Distrazioni a portata di mouse: quanto costano alle aziende gli effetti collaterali dell’always on?

di Alessandra Talarico |

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Effetto collaterale della cultura ‘always on’, le distrazioni digitali sul posto di lavoro costano caro alle aziende. Per l’esattezza, solo negli States, 588 miliardi di dollari all’anno.

 

Una bella cifra, non c’è che dire. È stato calcolato che i dipendenti americani vengono interrotti almeno 6 volte all’ora e, se alle distrazioni esterne si aggiungono quelle a portata da mouse – instant messaging, internet, posta elettronica ecc. – la possibilità di portare a termine un lavoro senza almeno un paio di interruzioni è pressoché impossibile.

 

In prossimità del periodo festivo, inoltre, le cose non possono che peggiorare: ci sono i regali da fare e, per evitare le corse dell’ultimo momento, cosa c’è di più comodo di internet? Ben il 38% degli americani coinvolti in un’indagine condotta da PriceGrabber ammette infatti che effettuerà gli acquisti via internet dall’ufficio, approfittando delle connessioni veloci normalmente disponibili al posto di lavoro.

E poi bisogna organizzare le ferie e le feste aziendali di fine anno, inviare qualche cartolina virtuale agli amici…insomma, le distrazioni non si contano e il lavoro, beh, in questi casi può attendere.

 

Gli studi condotti sull’argomento sono diversi, ma tutti giungono alla stessa conclusione: se prima la massima distrazione era rappresentata dalla pausa caffè o da qualche telefonata extra lavorativa, nell’era internet un manager tipo è interrotto 6 volte all’ora e fino a 70 volte al giorno e la maggior paste di questi break sono auto-imposti.

La società di ricerca Basex, ad esempio, ha stabilito che le ‘distrazioni da ufficio’ rubano da una giornata lavorativa media circa 2,1 ore – il 28% del totale – con i dipendenti che impiegano in media 5 minuti per riprendersi da un’interruzione e tornare al compito che stavano svolgendo.

 

Ancora un’altro studio ha rilevato che un gruppo di lavoratori interrotti da email e telefono durante la compilazione di un test per calcolare il quoziente d’intelligenza, ha totalizzato un punteggio minore rispetto a un gruppo che aveva fumato marijuana.

 

Essere sempre connessi, spiegano gli esperti, fa sentire importanti e anche sul posto di lavoro non si è disposti a perdere niente di quello che il mare magnum di internet ci propone. I lavoratori vivono dunque in uno stato di ‘attenzione parziale continua’ concentrati, più che sul lavoro, alla loro posta elettronica, ai messaggi sul cellulare o ai trilli sull’instant messenger, quasi come se le interruzioni non siano interruzioni ma siano esse stesse ‘il’ lavoro.

 

“Incapacità di resistere alla tentazione di scrutare l’orizzonte alla ricerca di tutte le nuove possibilità”, così definisce Lee Rainie, direttore di Pew Internet & American Life Project l’eccessiva propensione dei lavoratori verso l’uso sul posto di lavoro degli strumenti di comunicazione di nuova generazione.

 

Attenzione però, perché se la voglia di stare sempre connessi diventa compulsiva si rischia di perderlo il lavoro, come è successo a James Pacenza che, dopo 19 anni di onorato servizio alla IBM, è stato licenziato perché – per sua stessa ammissione – perdeva troppo tempo in chat, in alcuni casi a intrattenere discussioni su argomenti di natura sessuale.

Accortasi dell’abitudine decisamente inappropriata rispetto ai codici di condotta aziendali, la società ha licenziato Pacenza, che si è giustificato spiegando che la sua era una forma di dipendenza causata da un disturbo da stress postraumatico di cui egli soffriva dal suo ritorno dal Vietnam.

 

Qualsiasi sia stata la causa della compulsione, Pacenza ha perso il lavoro…pensateci la prossima volta che vi capita di chattare dall’ufficio, io ora devo proprio concludere, ho le email da controllare e devo affrettarmi a fare un’offerta per quella borsetta che mi piace tanto su eBay! (Naturalmente scherzo…oppure no?)

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