Governance di Internet: Adiconsum, ‘Le associazioni al consumo siano finalmente parte attiva e non solo una controparte fastidiosa’

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Riportiamo di seguito l'intervento di Adiconsum, in occasione dell'Assise sulla Governance di Internet (Roma, 12 ottobre 2006), presieduta da Luigi Nicolais, Ministro per le Riforme e le Innovazioni nella Pubblica Amministrazione.

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Ringraziamo il ministro Luigi Nicolais, il sottosegretario Beatrice Magnolfi e i componenti il Comitato sul futuro di Internet che, sentita l’esigenza di coinvolgere il più possibile la società civile nella discussione sul futuro della gestione della Rete, ha deciso questa assise per ascoltare le opinioni della società civile su libertà di espressione, sicurezza, rispetto delle diversità e accesso per tutti.

Questo consesso, oggi, è l’ennesima dimostrazione di una politica che ha fallito l’obbiettivo di fare della Rete un motore per l’innovazione del nostro Paese. L’avventura sulla Rete, germogliata per il consumatore intorno al 1993 con Video e Italia online, con i primi esperimenti di Governance con le Reti civiche nel 1994, ci vede oggi, 13 anni dopo, ancora a disquisire sulla necessità di dare di dare all’accesso alla Rete lo status di “servizio universale”, che avrebbe dovuto essere la milestone di questo progetto-Paese, cosa ormai acquisita e scontata. Se 60 anni fa lo Stato avesse ragionato così, oggi avremmo ancora paesi senza luce elettrica.

 

E allora oggi, a questa nuova classe politica che prova per l’ennesima volta a raggiungere l’obiettivo di portare il Paese a dotarsi di infrastrutture digitali tali da consentire al cittadino/consumatore e lavoratore di potersi confrontare con il resto del mondo con pari dignità, affinché il collo di bottiglia del suo futuro sia egli stesso e non altri, Noi chiediamo una sola cosa, quella che sino ad oggi è mancata: Coerenza.

Perché sino ad oggi non abbiamo visto coerenza nel concedere l’equo compenso agli editori quale rimborso forfetario per le copie non autorizzate di cd e dvd e poi accettare che questi prodotti vengano protetti dalla possibilità di copia, ne che gli stessi editori, sotto altri cappelli, mettano in commercio prodotti che per funzionare necessitano inevitabilmente della violazione di quanto vogliono tutelare.

 

Non c’è coerenza nel consentire che i fornitori di contenuti alzino barriere virtuali superiori persino a quelle doganali vigenti nella vita materiale, per l’accesso alla conoscenza, impedendo acquisti e fruizioni di beni materiali e immateriali al di fuori dei confini nazionali, in base ad accordi che trasformano la rete in tanti orticelli protetti, impedendo al consumatore di procurarsi il bene laddove questo costa meno o, cosa ancora più grave, spesso è dato in esclusiva. Al contrario nessuna legge pare ostacolare la possibilità di proporre nel nostro territorio servizi che, attraverso la rete, consentono di utilizzare forza lavoro a basso costo sita in altri paesi. Se deve esserci tutela per l’editore, deve esserci anche per il lavoratore, ma anche per quelle aziende che si vedono sottrarre il lavoro perché non possono competere con chi attinge a questa manodopera a basso costo online.

 

Non c’è coerenza nel fornire un accesso ad internet che non da al cliente la possibilità di essere in rete ma solo di avere una finestra, ampia a volontà del provider, che guarda alla rete. Una rete sempre più asincrona, dove non sono consentite tutta una serie di possibilità al consumatore ma anche al lavoratore. La rete è tale quando è a due vie. Ma la nostra rete è, nelle menti dei grandi provider e dei fornitori di contenuti, sempre più un grosso e sofisticato telecomando: possiamo prendere ma non dare. Eppure l’Articolo 21 della Costituzione, recita: “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione“, potremmo dire che i costituenti siano stati più lucidi e preveggenti di quanto avviene oggi, perché hanno pensato che il futuro poetesse regalarci canali all’epoca impensabili. Ma il testo è chiaro, la costituzione pretende un cittadino attore e non solo spettatore, pare attiva del processo democratico.

 

Questo si realizza solo con una rete il cui rapporto tra download e upload sia il più possibile vicino a 1. Questo rapporto era più vero 10 anni fa che non oggi, visto che possiamo ricevere decine di mega in download ma trasmettere con poche centinaia di kb. Le porte di accesso vengono chiuse o aperte solo in funzione dei modelli di business del provider, qualcuno gode di servizi avanzati ma il punto di partenza di questi è sempre geograficamente più vicino al consumatore. Quando arriverà l’alta definizione avremo i server nella centralina di casa. Questa Non è Rete. Si potrebbe dire che la nostra breve storia abbia enunciato che la libertà, in Rete, sia stata inversamente proporzionale alla larghezza di banda. Non c’è coerenza nel volere innovazione e poi attuare politiche che si rivelano solo essere al richiesta di fornitura di servizi amministrativi, sempre gli stessi, sempre uguali, solo moltiplicati per mille se non diecimila da una visione distorta del Titolo V, con il risultato di ridurre le nostre aziende a poppanti attaccati alle mammelle di Mamma Italia per fornire sempre e solo la stessa cosa: inserimento, visualizzazione, aggiornamento e stampa, per migliaia di comuni, enti, ospedali, catasti, che richiedono in mille modi lo stesso prodotto. Cosa che poi obbliga lo Stato a investire milioni di euro per l’armonizzazione. Nel frattempo, altrove, ragazzini dotati di inventiva e di un vero sistema economico, creano Microsoft, Apple, Yahoo, Google, e-bay, YouTube. Tutte cose di cui noi diventiamo “consumatori”.

 

Non c’è coerenza, nel parlare di sicurezza e poi dare silenzio assenso nei confronti di chi, per la nominale tutela dei propri diritti, non esita a violare telematicamente i diritti dei cittadini e consumatori, e non si parla di privacy, ma addirittura di violazione di domicilio, sia pur virtuale. Violazione che, per assurdo, avviene solo a valle di una procedura di acquisizione onesta del bene immateriale. Ci sarebbe piaciuto parlare di complicità, fare facile populismo, ma a fronte del fatto che queste pratiche vengono accettate anche su sistemi di proprietà dello Stato, pensiamo si tratti di pura incapacità di comprendere il pericolo alla sicurezza dei dati custoditi dallo Stato che queste violazioni possono generare. Qui però il tema è troppo lungo e complesso, Impossibile liquidarlo in due battute, Ci si lasci solo dire che la gestione in sicurezza dei dati e le proposte per la dematerializzazione dei documenti, così com’è state prospettate sino ad oggi, ci fanno semplicemente rabbrividire.

Ma tutto questo è lo stato dell’arte di una situazione ereditata e che siamo i primi a comprendere non si può risolvere con la bacchetta magica.

Però non vediamo la coerenza anche in forze politiche che a parole parlano di open-source ma poi, all’interno delle loro stesse realtà, questa pratica ignorano se non, addirittura, ostacolano. Quanti i politici che si riempiono la bocca con l’innovazione utilizzano per la loro vita quotidiana sistemi open-source? Ci si permetta di fare solo un esempio: i siti internet dei quotidiani legati ai grandi partiti della coalizione, che spesso scrivono e si battono per i sistemi aperti, usano, in rete, sistemi Microsoft. E Quanti sono i siti politici che supportano pienamente l’accessibilità, dove per pienamente non intendiamo la creazione di una area riservata che da al diversamente abile la conferma della sua diversità? Il consumatore si aspetta molto da questo governo, per prima cosa la possibilità di avere pari dignità nel rapporto con le istituzioni, cioè con coloro che noi abbiamo messo li a difendere i nostri interessi. Però dalle prime mosse operate, ci è sembrato che gli eletti dal popolo paiano più sensibili agli interessi dei grandi players. Per questo, ci si consenta la battuta, c’è già Confindustria.

 

La cartina di tornasole è però stata un’altra: come ricorderete la cosa che ha sicuramente portato molti voti in campagna elettorale è stata la promessa dell’abolizione della legge Urbani sul diritto di copia. Un punto fermo del cittadino consumatore. E qual è invece la prima proposta di legge in materia di contenuti digitali? una tassa. Una tassa sulla Rete (che fa vincere all’ on. Colasio il dominio “www.gabelliere.com”), una proposta su cui noi abbiamo già rilevato parecchi punti di inattuabilità pratica e che non pubblichiamo solo perché stiamo ancora facendo verificare il tutto dai nostri esperti. Al contrario, sempre sotto la parola coerenza, il ministro Gentiloni concede fondi per lo sviluppo della Tv digitale. Uno da, l’altro toglie. Inutile dire quale delle due iniziative legislative incontri il nostro favore. Non possiamo però non rilevare che su questa proposta di tassazione, tranne che per pochi casi sporadici, il mondo della politica, al contrario della società civile, non abbia reagito come il consumatore elettore si aspettava. Viviamo nell’epoca della velocità, ma il potere decisionale si muove in tempi biblici laddove le decisioni andrebbero prese in minuti. Nel tempo in cui un organismo politico decide di fare un comunicato stampa per avviare un confronto che raccolga le opinioni per decidere con quali metodologie affrontare un sistema in attesa che l’Authority o il garante si pronuncino, ci sono state quattro fusioni, sette accordi strategici, scoperte cinque nuove tecnologie che rimettono tutto in discussione. Abbiamo bisogno di politici digitali, e ci ritroviamo con parlamenti, Authority e garanti lenti se non inerti alle esigenze del cittadino.

 

La nostra richiesta è quindi una sola: create un motore coerente, armonico, in ogni sua forma e componente. Non chiediamo grandi leggi, Non ce n’è bisogno, è sufficiente intervenire chirurgicamente sull’esistente, per attualizzarlo. Per esempio, per ottenere il servizio universale, non c’è bisogno di una nuova legge, l’articolo 54 del codice delle comunicazioni elettroniche recita “Che il servizio universale deve consentire (…) un efficace accesso a internet”. Basterebbe sostituire il termine “efficace”, che oggi ambiguamente consente di il livello minimo di fornitura, 44k reali, con un termine che, senza possibilità di interpretazione, interpreti il concetto che questo servizio debba essere dato al meglio delle possibilità tecnologiche del momento. Di questo motore, vi chiediamo che le associazioni al consumo siano finalmente parte attiva e non solo una controparte fastidiosa. Se così non sarà, vi ritroverete come per il passaggio al digitale terrestre che, nel 2012, a transazione compiuta, si ritroverà di fatto senza più una platea, nel frattempo passata a cavo e satellite per poter sfruttare i televisori che saranno tutti ad alta definizione. Mentre i giovani, la televisione già oggi cominciano a non sapere cosa sia.

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