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‘La via terrestre vale almeno quanto la via dell’etere’. Perchè il Casalingo di Voghera sbaglia

Italia


Il tema della distribuzione dei contenuti multimediali sulle reti di telecomunicazioni è come il jeans: non passa mai di moda.

Mentre in altri Paesi, soprattutto anglosassoni, la TV via cavo è una realtà dagli anni ’80, in Italia questo fenomeno non è mai realmente decollato e l’unico provider italiano di contenuti via cavo, Stream, è passata rapidamente sul satellite prima di essere fagocitata dalla Sky Italia di Rupert Murdoch.

 

Il fenomeno dei portali multimediali come Rosso Alice ed il lancio dei servizi IPTV hanno riacceso un vecchio dibattito che si riassume nella domanda: ma quanto è larga questa banda larga?

In altre parole: una rete IP che è nata per far navigare su Internet dei clienti che accedevano con modem a 56k ed è cresciuta trasportando servizi dati, voce e video con qualità di servizio differenti, è oggi matura per trasportare i contenuti multimediali che da soli occupano bande da 4 a 12 Mb/s?

Per capire la risposta è necessario un breve cenno all’architettura di una rete IP “classica”; per sommi capi si può dire che è composta da un livello di accesso ed un livello di backbone (letteralmente “scheletro”, “ossatura”).

Il livello di accesso è composto da tutto ciò che va dal PC del cliente fino al PoP su cui è attestato, cioè fino al primo router della rete che termina la connessione “virtuale” del cliente. In questo livello rientra anche  la linea ADSL, il cosiddetto “ultimo miglio”. Il livello di backbone invece è tutto ciò che si occupa del trasporto dell’informazione dal PoP di attestazione verso il resto della Big Internet.

Come si evince facilmente, la banda sul backbone è condivisa tra tutti i clienti (e tutte le applicazioni, anche se oggi il backbone sa trattare in modo diverso le varie applicazioni) mentre la banda in accesso è dedicata al singolo cliente.

Questo significa soprattutto, al di là dei tecnicismi, che dal momento in cui il provider ha portato  la linea ADSL ha tutto l’interesse a riempirla, senza aspettare che il cliente se la riempia da sola!

L’ultimo miglio diventa quindi “d’oro” (golden mile) perché è il veicolo di tutte le successive offerte che il provider cercherà di vendere al “suo” cliente. Upsell, you know what I mean.

 

A questa rete classica si è affiancata di recente un’altra rete, perlopiù composta da elementi logici, detta Content Delivery Network (CDN) cioè “Rete per la distribuzione dei contenuti”. In poche parole questa rete introduce degli elementi detti Content Delivery Server, in cui risiedono i contenuti da erogare, che possono essere distribuiti a livello territoriale fino al singolo PoP.

Questi stessi server si occupano poi di tracciare la fruizione dei contenuti da parte dei clienti e comunicare con i sistemi di commercio elettronico e di fatturazione.

Ho un nuovo film da mettere a catalogo?

Lo distribuisco una sola volta dal mio Data Center verso tutti i PoP, poi ogni cliente che vorrà vederlo vedrà la copia digitale sul al server più vicino.

Ho una trasmissione dal vivo, una partita di calcio, un concerto?

Li trasmetto in parallelo dal punto di ripresa (dove vengono codificati in digitale) verso tutti i PoP, ma i miei clienti continuano ad accedere sempre e solo al server del loro PoP di attestazione.

 

Questo significa che se ho 100 PoP e un milione di clienti collegati, io distribuisco sul backbone solo 100 flussi mentre distribuisco in accesso un milione di partite e concerti. Per inciso, sia la distribuzione sul backbone che all’interno del PoP di accesso può essere fatta tramite un protocollo detto Multicast che permette un certo risparmio di banda.

Poiché la banda in accesso è dedicata a ciascun cliente, come si è detto, l’effettiva “potenza di fuoco multimediale” di un provider si può già misurare dal numero di clienti ADSL. Meglio se hanno già un accesso a 4Mb/s, sennò… lo vorranno avere.

Quindi in generale l’affermazione “…ogni cliente in più richiede banda in più…” è vera solo al riguardo della componente d’accesso, dove però la banda viene fornita insieme alla linea.

Vediamo ora vantaggi e svantaggi rispetto alla reti via etere; prenderemo a riferimento le reti satellitari DVB ed il Digitale Terrestre (TDT).

 

1. L’interattività.

L’interattività di una rete IP è naturale come fare “click” con il mouse e vedere che qualcosa si muove.

Come dire “pronto” e sentire “chi parla?”.

No, ancora prima: come alzare la cornetta e sentire “tu-tu“.

Non vi preoccupereste se non fosse così?

Al contrario, i canali broadcast via etere come la TV satellitare e la TDT sono intrinsecamente monodirezionali e l’interattività delle reti di fatto non esiste: è stata introdotta aggiungendo una connessione via telefono verso un PoP di rete… terrestre. Inoltre la banda di interattività (canale upstream) di una linea ADSL è di 256k, mentre quello di una linea telefonica è di (circa) 40k.

Chi dei due farà prima a rispondere al quiz? Forse quello che deve aspettare che il modem componga il numero e si colleghi?

 

2. Il trasporto del segnale

Lo sapevate che alcuni canali TDT utilizzano le reti IP per trasportare il segnale audio/video da una stazione emittente all’altra?

Ora che lo sapete, pensate ancora che il trasporto dei contenuti su reti IP sia “peggiore” di quello via etere?

In altre parole, per chi ha una rete terrestre il costo di “coprire” con un segnale una zona geografica molto ampia, oppure zone geografiche distanti tra loro, è molto minore rispetto a chi deve trasportarselo utilizzando lo stesso etere.

Suvvia: l’etere serve per distribuire, non per trasportare!

 

3. L’usabilità.

Su questo fronte non c’è partita. Il telecomando TV lo sa usare anche un bimbo di tre anni. A quattro ve lo toglie e non ve lo darà mai più.

Invece ancora oggi per collegarsi ad un canale IPTV è richiesto un minimo di “capacità digitale” in più, ad esempio per scorrere i menu sullo schermo o per capire se il Set-Top-Box si è collegato e così via.

Discorso a parte vale anche per gli imprevisti: i guai che avrai nella tua vita con il tuo televisore non saranno mai paragonabili a quelli che potrai avere con un PC o qualsiasi cosa vi rassomigli!

 

4. Gli investimenti.

Mettiamola così: se non hai una rete terrestre, non la costruirai in poco tempo. Forse non ce la farai mai, se il tuo ritorno dell’investimento è legato ai contenuti. Viceversa, chi ha la rete vede oggi l’opportunità enorme di sfruttarla per l’erogazione dei contenuti a costi marginali.

Gli investimenti in una rete via etere sono senz’altro più contenuti e consistono sostanzialmente (a parte il costo di allestire un centro di produzione e trasmissione, che c’è sempre) nell’acquisto delle licenze o della banda via etere, satellitare o terrestre che sia.

In altre parole quello che costa è “il canale” in sé, ma una volta ottenuto.

Stesso discorso vale per i costi di manutenzione (molto maggiori per le reti terrestri) e per i tempi (con la TDT si può davvero diventare TV broadcaster dalla sera alla mattina).

 

5. Il palinsesto reale e virtuale.

Arriviamo infine al nocciolo del discorso, al campo dove si gioca realmente la partita.

Il paradigma della TV analogica tradizionale era “un canale, un palinsesto“: per ogni canale c’era solo una trasmissione in corso e l’orario di inizio e di fine non erano negoziabili.

Sei arrivato tardi a casa?

Peccato, il Barcellona ha già segnato! (non cito squadre italiane per non incorrere nelle solite discussioni).

Con l’avvento del satellite e, recentemente, della TDT sicuramente si sono moltiplicati i canali, sicuramente è cambiato anche il concetto stesso di “canale” giacché un vecchio canale della TV analogica può ospitare da quattro ad otto canali TDT.

Però è rimasto invariato il paradigma del palinsesto: non c’è un vero “on-demand“, non sono io a decidere quando inizia la partita.

Con l’IPTV è possibile chiedere di vedere una partita dall’inizio anche se siamo già al secondo tempo: una volta che il contenuto è sul server, è possibile fruirlo sia dal vivo che in differita.

Inoltre il palinsesto dell’IPTV sfrutta una flessibilità che è vietata ai canali broadcast, cioè che un contenuto va “in onda” solo quando io lo richiedo: il contenuto, di per sé, RISIEDE su un server e quindi è fruibile nel modo che io preferisco. Al limite in momenti separati del giorno o, estremizzando, in giorni separati.

Sparisce il concetto di “ho perso un programma“: perché è sempre lì!

Anche sul fronte pubblicitario questo modello spariglia le carte in un modo e con regole ad oggi ancora da definire.

Su questo campo a mio avviso si giocherà la partita vera: se nascerà l’esigenza di una fruizione “on-demand” dei contenuti televisivi e più in generale multimediali, le barriere di utilizzo si abbasseranno, l’usabilità migliorerà e lo spazio per i gestori Telco nel campo dei Media si allargheranno a dismisura.

Al punto, forse, da richiedere nuove regole.

Ma senza problemi di banda.

 

Marco Strada

 

Per approfondimenti leggi:

Murdoch/Telecom: la saga continua… Perché Telecom Italia avrebbe bisogno di fondersi con Sky?

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