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Sat Expo 2006. Tv della convergenza, Enrico Manca (Isimm): ‘Investire in reti e contenuti per promuovere le nuove piattaforme’

Italia


Tv digitale tra convergenza e divergenze: due parole che solo apparentemente sono in contrasto. Mentre il processo di convergenza è ormai ampiamente acquisito, a valle di questa convergenza, abbiamo una miriade di flussi digitali che divergono per piattaforma distributiva (satellite, Tv terrestre, dvd, banda larga – fissa e mobile, dvb-h, umts), per dispositivo (computer, televisore tradizionale, alta definizione, cellulare, i-pod, palmare, outdoor Tv) e per contesto di fruizione degli utenti finali (a casa in relax, durante la giornata in mobilità). Divergenza che supera il concetto di Televisione e ci fa parlare di “televisioni” al plurale.

 

Più in generale, l’industria delle comunicazioni sta facendo i conti con l'”onda lunga” della grande discontinuità tecnologica e industriale iniziata negli anni novanta. È questa “onda lunga” che sta oggi provocando effetti radicali sugli economics delle imprese e sui modelli di business del settore.

 

Abbiamo assistito alla crescita delle Tv digitali (in particolare via satellite) guidata dall’offerta a pagamento, insieme allo sviluppo di Internet (che si alimenta, tra l’altro, di quote pubblicitarie crescenti). Si tratta di modelli che aumentano il grado di libertà degli utenti, permettendo loro  di realizzare un palinsesto sostanzialmente  personalizzato, fino a poter diventare essi stessi produttori di materiale audiovisivo. Penso alla produzione video amatoriale che trova spazio nei Social Network (come My Space o YouTube) o agli enormi introiti che stanno raccogliendo servizi client server, come Google, Skype ed eBay. La forza dirompente delle reti digitali, lungi dal costituire un semplice aggiornamento tecnologico della vecchia televisione, introduce elementi nuovi, che mutano gli equilibri esistenti, ridistribuendo le risorse del sistema in maniera inedita.

 

In questo quadro, tutti gli attori del panorama audiovisivo e delle comunicazioni dovranno sperimentare nuovi modi per creare valore, per presidiare i propri mercati di riferimento e per conquistarne di nuovi. E a questo quadro va in qualche modo correlata anche la vicenda che sta attraversando Telecom Italia, resa complessa per i suoi risvolti finanziari, politici e giudiziari.

Nel mondo delle comunicazioni mobili c’è una notevole vivacità, caratterizzata dai tentativi di sperimentazione: dall’Internet su cellulare, alla mobile Tv. 

 

Per quanto riguarda i broadcaster, essi sembrano destinati a presidiare un’offerta gratuita analogica,  con ascolti in via di lenta erosione verso altre piattaforme digitali. Anche da ciò, l’esigenza di un suo riposizionamento  nel nuovo quadro tecnologico. L’introduzione del digitale terrestre è infatti una strada obbligata per la Tv generalista ma occorre un’ulteriore spinta in questa direzione.

Il panorama è quindi estremamente fluido e caratterizzato da spinte, anche contrastanti. E’ interessante notare come:  

Ma dopo le luci, anche le ombre. Su un altro versante, abbiamo una copertura della banda larga ancora ampiamente insufficiente, investimenti in ICT inferiori a quelli medi europei, l’uso di Internet frenato da un digital divide persistente e non adeguatamente contrastato. Necessario appare trasformare completamente le reti di accesso e di trasporto in “reti di nuova generazione“, più efficienti e in grado di soddisfare la crescente richiesta di maggiore capacità e velocità. 

 

Per quanto riguarda le risorse del sistema, la capacità della spesa media degli Italiani per comunicazione è possibile che si stabilizzi. Anche il mercato pubblicitario risulta piuttosto stabile; con la novità rappresentata dal decollo di Internet come piattaforma pubblicitaria (che ha già superato le quote destinate al cinema e quelle delle affissioni), con la crescente possibilità di un travaso dai mezzi tradizionali verso l’Internet.

Ora, di fronte alla necessità di superare questi limiti, anche con investimenti adeguati, s’impongono alcune domande: Quanto sono dilatabili le attuali percentuali di spesa delle famiglie? Al 4% e oltre? Quanto è amplificabile il mercato? Come si realizza la crescita dei protagonisti dell’offerta?

 

La crescita di alcuni operatori nel mercato rischia quindi di essere a somma zero, considerando il complessivo mercato interno. Una soluzione certamente necessaria per il sistema Italia sta nella maggiore proiezione competitiva verso l’estero e in una efficace aggregazione dei soggetti di dimensioni piccole e medie.

Del resto, questa è la strada indicata anche dalla Commissione Europea: sempre più si vanno profilando servizi di telecomunicazioni, basati sulla realizzazione di reti di nuova generazione capaci di oltrepassare i confini nazionali, realizzando quindi un effettivo mercato unico, garanzia di volumi significativi e servizi a prezzi competitivi. E non mancano segnali positivi in questa direzione. Mi riferisco, a titolo di esempio, ai recenti investimenti del gruppo Fininvest nell’editoria francese, ai successi internazionali del gruppo De Agostini, all’interesse di RCS (vedi RCS MediaGroup per il mercato spagnolo.

 

Senza politiche adeguate, il rischio è quello di rinchiudersi nel mercato nazionale, utilizzando l’innovazione tecnologica per difendere le proprie quote di mercato, con un danno per i cittadini e per l’economia italiana. Insomma, la politica deve assumersi la sua responsabilità d’indirizzo per favorire l’innovazione.

Un primo criterio, metodologico, consiste nel favorire la specializzazione orizzontale, piuttosto che l’integrazione verticale – messa in discussione, non solo dal fenomeno della convergenza, ma anche da esigenze di tutela del consumatore in termini di prezzi e di qualità di  accesso ai servizi. E’ auspicabile, poi, che il Paese si doti di un’infrastruttura di rete che integri tecnologie fisse e wireless e che sia efficiente, economicamente sostenibile; in grado, cioè, di dare ai cittadini l’accesso competitivo ai servizi sulla base delle loro esigenze e libere scelte.

 

Un discorso delicato, sempre con riferimento alle reti, riguarda le frequenze. Abbiamo visto con favore l’iniziativa congiunta del Ministro delle Comunicazioni e dell’Autorità di Garanzia di istituire un catasto nazionale. Operazione non certo facile. In Europa, la direzione è quella di una maggior liberalizzazione dell’etere, senza più far distinzione tra servizi televisivi e servizi di comunicazione; distinzione ormai superata dalla convergenza.

 

Un’ultima annotazione sul servizio pubblico. Tralasciando in questa sede la questione della governance della Rai, in cui è decisivo ripensare il rapporto con il sistema politico e dei partiti (e in questa direzione mi pare vada anche la proposta del Ministro Paolo Gentiloni di dar vita a una fondazione, come intercapedine tra la politica e la gestione della Rai), penso che l’azienda di servizio pubblico possa e debba fare di più nel campo del digitale terrestre. E’ necessario che la Rai abbracci con più coraggio le sfide poste dall’innovazione tecnologica. 

Nel caso del digitale terrestre, è ormai chiaro dalle esperienze internazionali – pensiamo soprattutto all’enorme successo nel Regno Unito della piattaforma Freeview, guidata dalla BBC – che debbano essere i contenuti gratuiti a guidare la domanda, contribuendo a diffondere i decoder presso tutte le famiglie. Solo così sarà possibile offrire anche agli utenti che non vogliono o non possono accedere a contenuti a pagamento una Tv multicanale e interattiva. E il servizio pubblico è centrale in questo processo. 

 

E’ superfluo ricordare che parliamo di un impegno convenuto ormai a livello europeo, che prevede al più tardi il 2012 come data di switch-off in tutta l’Unione. Alla scadenza dello switch-off mancano, quindi, poco più di cinque anni. Serve allora una strategia credibile, con scadenze intermedie che siano rispettate. Un primo banco di prova sarà lo switch-off anticipato in Val d’Aosta e in Sardegna e, dopo queste, sarà necessario individuare altre aree ancora, dove promuovere la transizione. Insomma, lo switch-over deve avvenire integrando la logica della “transizione per aree regionali” con quella che è stata felicemente definita da Alessandro Ovitransizione per canali“.

 

E’ dunque importantissimo – come anche recentemente dichiarato dal Ministro Gentiloni – che si offra alla Rai un Contratto di Servizio in linea con la sua nuova missione – digitalizzare le televisioni di tutto il Paese – prevedendo appositi finanziamenti per la produzione di contenuti innovativi e attrattivi, in grado cioè di fare da volano all’acquisto di decoder a basso prezzo da parte delle famiglie.

Ma il digitale terrestre è solo un aspetto della strategia del servizio pubblico in ambiente multimediale; se la Rai vuole corrispondere appieno alle missioni vecchie e nuove cui il Servizio Pubblico è chiamato, essa dovrà accompagnare o, meglio ancora, promuovere la migrazione degli utenti dalla Televisione terrestre e generalista alle televisioni della convergenza, producendo e distribuendo contenuti in maniera efficace e innovativa su tutte le piattaforme: dal web all’alta definizione, dalla Tv mobile al satellite.

Vi ringrazio per l’attenzione e vi auguro buon lavoro.

 

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