due anni di blocco. C’è poi un problema di infrastrutture che potrebbe essere risolto dalla nascita di un gestore unificato delle reti tra tutti gli operatori. Certo se fosse andata in porto la cessione parziale di RaiWay cinque anni fa ora saremmo molto più avanti”.

 

Per quanto riguarda la proprietà, è necessaria una “intercapedine” tra il potere politico e l’azienda. Quanto alle nomine degli organi societari, la politica deve intervenire solo in due: “…una compartecipazione nella scelta del responsabile della gestione e una figura a garante e tutela delle regole e degli interessi del servizio pubblico” da eleggere con una maggioranza molto qualificata.

Quanto alla durata degli organi societari, visto che i progetti della Tv di Stato sul digitale e lo sviluppo delle sue reti riguardano “un arco di tempo non brevissimo, fra i cinque e dieci anni per intenderci”, non è “possibile attuarli se ogni due o tre anni si cambia l’intero vertice dell’azienda” e quindi servirebbe uno status particolare per la Rai che non la faccia rientrare nelle previsioni del codice civile sui Cda delle società.

 

La richiesta di cancellazione della norma, contenuta all’articolo 4 del provvedimento, è giunta, invece, dal responsabile degli Affari regolamentari della società telefonica Sergio Fogli, ascoltato insieme al direttore generale di TI Media Campo Dall’Orto.

Dovrebbe essere abrogata la norma del Ddl Gentiloni che obbliga Telecom Italia a garantire l’accesso alla propria rete in banda larga per la fornitura di servizi Tv.

Fogli ha, infatti, sottolineato come tale materia “…rientra nella esclusiva competenza” dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, come stabilito dalle Direttive europee recepite dal Codice delle comunicazioni elettroniche. In base a tale normativa l’Agcom, ha rilevato Fogli, sta per adottare la delibera concernente il mercato interessato, il numero 18 tra quelli individuati dall’Unione europea (servizi di diffusione radiotelevisiva), ed ha già adottato la delibera sull’offerta che Telecom dovrà realizzare sul mercato 12 (accesso a banda larga all’ingrosso).

 

“…A riguardo – ha aggiunto – sono state individuate anche quelle funzionalità specifiche che Telecom Italia dovrà mettere a disposizione degli operatori per consentire loro di utilizzare la rete broadband di Telecom Italia per l’offerta di propri contenuti”.

Per tutto questo, a suo avviso, “…la norma del disegno di legge dovrebbe essere abrogata, perché si sovrappone alla regolamentazione europea e nazionale di settore e perché rischia di limitare l’indipendenza e autonomia dell’Autorità, unica titolare delle competenze sulla materia”.

 

Di banda larga e digitale terrestre in Sardegna si è parlato anche nell’incontro tra il Ministro Gentiloni e il presidente della Regione Renato Soru.

“…Il Governo – ha spiegato il Governatore, durante la conferenza stampa – ha confermato che, per la sola area di Cagliari, dal 1° marzo Rai2 (per la Rai), Rete4 (Mediaset) e QOOB (Telecom Italia Media) saranno trasmesse con il solo segnale digitale. Inoltre, come previsto nella legge Finanziaria, ci saranno, probabilmente attraverso delle detrazioni fiscali, delle agevolazioni per l’acquisto di televisori con decoder interni che non saranno più separati dalla Tv”.

Soru ha aggiunto anche che “…viene meno il concetto di interattività attraverso il decoder, ma internet sarà accessibile attraverso il normale collegamento con il computer”.

Sul fronte della produzione televisiva, il Governo, sempre secondo quanto riferito dal presidente, ha confermato la volontà di investire in Sardegna, mentre, attraverso una convenzione con la Rai, la Regione diffonderà contenuti istituzionali.

“…Presenteremo dei progetti – ha chiarito – e, come è successo in altre regioni,  la nostra Isola potrebbe ospitare la location di serie televisive“.

 

Infine Gentiloni e Soru hanno discusso di banda larga e WIMAX. “…Il Governo ha confermato 30 milioni di euro di finanziamento (10 milioni per ciascun anno sino al 2008) per estendere la fibra ottica a tutti i comuni isolani con popolazione superiore ai 2.000 abitanti (oltre 103 mila abitanti)”, ha reso noto il presidente della Regione, ribadendo anche il progetto legato al WIMAX per offrire la banda larga, entro la fine del  2007, a tutti i comuni con meno di 2mila abitanti”.

 

“…Le audizioni di Rai e Telecom avvenute alle Commissioni cultura e trasporti confermano l’esigenza di un tempestivo intervento legislativo sul settore radiotelevisivo“. Lo ha detto Pietro Folena, presidente della Commissione Cultura della Camera e relatore del Ddl Gentiloni.

“Da Telecom – ha aggiunto – sono arrivati suggerimenti interessanti sul lato della pubblicità, con la proposta di prevedere l’abbassamento dei tetti in caso di violazioni anche dopo il passaggio al digitale di una rete, mentre è discutibile la richiesta di non aprire  la rete Internet”.

Folena ha detto anche “…il presidente della Rai Petruccioli ha posto il problema della rete via etere e della capacità trasmissiva. Anche se le sue proposte in merito sembrano non essere adeguate, tuttavia rimane del tutto aperto il problema delle reti, della loro proprietà e della loro gestione al fine di assicurare concorrenza, efficienza e abbassamento dei livelli di emissione elettromagnetica”.

 

Il Capogruppo Udc in Commissione Telecomunicazioni, Rodolfo De Laurentiis, ha spiegato in una nota che gli interventi previsti dal Ddl Gentiloni non sono sufficienti a raggiungere l’obiettivo condivisibile della liberalizzazione del mercato televisivo italiano.

“…Se si vuole procedere a una vera riforma complessiva del settore occorre esaminare contestualmente anche il tema della Rai e del suo assetto“, si legge nella nota.

“…La convergenza tecnologica – ha detto ancora il deputato centrista – così come ci ricordano gli operatori finora ascoltati dalle commissione parlamentari competenti, impone una considerazione del settore nel suo insieme, al di là delle singole piattaforme. È per questo che non comprendiamo le ragioni che impediscono al Parlamento di avviare l’esame di una vera riforma del comparto televisivo, invece che procedere con interventi frammentari”.

Auspichiamo – ha concluso De Laurentiis – che il dibattito parlamentare consenta di individuare regole condivise per il settore. E questa diventi responsabilità comune, sia del Parlamento che del Governo”.

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